Ci pensa Facebook di prima mattina a ricordarti che lo scorso giorno eri esattamente nello stesso luogo di oggi: dentro un supermercato con un carrello e 4 liste della spesa appiccicate in qualche modo con lo scotch. Eravamo all’inizio di una catastrofe che non ci potevamo immaginare, anticipata solo dal suono delle sirene a farci da colonna sonora di quei mesi ben oltre il 25 aprile, il giorno della Liberazione.
Non ci capivamo nulla del mostro che avevamo dentro in casa, ma eravamo convinti che l’unica parola chiave per non crollare fosse la solidarietà quotidiana nella vicinanza. Giovani che facevano la spesa per un’intera generazione di nonni, gruppi di quartiere impegnati a distribuire tutto il possibile a chi non ne aveva. Se dovessi raccontare quei mesi con un’immagine, partirei da quel paniere pieno di uova che la nostra vicina ha lasciato ai miei genitori sul bordo della ringhiera. Antiche tradizioni contadine fatte di sudore e mani che si stringono per condividere che da un giorno all’altro hanno assunto la forma dell’anonimato e di una distanza mai come quei giorni percepita come abissale.
Bergamo e Brescia non erano solo l’epicentro del Covid, erano il Covid in quei momenti. In pochissimi giorni siamo passati dal cantare “Napoletano Coronavirus” allo stadio Rigamonti a ritrovarci su ogni media del globo nelle vesti degli untori europei.
Abbiamo iniziato a conoscere i nomi e le facce dei nostri governanti locali, regionali e nazionali, provando ad aggrapparci un po’ di qui e di là alla speranza che quel periodo fosse solo una parentesi prima della consueta baldoria estiva. Ci abbiamo davvero messo poco a capire che l’unica ancora di salvezza fosse invece rappresentata dalle pratiche solidali di quartiere, ma anche ad abituarci al fatto che nelle sfere del potere più danni riuscivano a fare, più riuscivano a portare nell’opinione pubblica una narrazione lontana anni luce dal quotidiano di ognuno.
Un anno dopo abbiamo un altro governo e la stessa efficientissima amministrazione lombarda. Tanto efficiente che il mago della sanità lombarda ha abbandonato perché troppo stanco e nella campagna di riparazione invernale abbiamo acquistato il top player Bertolaso e la migliore ministra dell’educazione dai tempi di Platone. Un anno dopo dobbiamo sigillare a tratti figli e nipoti, ma non riusciamo a convincere genitori, zii e nonni che forse ci si può fermare al settimo specialino “d’asporto” con gli amici ottantenni vaccinati nel Duemilaemai.
Un anno dopo siamo ancora l’epicentro della pandemia, la situazione dei vaccini è disastrosa, ma continuano a raccontarci il loro mondo fatato. Il 5 marzo un geniale assessore di Regione Lombardia è riuscito a scrivere: “Arancione confermato. Grazie alle misure adottate dal presidente Attilio Fontana la Lombardia ha scongiurato la zona rossa”. Una battaglia con la dignità persa ogni giorno, ma sempre in ottima compagnia. Grazie Assessore Rolfi, qui stiamo da Dio.Vi ringrazia mia zia che ieri, dopo 24 ore in Pronto Soccorso in un ospedale della Provincia di Brescia, è stata trasferita a Vigevano- 100 km da qui. “E siete pure fortunati, perché almeno lei ha un letto”.
Noi le si ringrazia sì, le persone come questi infermieri che si fanno il culo ogni singolo giorno bardati da astronauti spaziali in ospedali, i dottori e i loro cellulari impazziti, i volontari sulle ambulanze. Tutti musicisti che continuano a suonare e portare la croce mentre il Titanic affonda e il comandante continua a raccontarci che è la nostra crociera ha comfort invidiati in tutto il mondo. Rimpiangiamo Schettino, mi creda.
Chissà che avrà da scrivere e chi dovrà ringraziare oggi che siamo finiti di nuovo in zona rossa. Provo a suggerirgliela io: “Abbiamo evitato la zona marrone grazie alle nostre misure, grazie Fontana!”. Qui non abbiamo più nulla da dire, se non chiedervi ancora una volta di smettere di tirarci per il culo. E augurarvi di trovare un briciolo di dignità e prendervi pure voi delle ferie. Meritate e lunghissime. Ci penseranno i fantasmi a farvi visita.