A cura di Federica Facchinetti
In più occasioni nei miei articoli mi sono trovata a parlare di confini, limiti fisici ed esistenziali, del posto in cui si vive e di come questo crea la nostra identità. È un tema che mi sta a cuore. Recentemente ho avuto occasione di visitare una mostra promossa da Fotografica – Festival di fotografia di Bergamo presso il Monastero del Carmine in Bergamo Alta.
Il titolo della rassegna di quest’anno era “Fuori Dal Centro” e andava proprio a presentare in modi molto diversi tra loto questa tematica: la periferia geografica, l’emarginazione sociale, la vita carceraria, la “periferia” religiosa e la sua vocazione alla coesistenza, la solitudine, la malattia.
Inutile dire che la mostra mi ha colpito molto e vorrei qui condividere alcuni spunti. Vorrei spendere poche parole su due delle serie presenti nell’esposizione. La prima intitolata Baraccopolis, di Sergio Ramazzotti, di cui consiglio anche la visione dell’omonimo docufilm. Toccante trovarsi davanti alle immagini scattate nelle periferie di alcune città italiane, che mostrano veri e propri slum. La formazione di queste baraccopoli è in alcuni casi dovuta a catastrofi naturali, di cui la pubblica amministrazione non si è mai fatta carico, o almeno non in modo risolutivo. In altri casi persone che hanno perso il lavoro per diversi motivi, e si sono quindi trovate senza posto in cui stare. Anziani, famiglie intere, con bambini vivono in situazioni fatiscenti che diventano un marchio, lo stigma che spesso rende impossibile valicare il confine con “l’altra città”. Dalle immagini passa un sentimento di rassegnazione, rabbia, sconfitta.
Penso agli ultimi due anni, alla pandemia e a tutto il tempo trascorso chiusi in casa. Mi vengono i brividi a pensare a quante persone hanno passato i periodi di lockdown in questo tipo di situazioni. L’ISTAT qualche anno fa censiva più di cinquantamila cittadini italiani che vivono in “alloggi di altro tipo” (termine tecnico utilizzato nella burocrazia per riferirsi a cantine, roulotte, automobili, baracche,…), ma non si ha certezza di questi numeri, comunque al ribasso perchè non tengono conto dei numerosi stranieri privi di documenti che lavorano come braccianti e vivono in baraccopoli. È davvero una realtà più vicina e presente di quanto non pensiamo.
La seconda serie di fotografie che mi ha colpito, per vicinanza geografica, curiosità personale e per la rilevanza mediatica avuta nel 2019 riguarda Zingonia, è realizzata da Giovanni Diffidenti ed è intitolata L’altra Faccia. Racconta le tristemente note torri di Zingonia in modo inedito. Da un lato infatti l’artista mostra l’interno di questi luoghi abbandonati, i ricordi e i resti di chi li abitava ed è stato sfrattato, di chi sottotraccia ci è rimasto anche dopo. Dall’altro lato poi le racconta dal di fuori, mostrando il territorio, la voglia di riscatto, riqualificazione e soprattutto di dignità del posto in cui vivono che cercano giovani e associazioni impegnate sul territorio. Dalla desolazione al riscatto.
Visitare questra mostra è stata una boccata d’aria, un po’ perchè è un ulteriore segno della ripartenza della cultura, e un po’ perchè trovo particolarmente attuale e urgente la tematica della periferia, dell’emarginazione, del diritto alla casa.