A cura di Michele Tallarini
L’attuale situazione ucraina ha portato alla ribalta della cronaca internazionale la presenza, sul campo di battaglia, di formazioni militari non direttamente inquadrate all’interno degli eserciti regolari. A partire dai volontari stranieri per arrivare alle compagnie di mercenari professionisti, il fronte ucraino vede muoversi al suo interno un ampio ventaglio di figure non del tutto legate ai governi: tale situazione rappresenta una tendenza in aumento nell’ultimo ventennio. Chi sono questi gruppi privati che operano nel comparto della sicurezza in scenari ad alto rischio? Quale è il loro impatto sui conflitti? Quali le loro relazioni con i governi committenti? E, soprattutto, quanto il loro utilizzo sta cambiando il warfare “tradizionale”?
Il contesto ucraino: foreign fighters e gruppo Wagner
Come accennato, le notizie dall’Ucraina riferiscono di una galassia di milizie parallele che partecipano al conflitto in ambo gli schieramenti. L’esercito ucraino, con un annuncio del 28 febbraio, ha iniziato ad arruolare volontari internazionali, procedendo inoltre nell’inquadrare anche civili all’interno delle Forze di difesa territoriale. Vi sono poi due battaglioni ceceni e il controverso battaglione Azov, formato da volontari provenienti dalle file dell’estrema destra ucraina, che sono stati integrati nella Guardia Nazionale Ucraina diventando de facto un’unità militare regolare.
Dal lato russo, è di pochi giorni fa la notizia di una campagna di reclutamento, portata avanti dal regime di Bashar al-Assad (alleato di Putin), di 16 mila volontari siriani a cui è sono stati promessi uno stipendio e l’eventuale amnistia. Vi sono poi i miliziani del ceceno Ramzan Kadyrov, che hanno già combattuto in Donbass e in Crimea, e un numero imprecisato di foreign fighters (anche italiani) di estrema destra, partiti alla volta del fronte per sostenere la causa russa. Più controverso è l’impiego, da parte delle forze russe, dei mercenari del Gruppo Wagner, compagnia militare privata russa riconducibile all’uomo d’affari Evgheni Prigozhin: si tratta infatti di una private company formalmente slegata da controllo del governo russo, ma che da anni opera per conto di Mosca in vari teatri internazionali tra cui Libia, Mali e Repubblica Centrafricana. Proprio la natura, l’assetto e il ruolo di della Wagner possono aiutare a meglio comprendere come le potenze stanno modificando la loro presenza nei conflitti internazionali.
Cosa è la Wagner?
Il Gruppo Wagner rappresenta una delle più importanti compagnie militari private. La sua sede legale ufficiale è in Argentina (formalmente la Russia vieta la presenza di gruppi militari privati), ma la compagnia avrebbe uffici a San Pietroburgo, Hong Kong e in diversi Stati africani. È composto da militari russi in pensione di età compresa tra i 35 e i 55 anni, stipendiati per prendere parte ad azioni militari, principalmente di natura difensiva e di controllo di interessi privati in contesti ad alto rischio.
Il gruppo ha fatto il suo primo esordio in ambito internazionale nel 2014 proprio in Ucraina, quando ha fornito appoggio all’esercito russo nella presa di controllo della Crimea, nonché nel conflitto nel Donbass. Successivamente, la compagnia venne schierata sul teatro siriano a sostegno del regime di Assad, dove però emerse l’impreparazione del gruppo e lo scarso coordinamento con il comando russo in Siria. Nel 2019, poi, il gruppo è stato operativo in Libia a sostegno dell’Esercito Nazionale Libico e, di conseguenza, a difesa degli interessi nel Cremlino nell’area.
L’impegno internazionale della Wagner e l’ambiguità del suo ruolo nei conflitti strategicamente importanti per il Governo russo ne configura la funzione di longa manus del Cremlino, che sembra utilizzarla come forza militare grazie alla quale può evitare di “sporcarsi le mani” direttamente in campo internazionale. Tale funzione denota una precisa strategia portata avanti dal Cremlino in campo globale. Tuttavia, storicamente, le compagnie private militari sono state utilizzate dai governi nazionali anche per altri scopi.
Il ruolo delle private military companies e l’impatto sui conflitti
In campo internazionale l’utilizzo di compagnie private nei conflitti è stato determinato dagli altissimi costi di mantenimento degli eserciti: tenere operativi un grande numero di effettivi rappresenta infatti una spesa spesso insostenibile per gli Stati, che ricorrono dunque alle PMC (Private Military Companies) per l’attuazione di alcune operazioni specifiche in ambito internazionale. Infatti, oltre ai più bassi costi nei contesti operativi, le compagnie private, per la natura stessa del loro ingaggio, non hanno costi di mantenimento in tempo di pace e possono essere schierate velocemente in caso di bisogno, rendendo il loro utilizzo ancora più flessibile e conveniente in termini economici. È ad ogni modo difficile fornire una stima verosimile del giro d’affari attorno alle PMC.
A prescindere dal caso russo, le compagnie private sono spesso utilizzate con fini logistici come la scorta di personale pubblico e privato, la protezione di siti di interesse strategico o l’addestramento di forze locali per conto di governi stranieri. Il trend dell’ultimo ventennio è quello di un sempre più massiccio uso di attori privati all’interno dei conflitti. In tal senso, i precursori di questa privatizzazione della difesa sono stati gli americani, che a partire dagli interventi in Iraq e Afghanistan di inizio millennio hanno affidato alle PMC specifici compiti di difesa di basi militari e alti ufficiali. Tale impegno non è stato privo di zone d’ombra che hanno alimentato il dibattito sulla legittimità del loro impiego sui campi di battaglia: ne è un esempio lampante il caso Blackwater del 2007, quando quattro operativi dell’omonima compagnia sono stati accusati, e successivamente condannati, per l’uccisione di 17 civili a Falluja, Iraq. Il caso pose di fronte all’opinione pubblica lo scarso controllo, da parte dei comandi militari “ufficiali” di tali compagnie, aumentando il rischio di crimini sulla popolazione civile. Anche la Cina sta facendo un grande uso di contractors nell’ambito delle operazioni di costruzione della Belt and Road Initiative, principalmente affidando loro compiti di difesa dei lavoratori di Pechino impegnati sul suolo straniero.
In definitiva, sembra che il trend in atto porterà ad un sempre più alta privatizzazione dei conflitti e ad un ruolo sempre più preponderante delle Private Military Companies in ambito internazionale. Come visto, tale necessità è dettata da questioni economiche, strategiche e politiche: in primo luogo, gli alti costi di mantenimento e la sempre più alta professionalizzazione che un esercito regolare necessita stanno spingendo le grandi potenze ad affidarsi, per operazioni specifiche, a compagnie private, per loro stessa natura più flessibili ed economiche. In secondo luogo, l’esperienza e l’alta specializzazione di tali aziende permettono agli eserciti con meno esperienza su terreni internazionali (si veda l’esercito cinese) di operare al meglio in condizioni specifiche. Non da ultimo, come visto con il caso russo, compagnie militari private formalmente indipendenti, ma in realtà fortemente connesse ai governi, offrono la possibilità di operare senza un coinvolgimento politico diretto; tale modalità è di fondamentale importanza per quel che riguarda le relazioni internazionali (permette la persecuzione degli interessi nazionali attraverso azioni militari, senza subire conseguenze politiche) e l’impatto delle operazioni sull’opinione pubblica (mancanza di perdite “ufficiali” di soldati).
Tuttavia, come mostrano le azioni del gruppo Wagner o il caso Blackwater, l’uso massiccio di truppe mercenarie può portare ad una recrudescenza dei conflitti, specialmente nei confronti dei civili, essendo esse non direttamente sotto la responsabilità diretta dei comandi militari. Se, come sembra, la guerra diventerà sempre più un fatto privato e i governi rinunceranno a parte del loro controllo sull’uso della forza militare, un forte dibattito pubblico sul tema e una regolamentazione precisa sembrano necessarie.