Il 10 dicembre 1948, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò e proclamò la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Dopo questa solenne deliberazione, l’Assemblea delle Nazioni Unite diede istruzioni al Segretario Generale di provvedere a diffondere ampiamente questa Dichiarazione e, a tal fine, di pubblicarne e distribuirne il testo non soltanto nelle cinque lingue ufficiali dell’Organizzazione internazionale, ma anche in quante altre lingue fosse possibile usando ogni mezzo a sua disposizione.
Sono trascorsi 73 anni da quel giorno e guardandoci attorno, dalla fortezza Europa, pare più che evidente che tale proclamazione fatichi a concretizzarsi e a vedere realizzati i valori di cui è ricca.
Di solito per verificare l’efficacia e la corretta applicazioni di un processo lo si sottopone ad una verifica, vorrei quindi porre all’attenzione delle lettrici e dei lettori alcuni brevi estratti di articoli di giornali e testate nazionali e lasciare a loro le successive considerazioni.
<<Una giovane fuggitiva curda, Avin Irfan Zahir, è morta venerdí scorso nella zona di confine Bielorussia- Polonia che come tanti aspiranti esuli e migranti cercava invano di varcare per sfuggire alla repressione in patria e chiedere asilo. L´ha uccisa la setticemia che aveva contratto dal feto che portava in grembo. L’11 novembre scorso un team di membri di Fundacja Dialog, una Ong umanitaria, udendo le sua grida di dolore tra i reticolati nel bosco di frontiera, l’aveva soccorsa e consegnata ai medici che le avevano praticato un cesareo d’emergenza. L’infezione mortale del feto ha colpito e ucciso anche lei.>>
<<Fuori dal campo di Lipa, sotto gli occhi della polizia, nella spianata di fango in mezzo al niente, sono stati aperti un paio di minimarket e un bar con veranda sul campo profughi. Li gestiscono alcuni commercianti di Bihac che hanno trasformato vecchi container in negozi di fortuna. E siccome per fare affari ci vuole fiuto, certo ne ha avuto il bottegaio che ha installato una baracca con tanto di insegna: “Game shop”. Vende l’occorrente per il percorso: torce, accendini, sacchi a pelo usati, power bank, barrette energetiche, vecchi cellulari, sim card e nastro adesivo con cui impacchettare e sigillare le poche cose della vita di prima: foto dei familiari, numeri di telefono da non perdere, gli ultimi spiccioli rimasti in tasca.
È anche da questo che al cimitero di Mezarje capiscono se i morti senza nome sono vittime di un respingimento o se stavano ancora tentando il passaggio del confine. Di solito, i respinti, vengono spogliati e ripuliti di ogni centesimo e ogni ricordo. Dovessero cadere senza più rialzarsi, di loro non resterebbe che un mucchio di terra. E nessun colpevole.>>
Fonte: https://www.avvenire.it/attualita/pagine/rotta-balcanica-nel-cimitero-dei-caduti-senza-nome
<<Il lungo elenco dei tentativi autolesionistici e anticonservativi è solo l’ultima parte di un capitolo amaro di questa struttura, finita nell’occhio del ciclone dopo il suicidio, il 23 maggio, di Moussa Balde, il migrante che era stato aggredito per strada a sprangate a Ventimiglia e che era stato portato al Cpr e messo in isolamento all’“ospedaletto”, una struttura fatiscente, con gabbie “pollaio”, senza possibilità di controllo dall’esterno delle condizioni di chi è recluso.>>
<<Nella tarda serata del 29 settembre, un incendio ha distrutto la baraccopoli dell’ex “Calcestruzzi Selinunte” situata tra Campobello di Mazara e Castelvetrano, in provincia di Trapani. Qui, da tre anni, oltre mille lavoratori stagionali addetti alla raccolta delle olive si radunavano e si autogestivano nell’indifferenza delle istituzioni. Uno di loro è morto carbonizzato, avvolto dalle fiamme causate, a quanto si apprende, da un incidente.>>
<<In un giorno come questo, mentre portiamo 10 cadaveri a bordo della nostra nave, siamo ancora una volta testimoni della mancanza di volontà dell’Europa di garantire un disperatamente necessario sistema di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale. In Libia le persone subiscono orribili abusi e spesso la loro unica via d’uscita è quella di fuggire e di affrontare un viaggio incredibilmente pericoloso attraverso in mare. È la rotta migratoria più letale al mondo, ed è una vergona. Con 186 sopravvissuti a bordo, inclusi i parenti e gli amici di alcune delle persone decedute, che hanno viaggiato per ore insieme ai loro cadaveri, la Geo Barents chiede con urgenza un porto sicuro per sbarcare queste persone estremamente provate e traumatizzate”.>>
Fonte: https://www.medicisenzafrontiere.it/news-e-storie/news/mediterraneo-10-morti/
A seguito di queste brevi letture, vi invito ora a sfogliare anche rapidamente la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e ad individuare le discrepanze, le incoerenze e le mancanze che ogni giorni siamo chiamati a vedere e conoscere, sotto i nostri occhi.
Qualcuno potrà dire che la Dichiarazione Universale sia uno strumento inutile, poco attuale e soprattutto inapplicato ma, se tutte e tutti noi rivediamo all’interno dei suoi articoli e nella sottigliezza delle sue frasi i valori culturali e sociali a cui facciamo riferimento, dobbiamo ammettere che, se non altro, la Dichiarazione si offre come torcia per illuminare le ingiustizie e aiutarci ad individuare e riconoscere ogni violazione dei diritti umani e ridare dignità a coloro che ne sono vittime. Sta a noi farne buon uso.