A cura di Matteo Marsala
Nel pensare quest’articolo mi sono ritrovato più volte a cambiare argomento, dalla situazione ucraina all’elezione del Presidente della Repubblica, tutti argomenti interessanti e centrali nel racconto dell’oggi.
Mentre cercavo di farmi passare la forte nausea provocatami dalla commedia parlamentare andata in scena in questi giorni, mi sono concesso il lusso di lasciare, per un attimo, il tempo presente e proiettarmi invece su quello che ci attende in futuro.
Un futuro non lontano ma non ancora così prossimo da poter smuovere in noi qualcosa che vada oltre a qualche vaga preoccupazione.
Io ho 23 anni, al momento faccio 2 lavori (più qualche extra) ma posso permettermi un presente solo grazie al fatto che vivo ancora con la mia famiglia. Mio padre a 23 anni sposava mia madre, avendo un solo lavoro, non avendo studiato. Pura fantascienza. Non voglio assolutamente cadere nella logica del “si stava meglio prima”, io prima non c’ero, non posso mica sapere come si sentiva mio padre alla mia età, e io adesso mica sto male.
Quindi non posso lamentarmi giusto? Adesso sto bene.
Molti adulti farebbero cenno di si con il capo rinfacciandomi il benessere nel quale sguazzo e facendomi sentire perfino irriconoscente davanti ad una società che ha lavorato molto per arrivare a questa soglia di benessere.
Spesso mi è capitato di sentire muovere verso la mia generazione la critica di essere “presentisti”: per noi esiste solo il presente, non esiste passato e non esiste futuro. Alcune volte mi sono persino trovato d’accordo con queste affermazioni. Ma poi ho provato a fare esistere un futuro, ho provato ad immaginarmelo e ho subito capito che il presentismo è una forma di sopravvivenza e mantenimento della pace.
Se la mia generazione, insieme a tutte le successive, avesse l’ardore di guardare al domani che futuro vedrebbe?
Oltre all’incertezza economica, che ritengo un problema importante ma sempre risolvibile se davvero lo si desidera (basterebbe smettere di dare più peso al sistema che alla vita), dobbiamo considerare il calo demografico italiano, accompagnato da un preoccupante aumento dell’età media. “ A fine secolo, l’Italia sarà il paese più vecchio d’Europa dopo la Polonia. Nel 2100 il nostro Paese avrà infatti un indice di dipendenza del 62,4%, cioè il rapporto tra la popolazione di almeno 65 anni e la popolazione attiva (tra i 15 e i 64 anni di età). Lo rivelano proiezioni demografiche Eurostat sulle regioni europee. […]Attraverso i dati per province disponibili fino al 2050, Eurostat prevede un peggioramento della situazione nei prossimi 30 anni in tutta Europa (ad eccezione dell’Harz in Germania): la media salirà al 57% entro il 1° gennaio 2050.” (ANSA.IT: “Nel 2100 Italia e Polonia al top per numero di anziani” .30 settembre 2021)
Ma poniamo che neppure questo sarà un problema, fingiamo che saremo attenti ed intelligenti a sfruttare a nostro favore i flussi migratori, immaginiamoci anche (per assurdo) che tutti i problemi che hanno una risoluzione politica ed economica siano risolti.
Rimane comunque, come una spada di Damocle, tutta la questione ambientale, accompagnata da tutto ciò che ne deriva.
Entro il 2040 l’Italia perderà più del 40% di acqua potabile e il resto del mondo non se la passerà meglio. Le conseguenze del riscaldamento climatico porteranno entro il 2050 circa 140 milioni di persone a spostarsi. Nel 2100 in Italia si potrebbero raggiungere fino a 73 giorni di temperature invivibili.
Tutto ciò avrà ovviamente ripercussioni sulla produzione e sui nostri stili di vita.
Non penso che serva andare oltre, potete trovare moltissimo materiale che vi elenchi e vi spieghi nel dettaglio tutte le varie catastrofi alle quali andiamo incontro. Materiale scritto da scienziati e studiosi, basato su dati e proiezioni, non storielle strillate da qualche sedicente profeta ai lati della strada.
Tutte “realtà sospese” già preannunciate, eppure tutti sembrano comportarsi come se non arriverà mail il tempo in cui quel futuro indefinito diventerà un presente inesorabile.
Tutti noi pecchiamo di presentismo, siamo tutti succubi di un bias di normalità che ci consente di crogiolarci nell’adesso. Altrimenti la smetteremmo di parlare di niente, per prepararci davvero al futuro.
Futuro che non si prevede certo roseo e che la mia generazione dovrà affrontare partendo dal presente. Dobbiamo già ora alzare la voce, scandire le priorità e fare delle rinunce.
Anche se va contro la nostra stessa natura è il momento di smetterla di accontentarci del bene di adesso e cercare di pensare ad un futuro che sembra già delineato, prepararci ad esso e abbandonare l’idea che staremo sempre così bene.
Mi rendo conto che sia una prospettiva nefasta, ma pensate davvero sia sbagliata?