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Appunti di Cooperazione Internazionale

Strategie di resilienza trans-culturale, ovvero la lunga convalescenza della “social catena”

A cura di Silvia Giordano

Ebbene sì, lo ammetto. Anche io in questi mesi ho cercato un rifugio nei miliardi di parole ancora vive, predatrici fra loro e tormentate nel comprendere una realtà che ancora ci agita e ci interroga.

I voli di lavoro cancellati hanno rivoluzionato il modo che concepivo fino a tre mesi fa di lavorare per e nella cooperazione culturale. Come per molti/e la mia tana sono state le letture, gli incontri virtuali, la ricerca di un corpo connesso via etere a milioni, a miliardi di altri nella perturbazione collettiva che ha letteralmente scosso il mondo. A questo è stato difficile dare una forma. Perché la pesantissima e indicibile ondata di devastazione che ha riguardato molti e molte, la mia città in primis, non è una ferita che si riassorbirà nel breve periodo.

Io, nel mio piccolo bilocale di mondi antichi, con i sogni alla finestra e le mani calamitate alla tastiera, ho provato a guardare in faccia colleghe e colleghi che per la cultura non hanno mai smesso di lavorare. Mi è mancato il contatto visivo dal vivo, nelle traiettorie degli sguardi incarnate dai respiri e dagli odori. Qualche pensiero, dal cannocchiale del lockdown, lo raccolgo in queste righe.

*FASE I: fari spenti  

Il bilancio, pesantissimo, del settore culturale – in particolare delle arti performative – è stato a lungo un piccolo numero in mezzo al mare del disastro che ha fatto perdere lucidità e ampiezza di sguardi. Chiaro: l’emergenza si è mangiata tutto, l’ordine di priorità scompaginato ha soverchiato ogni possibile riflessione sul ruolo della cultura nelle dinamiche sociali.

Nel frattempo, all’oscuro dei media, la perdita di posti di lavoro e il caos che ben oltre la contingenza pandemica contraddistingue da sempre il mosaico contrattuale dei lavoratori dello spettacolo hanno creato incertezza ovunque in Italia e nel mondo.

In Europa il drastico taglio ha interessato soprattutto Spagna e Italia (approfondimento a cura di Marta Galli); nel Regno Unito non c’è stato un ordine immediato di chiusura, ma le indicazioni di restare a casa hanno pesantemente diminuito la sostenibilità dei luoghi di cultura. E di certo, la Brexit non ha aiutato.

C’è chi si è mosso da subito per provare a quantificare perdite economiche, perdite di spettatori e spettatrici, perdite di professionisti che non hanno percepito stipendio e che si sono visti completamente privati di ogni possibilità di azione – il caso della Repubblica Ceca. Qualcos’altro di più sottile, indecifrabile e difficilmente quantificabile si è pure perso: il contatto fra il pubblico e gli artisti. Alle categorie “incommensurabili” si aggiunge l’impatto emotivo, psicologico, umano delle relazioni sospese. 

Sala vuota del Teatro Prova di Bergamo (Ph. Silvia Giordano)

Sala vuota del Teatro Prova di Bergamo (Ph. Silvia Giordano)

Eppure, dietro le quinte, qualcosa si è mosso: artisti da ogni angolo del mondo hanno rilanciato le proprie sfide rimaste in sordina o addirittura ingigantite dai contesti socio-politici che alla cultura e all’informazione sottraggono già libertà di espressione – l’osservatorio dell’International Press Institute ha continuato a rilevare le violazioni del pianeta anche durante il Covid.

Amici e amiche incontrati/e in questi anni in viaggio sono stati una presenza fissa nell’arco delle settimane di isolamento. Filip, dalla Polonia, in un incontro fra ex-compagni di campus organizzato ogni anno dalla piattaforma IETM, ci parla di una forma di resistenza sollevatasi dalle finestre della sua città: mentre imperversa la pandemia, il governo ha pensato bene di tagliare programmi di educazione sessuale nelle scuole. Non potendo uscire, le persone protestano esponendo cartelli dalla finestra.

Filip Pawlak (producer del Nowy Teatr) - Polonia

Filip Pawlak (producer del Nowy Teatr) – Polonia

*FASE II: le torce dai camerini

Le occasioni di reagire virtualmente alla crisi sono state numerosissime, tutte mosse da uno spirito cooperativo che ha percorso le reti e le piattaforme internazionali. Da operatrice e piccola artigiana di progettualità internazionali, ho cercato di non perdermene una: meeting di networking (facciamo rete dal divano), webinar (seminari trasmessi online), video-conferenze, live-streaming di spettacoli, proposte artistiche migrate sul web come un improbabile viaggio su Marte e proposte che, già nate sul digitale, hanno reclamato la propria autorialità artistica.

Osservare, studiare, provare a comprendere. Digitale sì, digitale no? Il digital divide, l’illusoria proposta di un’accessibilità estesa, un’inclusione ingannevole – sempre per molti ma non per tutti, il senso di rendere virtuale ciò che per definizione vive nel qui, nell’ora, dell’incontro di corpi sudati e appassionati. Sembra una relazione d’amore, e in effetti lo è. 

Sono numerosissime le occasioni aperte sul web per dare spazio a voci dallo spettacolo dal vivo, dalle piattaforme, dai professionisti impegnati ogni giorno nella promozione di iniziative culturali nel mondo performativo. Le tastiere sono le uniche superfici cui è concesso il calore dei nostri corpi. 

Cito un’esperienza che ho seguito per intero, il progetto 𝐖𝐞𝐛𝐢𝐧𝐀𝐫𝐭𝐧𝐮𝐨𝐯𝐞 𝐬𝐭𝐫𝐚𝐭𝐞𝐠𝐢𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐥𝐨 𝐬𝐩𝐞𝐭𝐭𝐚𝐜𝐨𝐥𝐨 𝐝𝐚𝐥 𝐯𝐢𝐯𝐨, un ciclo di seminari digitali promosso da Theatron 2.0 e L’ultimo nastro di Krapp, che ha accompagnato le riflessioni di tanti operatori fra aprile e maggio scorsi. L’iniziativa, patrocinata da Progetto Cresco, si è incaricata di offrire delle formazioni estremamente preziose con ospiti di spicco tanto nelle arti performative, quanto nei network nazionali e internazionali dedicati alla cultura.

Tanti i “takeaways” raccolti: il digitale come sfida economica e di senso per la fruizione culturale; i livelli problematici della visibilità del teatro, della danza, della musica dal vivo e di tutte le forme d’arte performativa interrotte; le reti e le alleanze come misure ora più che mai necessarie per ricostruire un tessuto sociale e culturale con tutti gli strumenti creativi possibili. Una sfida nella sfida: ampliare l’orizzonte della fruizione culturale – sebbene in Europa un terzo dichiari di non partecipare ad alcuna attività, già scarsa prima della pandemia, in un mondo da ridisegnare.

*FASE III: le maschere necessarie

Come si torna alla normalità? Sarà possibile avere di nuovo quello cui eravamo abituati/e fino a febbraio scorso? E soprattutto, vogliamo davvero tornare alla normalità? Domande di senso, più o meno “marzulliane”, continuano ad attraversare le menti e le braccia di chi ha ricominciato a lavorare per le arti performative. L’Europa come uno dei fari da rimettere a posto rientrando in questa sala sconquassata che ora accoglierà meno pubblico, adeguatamente contingentato, igienizzato, distanziato e tracciato. Ci vogliono solidarietà, flessibilità di pensiero, strategia, una dose infinita di pazienza. Ma occorre anche ripensare alle alleanze trans-settoriali, riconoscendo che la cultura ha valore perché vive nelle relazioni e si nutre della vita sociale restituendole orizzonti di senso. 

E sì, ci vogliono pure tante, tantissime occasioni di dialogo con le istituzioni. Il 26 marzo il Parlamento Europeo ha approvato misure ingenti di sostegno ai programmi dedicati alla cultura, con una risposta immediata di 37 miliardi per i paesi, le regioni e i cittadini maggiormente colpiti dal virus. Culture Action Europe, organizzazione attiva da oltre 25 anni su azioni di advocacy e lobbying in ambito culturale, ha portato avanti una richiesta chiara in tal senso: destinare almeno il 7% del bilancio del Recovery Fund alla cultura. Com’è finita? Purtroppo si è registrato un passo indietro dell’Europa con solo lo 0,08% di fondi complessivi destinati al programma Europa Creativa. 

Le sfide rimangono, cambiano forma e ci ricordano che compito privilegiato delle arti è anche quello di dare risposte di senso al presente. Una consapevolezza in più, nelle mirabolanti riflessioni procurateci dalla pandemia, ristagna in una frase divenuta comune a tanti settori colpiti: “siamo tutti nello stesso mare, ma navighiamo con barche diverse”. 

Occorrono nuovi modelli produttivi, nuove strategie di distribuzione, rinnovati schemi di fruizione che tengano conto della necessaria sostenibilità – ambientale, economica, umana e artistica. 

L’arte, come opportunità di riadattamento. Per un ecosistema autenticamente vicino alle comunità e agli immaginari di tutti/e e di ciascuno/a. 

Per approfondire

https://www.che-fare.com/galli-sistema-culturale-lavoro-2/?fbclid=IwAR0i49M4ELwPVMI0qpRGN97BuAoatSbDbUQM5oop4kk9DsxrRI0XR5BYYVQ

https://www.ietm.org/en/where-does-freedom-of-expression-remain-webinar/video

https://eacea.ec.europa.eu/about-eacea/news/coronavirus-implications-for-implementation-programmes-managed-eacea_en?fbclid=IwAR2W18oweN0EuFxx9Dqd5b_HQi-C2CCmBq5WSkph4Gt7IVC5TxwBwOJiNw0

https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_20_459

 

 

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