A cura di Federica Facchinetti
Un paio di settimane fa il collega di blog Matteo Marsala si/ci interrogava su come possiamo tenere fede alla nostra umanità e alla capacità di empatia di fronte alle continue immagini di violenza e morte che ci arrivano da diverse parti del mondo.
È una riflessione che mi ha accompagnato in questi giorni, ancora di più quando alcuni miei alunni adolescenti, ingaggiati sull’argomento, mi hanno spiazzato con un “Ma noi cosa c’entriamo? Cosa ci interessa di quello che succede laggiù?”
Una risposta io l’ho ricevuta leggendo cosa è successo il 13 maggio scorso nel porto di Livorno. I portuali, informati da colleghi del porto di Genova e da Weapon Watch, osservatorio sulle armi nei porti europei, che la portacontainer Asiatic Island aveva a bordo materiali bellici ed esplosivi diretti al porto israeliano di Ashdod, hanno avviato una protesta rifiutandosi di essere complici della guerra che stava avendo luogo in quei giorni.
Dopo Livorno, la mobilitazione si è estesa anche ai porti Napoli e a Ravenna, dove i lavoratori sostenuti dalle sigle sindacali hanno dichiarato il rifiuto “di caricare armi, esplosivi o altro materiale bellico che possa alimentare il conflitto tra Israele e Hamas”.
La questione non riguarda solamente un nodo etico, né tantomeno di posizionamento politico. Si tratta di diritto internazionale e rispetto delle leggi vigenti nel nostro Paese.
L’Italia infatti è firmataria e parte del Trattato dell’Onu sul commercio di armi (Arms Trade Treaty ATT) dal 2013, ma soprattutto dispone nella normativa interna della legge 185/90 dal titolo “Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”. Questa legge vieta l’esportazione e il transito di materiali di armamento verso Paesi in conflitto, salvo aggressioni (cfr. articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite), verso Paesi la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della Costituzione (“L’Italia ripudia la guerra…”) e verso Paesi i cui governi siano responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate Onu, Ue o Consiglio d’Europa.
È evidente che l’intento del legislatore fosse porre l’etica e il rispetto dei diritti umani fondamentali al di sopra delle logiche commerciali ed economiche. >>per approfondire
Purtroppo circa venti anni di applicazione rigorosa, i Governi italiani hanno iniziato a essere meno scrupolosi nella concessione di autorizzazioni e nella redazione dei relativi report (da sottoporre alle Agenzie di controllo ONU deputate come richiesto dai trattati internazionali). L’obiettivo si è inesorabilmente spostato da controllo e regolamentazione in sostegno ad un settore economico – quello militare.
La cosa da notare è che le autorizzazioni concesse in materia di export militare riguardano in gran parte (il 72%) Paesi non appartenenti alla Ue o alla Nato, e soprattutto, nazioni belligeranti, monarchie assolute, regimi che non rispettano i diritti umani, governi fortemente repressivi.
Dall’entrata in vigore della legge 185/90 al 2011 l’interscambio di materiali d’armamento tra Italia e Israele è stato piuttosto contenuto, ma dal 2012 questa politica restrittiva viene abbandonata, arrivando nel quinquennio 2015-2020 ad avere accordi di fornitura di sistemi militari per oltre 90 milioni di euro. >>per approfondire
Cercando di ricollegarmi alla questione iniziale: Israele a partire dal 1975 è stato destinatario di numerose risoluzioni di condanna emanate dall’assemblea generale dell’ONU in merito alle sue politiche di occupazione e repressione. In molte di queste risoluzioni si esortano tutti gli Stati firmatari e aderenti a desistere dal fornire a Israele aiuto militare o economico che possa in qualche modo contribuire alla perpetrazione di tali azioni.
Il contrasto con le norme nazionali e internazionali è stridente.
Nel mio piccolo, e per quanto possiamo contribuire con il nostro blog, provo a portare all’attenzione l’appello di 33 organizzazioni tra cui Amnesty, Arci, Beati i costruttori di Pace, Campagna banche armate, Cgil, Cipax, Fcei, Fondazione Finanza Etica, Greenpeace, Archivio Disarmo, Focolari, Opal, Oxfam, Pax Christi Italia, Rete Pace e Disarmo, Save the Children per ribadire l’importanza del rispetto nelle norme sopra citate. >>per approfondire
Ma soprattutto voglio ribadire che, come ci hanno ricordato i portuali di Livorno, Napoli, Ravenna, ognuno di noi può fare la differenza comportandosi con consapevolezza e la sensibilità.