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Appunti di Cooperazione Internazionale

INSIEME PER IL DIALOGO. Contraddizioni, problemi e speranze nel Burkina Faso contemporaneo

A cura di Michele Tallarini.

Ouaga.

Di notte, guardando dall’aereo, Ouagadougou  appare come un’enorme isola di bagliori in mezzo a un mare nero, che, avvicinandosi, diventa una distesa sempre più ampia e definita di luci e case basse che si riflettono sulla sabbia rossa. Marco Aime la descrive come un “enorme accampamento romano, con le sue vie perpendicolari che formano quadrati tutti uguali[1]. In verità, una volta a terra, la regolarità vista dall’alto assume contorni più umani: il caldo, la polvere, le strade invase dai motorini e un’umanità vitale e indaffarata. Il lavoro e il commercio scorrono veloci sulle arterie stradali principali, le uniche asfaltate, ma è ai bordi di queste che è possibile scoprire la vera linfa che dà vita alla città: piccoli negozi, venditori ambulanti di frutta che attirano l’attenzione degli automobilisti, pergolati sotto ai quali si griglia la carne. Se poi ci si addentra nelle strade secondarie si scopre una Ouaga ancora circondata dalla brousse, con strade in terra battuta, arbusti, capre magrissime e a volte qualche cammello ad uso e consumo di noi turisti. Credo che sia proprio in questi vicoli che risiedano il fascino e le contraddizioni di una capitale che conta più di 2 milioni di abitanti ma che, almeno agli occhi di un occidentale, conserva un’anima a prima vista rurale.

Il Grand Marché di Ouagadougou. (foto di Michele Tallarini)

Il Grand Marché di Ouagadougou. (foto di Michele Tallarini)

Per dirlo ancora con la parole di Aime “[u]na città che pare non avere ancora deciso se diventare tale o rimanere un villaggio, solo un po’ più grande[2]: ai grandi palazzi governativi si affiancano piccole costruzioni improvvisate, ai motorini e alle auto carretti trainati dagli asini, al caos della centrale Rond point des Nations Unies il silenzio delle vie secondarie.

La cosa che più colpisce è la sensazione di calma che la città trasmette, pur in mezzo al rumore delle strade trafficate e al disordine organizzato che al visitatore occidentale pare senza senso, ma che fa intuire un mondo fatto di relazioni, rituali giornalieri, pratiche e strategie anarchiche -in realtà razionalissime- che vanno incontro alle esigenze quotidiane delle persone e della ville[3].

L’altro aspetto strabiliante è il contatto con le persone che, sotto un sole caldissimo e tra la polvere mossa dall’harmattan[4], ti accolgono con calma e gioia. Proprio questa leggerezza è una delle caratteristiche fondanti degli abitanti del Burkina Faso, un popolo composto da tantissime etnie ma che riesce a disinnescare i conflitti attraverso dei rapporti sociali basati sulla risata e, appunto, su una leggerezza che agli occhi dei visitatori appare straordinaria[5]. Proprio questo aspetto rappresenta un’altra apparente contraddizione rispetto ai problemi che da qualche anno affliggono il paese.

Una delle tante moschee presenti in città (foto di Michele Tallarini)

Una delle tante moschee presenti in città (foto di Michele Tallarini)

Il problema del terrorismo e delle violenze.

Un altro tratto distintivo della città sono i numerosi cartelli che indicano la presenza di organizzazioni non governative: il loro numero ai lati delle strade testimonia quanto sia nutrito il novero delle realtà occidentali che operano sul territorio burkinabé e quanto il settore della cooperazione internazionale sia importante per il paese. La cooperazione italiana ne rappresenta una buona fetta, testimoniata anche da una presenza piuttosto nutrita, per quel che ho potuto notare, di nostri connazionali a Ouaga. I campi di intervento principali sono quelli “classici” dei paesi del Sahel: sostegno allo sviluppo economico, interventi medico-sanitari, educazione alimentare. Tuttavia, nonostante la calma e l’ospitalità da me stesso sperimentate, negli ultimi anni un nuovo settore di intervento si è affacciato al mondo della cooperazione allo sviluppo del Burkina Faso, evidenziando tutta la gravità di un problema emergente: la prevenzione del terrorismo.

Riassumere in poche righe l’insorgere del fenomeno terroristico nel Sahel, e nello specifico in Burkina, è un compito arduo. Tuttavia, è possibile fornire alcune informazioni da utilizzare come bussola per meglio comprendere la questione. Sicuramente la caduta di Gheddafi in Libia, nel 2011, è stato un fattore chiave di destabilizzazione di tutta l’area saheliana, che ha visto il ritorno delle milizie tuareg (che supportavano il dittatore libico) e un ingente afflusso di armi sul mercato nero[6]. Ciò nonostante, il fenomeno terroristico è presente nell’area già dai primi anni 2000, con l’installazione nel nord del Mali dell’allora neo costituito al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM), che ha portato, nel giro di poco meno di due decenni, alla nascita di numerose altre sigle e all’escalation delle violenze. In generale, il terrorismo saheliano si lega strettamente  ad attività criminose come il traffico di armi, di stupefacenti e di esseri umani, che hanno nell’area uno degli snodi principali a livello internazionale[7]. Inoltre, la situazione economica e politica della regione, caratterizzata da profonda povertà, grandi disuguaglianze e poteri statali incapaci di rispondere alle esigenze dei cittadini, fungono da terreno fertile al diffondersi di queste organizzazioni.

 

 

 

Fonte: CSIS Africa Progam

Fonte: CSIS Africa Progam

Questi elementi sono alla base anche dell’espansione dei gruppi terroristici in Burkina: la fragilità del potere politico, la povertà, le tensioni per l’accesso alla terra nelle zone rurali[8], le tensioni politiche sfociate nell’insurrezione del 2014 che ha portato alla caduta dell’allora Presidente Compaorè sono tra i fattori che hanno accentuato quelle violenze che ormai sembrano essere diventate ordinarie. Sono datati 15 gennaio 2016 gli attentati all’hotel «Splendid» e al caffè «Il Cappuccino», rivendicati da AQIM, che causano 30 morti, 56 feriti e un totale di 176 persone tenute in ostaggio: da allora, altri episodi di violenza si sono susseguiti nella capitale e, in particolar modo, nelle province esterne confinanti con il Mali. Proprio in relazione alla provenienza dei gruppi operanti nella regione, è da sfatare la convinzione che vede il Burkina come vittima di una “esportazione” delle attività terroristiche maliane: se infatti gruppi come AQIM e l’Etat islamique en Afrique de l’Ouest (EIAO) sono effettivamente basati in Mali, secondo uno studio dell’International Crisis Group realtà come Ansarul Islam sarebbero autoctone del Burkina Faso[9]. Ciò rappresenta il segnale, oltre che della definitiva endemizzazione del problema, anche di un disagio profondo all’interno di alcuni strati della popolazione burkinabè, in particolare quelli rurali, che non trova risposta nelle istituzioni, rischiando di far precipitare la situazione e di estendere definitivamente il conflitto maliano anche alla “Terra degli uomini integri”[10].

Progettomondo MLAL e l’impegno per la prevenzione del radicalismo violento.

L’acuirsi del problema della violenza terroristica sul territorio burkinabè ha fatto emergere la tematica della prevenzione del fenomeno quale obiettivo strategico su cui concentrare gli interventi in ambito di cooperazione internazionale. In effetti, i miei viaggi a Ouagadougou sono legati a un progetto con questa finalità. Insieme per il dialogo, contro la diffusione del radicalismo violento è un progetto ideato e gestito da Progettomondo MLAL, ONG italiana che da anni opera in Burkina Faso, e co-finanziato dall’Unione Europea. L’obiettivo principale è la prevenzione del radicalismo, soprattutto nei giovani, attraverso il rafforzamento del dialogo inter-religioso e inter-comunitario, il potenziamento della società civile e la formazione all’interno delle associazioni, nei centri giovanili e nelle scuole. L’importanza strategica di focalizzare l’intervento sulla fascia più giovane è giustificata, oltre che dall’effettiva loro sensibilità alla radicalizzazione, anche da un aspetto prettamente demografico: l’età media in Burkina è estremamente bassa e i giovani rappresentano, oltre che la maggioritaria, anche la parte più dinamica e portatrice di cambiamento dell’intera società.

Nel contesto del progetto, il mio gruppo di lavoro collabora con MLAL per la creazione di un programma didattico che sviluppi tutte quelle competenze, personali e sociali, essenziali allo sviluppo di giovani cittadini attivi capaci di opporsi a messaggi e dinamiche potenzialmente radicalizzanti, attraverso la promozione dello spirito critico, della valorizzazione delle pluralità e del raggiungimento del benessere individuale e collettivo.

Il percorso educativo si articola in diverse azioni per lo sviluppo di competenze specifiche, servendosi di esercizi prettamente pratici. La nostra presenza sul territorio si traduce in azioni di formazione dirette agli operatori che dovranno portare il programma all’interno delle realtà educative. Attualmente è in corso la fase di formazione nelle scuole, con qualche ritardo dovuto all’emergenza COVID-19, presente anche in Burkina.

Rappresentazione teatrale scolastica (foto di Michele Tallarini)

Rappresentazione teatrale scolastica (foto di Michele Tallarini)

Iniziative del genere sembrano trovare terreno fertile nel paese: durante il mio secondo viaggio a Ouaga, a gennaio di quest’anno, ho avuto modo di visitare un istituto scolastico e di assistere a una rassegna teatrale tenuta dagli studenti (come partner del progetto c’è anche un’associazione locale di artisti di strada, che ha realizzato questa ed altre iniziative tra gli alunni); sono rimasto profondamente colpito dalla loro leggerezza ma anche dalla comprensione che hanno dell’importanza della coesione all’interno della comunità, e di come in tal senso le istanze radicaliste siano disgreganti. Questi sono sicuramente segnali importanti che, insieme all’accoglienza e alla tolleranza che questo popolo mi ha dimostrato, fanno ben sperare per il futuro. Tuttavia, soprattutto fuori dalla capitale, il paese sembra precipitare sempre più verso un punto di non ritorno: le violenze si moltiplicano, gli attacchi si fanno più frequenti, la situazione della regione sempre più instabile. Ancora, mi sembra che convivano due anime all’interno di questa nazione: alla bontà che le persone dimostrano nel quotidiano si oppongono problemi ormai endemici come l’assenza delle istituzioni, la povertà e le ingiustizie, aggravati da un teatro saheliano ormai diventato a tutti gli effetti una zona di conflitto.

Proprio per la presenza di queste contraddizioni, interventi come quelli di MLAL sono essenziali per ridare speranza a un popolo che vive quotidianamente sulla sua pelle i problemi e le violenze portate del terrorismo e dell’instabilità. Il dialogo, l’educazione alla cittadinanza attiva e al senso comunitario, specialmente tra le nuove generazioni, insieme a un intervento politico serio ed efficace, rappresentano una via obbligata per far crescere la consapevolezza, rinsaldare rapporti sociali logorati e ridare speranza a una nazione che negli anni ha fatto della coesione, del dialogo e della convivenza tra genti ed etnie le sue ragioni d’esistere.

Proposte di lettura.

Per quel che riguarda il Burkina Faso e il Sahel in generale, l’opera di Marco Aime risulta interessantissima e accessibile a qualsiasi tipo di lettore, anche a chi si approccia per la prima volta a questa area geografica: l’antropologo descrive i suoi viaggi tra Mali e Burkina in numerosi diari di viaggio editi, dandoci uno spaccato della vita e della cultura dei popoli saheliani fuori dagli schemi e dagli stereotipi. In particolare in Le radici nella sabbia, viaggio in Mali e Burkina Faso (EDT edizioni, 2013, 178 pagine, 12 euro) ci offre una bellissima descrizione di Ouagadougou, della sua vita, della sua gente e delle sue contraddizioni. Personalmente, anche se non parla direttamente del Burkina, ho trovato molto interessante Avventure in Africa di Gianni Celati (Feltrinelli, 2011, 179 pagine, 7,50 euro), raccolta degli appunti di un viaggio tra Mali, Senegal e Mauritania che il narratore emiliano compie con l’amico Jean Talon per la realizzazione di un documentario sui guaritori dogon.

Per informazioni riguardo la situazione saheliana possono essere consultati gli interessantissimi report dell’ International Crisis Group (consultabili in inglese e francese), del SIPRI e, per i lettori italiani, di Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo.

Per informazioni riguardo le attività di Progettomondo MLAL, non solo in Burkina ma anche in altre zone, in particolare Africa e Sudamerica, è possibile consultare il sito www.progettomondomlal.org, all’interno del quale sono descritte le iniziative e le aree di intervento.


Note

[1] M. Aime, Le radici nella sabbia. Viaggio in Mali e Burkina Faso, 2013, EDT, p.121

[2] Ibid. p. 120

[3] “città” in francese

[4] Vento secco che soffia dal Sahara

[5] Tra le pratiche sociali che servono a rinsaldare i rapporti comunitari, la più importante è la Parenté à plaisanteire, diffusa in tutta l’Africa Occidentale, ma che in Burkina Faso ha trovato un’applicazione originale. Brevemente, si tratta di un pratica che permette di intrattenere, con i membri della altre culture, rapporti basati sullo scherzo socialmente regolato.

[6] Si veda, ad esempio: F. Generoso, La Crisi Libica e i suoi effetti nel nord Africa e nel Sahel, 8 gennaio 2019, in Opinio Juris 

[7] Sull’argomento si veda il rapporto: M. Di Liddo, F. Terenghi, A. Cerasuolo, V. Piol, Le caapcità italiane di contrasto alla criminalità organizzata come strumento di stabilizzazione in Africa Occidentale, Centro Studi Internazionali, Aprile 2019. Si veda, inoltre, l’articolo Sahel, il terrorismo si fa guerra

[8] Il problema fondiario ha avuto un ruolo determinante nella crescita del malcontento e nello scoppio delle violenze nelle zone rurali. In particolare, la legge fondiaria del 2009 ha rappresentato un motivo di aggravamento delle tensioni, indebolendo il diritto di proprietà degli autoctoni e portando a diversi episodi di espropriazione di terreni agricoli. Sull’argomento si veda: International Crisis Group, Burkina Faso: sortir de la spirale des violences, Rapport Afrique N°287, 24 février 2020, p.6

[9] International Crisis Group, Burkina Faso: sortir de la spirale des violences, Rapport Afrique N°287, 24 février 2020

[10] Traduzione italiana del termine Burkina Faso, formato da due parole in more e bamabara (due delle lingue tradizionali maggiormente parlate nel paese). Tale nome fu scelto nel 1984 dall’allora presidente Thomas Sankara (1949-1987) in sostituzione di “Alto Volta”, denominazione precedentemente utilizzata per denominare la nazione.

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