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Appunti di Cooperazione Internazionale

Ai confini dell’Europa. Bosnia 2019-2021: la rotta, i campi e i migranti

di Simona Degiorgi.

Da qualche mese si sente parlare molto delle condizioni dei profughi in Bosnia Erzegovina. Tantissime testate giornalistiche ne stanno scrivendo e numerose organizzazioni, anche italiane (es. RiVolti ai Balcani, One Bridge To Idomeni, Caritas Bergamasca), stanno effettuando raccolte fondi per aiutare i rifugiati intrappolati nel freddo, in particolare a Bihać. Noi di LeggeròLeggero avevamo lasciato questo angolo di Balcani a luglio 2019, quando il campo di Vučjak era appena stato costruito.
In continuità con il reportage Ai confini dell’Europa. La “nuova” rotta balcanica e la frontiera croato-bosniaca. , con questo articolo proviamo a ricostruire l’anno appena passato, evidenziando gli avvenimenti più salienti che hanno determinato la situazione attuale.

Lipa a gennaio 2021, dopo l’incendio.
Fonte: Dossier Balcani: La rotta balcanica – I migranti senza diritti nel cuore dell’Europa di RiVolti ai Balcani, 26 (2021)

GLI AVVENIMENTI DAL LUGLIO AL DICEMBRE 2019

A seguito del sovraffollamento dei campi già esistenti a Bihać (Bira, Borici e Sedra), a giugno 2019, viene aperto il campo di Vučjak con lo scopo di essere un insediamento temporaneo e di rimanere in uso per tre/quattro mesi, fino all’apertura di un campo ufficiale in collaborazione con l’UE e l’OIM. Il campo – sorto sull’area di una ex discarica e sito a circa 10 km dal confine croato – desta fin da subito grande sconcerto per le sue condizioni igienico-sanitarie. Con il passare dei mesi, le condizioni continuano a peggiorare così come continua ad aumentare il numero di rifugiati che vi vivono, nonostante le strutture siano inadeguate, soprattutto per l’inverno.
Visto anche il clamore mediatico suscitato dal campo, il sindaco di Bihać, in un’intervista di novembre, lamenta che l’amministrazione locale non è l’unica colpevole per la situazione, dato che è stata lasciata sola ad occuparsi di un flusso migratorio così rilevante senza aver mai ricevuto aiuti statali. Dichiara anche che l’amministrazione non si sarebbe più occupata delle spese legate al campo (acqua, elettricità o raccolta dei rifiuti). Nonostante questa protesta e la paura di un’ulteriore crisi umanitaria, la situazione non cambia per tutto l’autunno e i migranti restano a Vučjak (per approfondire: Camilli, 2019).
Solo a novembre 2019, data la continua pressione dei media e dell’Europa, le autorità bosniache decidono di chiuderlo e, dopo aver individuato nuove strutture dove trasferire i migranti (Blazuj e Hadžići, vicino a Sarajevo), lo smantellano definitivamente (dicembre 2019).

Vučjak inverno 2019.
Fonte: http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/rubriche/politica/2019/12/03/migrantibosniaconsiglio-deuropa-per-chiusura-campo-vucjak_55598c2d-1c72-4d65-acbe-ddc3a6691f4b.html?idPhoto=5

Nel frattempo, a Bihać, non vengono aperti nuovi centri per affrontare l’inverno e molti migranti si rifugiano in squat mentre altri si fermano a Tuzla – altro snodo centrale nelle rotte migratorie bosniache – accampandosi nei pressi della stazione dei bus dove vengono aiutati da volontari e piccole organizzazioni locali che distribuiscono cibo e coperte.

Tuzla, dicembre 2019 – Ph.: Martina Perrone
Fonte: https://www.meltingpot.org/Balkan-route-le-fotografie-da-Tuzla-e-il-campo-di- Vucjak.html?fbclid=IwAR3pv4e05c72TfukTpHQDZqDWdSNTOBA0xKby964DXrTgb5WjAb4NxhiYFE#.Xfkmuy2h06h

IL 2020

A marzo 2020, il Coronavirus arriva anche in Bosnia portando con sé il coprifuoco e il lockdown che interessarono sia i cittadini bosniaci sia i migranti risedenti nei centri, ai quali viene vietato il movimento al di fuori delle strutture di accoglienza temporanea. I centri sono però sovraffollati e le loro condizioni igieniche scarse: risulta impossibile mantenere la distanza di sicurezza o avere accesso a mascherine e la tensione all’interno è spesso alta. Al contempo, inoltre, i migranti che si trovano fuori dai campi non possono accedervi e sono costretti a vivere in vecchie abitazioni in disuso o nei boschi venendo visti dalla popolazione locale come una minaccia per la sicurezza sanitaria, in quanto possibili portatori di Covid.
Per questo motivo, vista la presenza di numerose persone fuori dai centri (si stima più di 2.000), viene deciso di aprire un campo di accoglienza a Lipa, a circa 30 km da Bihać. Il campo di Lipa viene aperto ad aprile 2020: è formato prevalentemente da tende, può ospitare fino a 1.000 persone ed è gestito dall’OIM. Anche questo campo è pensato per essere provvisorio e arginare la situazione emergenziale dovuta al Covid: evitare il sovraffollamento dei campi già esistenti e ridurre il numero dei migranti in giro per la città. Non vengono però allacciate né l’elettricità – che viene garantita solo con generatori – né l’acqua – che viene portata con le cisterne – determinando così una grande inadeguatezza infrastrutturale.

Campo di Lipa.
Fonte: https://www.ipsia-acli.it/it/notizie/item/481-un-fiume-in-piena.html

A settembre 2020, viene inoltre chiuso il campo di Bira. La motivazione ufficiale dei rappresentanti della città e del Cantone dell’Una Sana è che il campo non rispettava gli standard sanitari minimi; si può però presumere che la motivazione reale fosse il desiderio – già chiaro da luglio 19 – di chiudere i centri di accoglienza presenti in città e spostare i migranti fuori. A seguito della chiusura del Bira, un centinaio di minori non accompagnati viene riassegnato ai campi per famiglie di Borići e Sedra, altre centinaia di maschi adulti via bus vengono portate al Lipa (dove restano fuori dai cancelli perché spazio per loro non c’è) o a Sarajevo, mentre altri ancora partono per il game (RiVolti ai Balcani 2021, 26). Nel frattempo comunque l’arrivo di migranti non si ferma e, a ottobre 2020, vengono registrati 1.087 nuovi arrivi, portando così il numero totale di nuovi arrivi a 67.820 da gennaio 2018, di cui 14.557 solo nel 2020 (UNHCR, ottobre 2020).

Il 23 dicembre 2020, in pieno inverno, l’IOM, che da mesi chiedeva al governo di allacciare l’elettricità e l’acqua, decide di lasciare Lipa. In concomitanza con questo evento, nel campo scoppia un incendio che distrugge moltissime delle strutture esistenti. Si rende dunque necessario trovare nuovi spazi dove sistemare i circa 1.500 migranti, che, nel frattempo, non hanno più un riparo e devono affrontare il gelo e la neve. Molti di loro tentano di passare il confine, nonostante le condizioni metereologiche avverse, mentre altri vengono mandati in altri centri, vicino a Sarajevo. Per arginare la situazione, interviene anche l’esercito bosniaco che installa tende riscaldate, dove le persone possono ripararsi. Si tratta comunque di una soluzione precaria visto che il riscaldamento è dato da soffioni di aria e continuano a mancare acqua corrente e un sistema fognario.

I centri di accoglienza e le strutture di emergenza per persone in transito in Bosnia Erzegovina (dicembre 2020)
Fonte: La Rotta Balcanica – RiVolti ai Balcani

INIZIO 2021: IL CLAMORE MEDIATICO

L’incendio di Lipa determina l’inizio di una forte pressione mediatica sulla Bosnia. In Italia, moltissimi giornalisti ne iniziano a parlare denunciando le condizioni dei campi, le violenze dei pushback croati e le violazioni dei diritti lungo i confini sloveni e italiani.
A differenza di quanto però viene spesso riportato da media e giornali, questa situazione non è nuova né emergenziale: è ormai da 5 anni che i migranti percorrono la rotta balcanica che inizialmente passava dalla Serbia (2015-2017) e che dal 2018 ha iniziato ad interessare anche la Bosnia.
Le recenti parole di Anna Clementi – autrice di “Al-amal, Nei campi greci con i profughi siriani” e “Lungo la rotta balcanica, Viaggio nella storia dell’umanità del nostro tempo” – che da anni opera e lavora lungo la rotta descrivono perfettamente ciò che sta avvenendo e ricordano di come sia necessario utilizzare le parole giuste e analizzare dettagliatamente la questione, per capirne le cause ed evitare che quello che sta succedendo qui, accada, di nuovo, altrove:

“Ma per favore, usiamo le parole giuste, non chiamiamola emergenza. È da cinque anni che l’Unione Europea ha firmato un accordo con la Turchia, da tre che chi passa per la Bosnia viene abbandonato in terribili jungle o in campi istituzionali forse ancora più disumani. Quanto vediamo oggi è il risultato di deliberate politiche europee studiate a tavolino che nei luoghi di confine, in Bosnia come negli hotspot greci, si manifestano in tutta la loro crudeltà e brutalità sommandosi a complicati contesti locali. Non limitiamoci a curare le ferite senza capire chi le provoca, non dimentichiamo la Bosnia non appena i media cavalcheranno una nuova emergenza umanitaria, non costruiamo né legittimiamo l’esistenza di nuovi campi lager, ma impegniamoci ogni giorno per costruire un’Europa diversa, senza mai privare le persone della loro dignità” (Anna Clementi, 07/02/2021).


Suggerimenti per approfondimenti:

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Questa voce è stata pubblicata il 13 febbraio 2021 da in Migrazioni con tag , , , .
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