A cura di Alessandra Cominetti
Qualcuno mi aveva messo in testa e nel cuore una paura strana, incontrollabile e irrazionale.
Avevo paura dell’Islam.
E degli islamici.
Perché è così che chiamiamo i musulmani quando ne abbiamo paura, o quando vogliamo che gli altri ne abbiano paura.
Islamici.
Islamici è molto vicino a integralisti islamici.
E questa piccola combinazione di parole apre lo sguardo su quell’idea arcaica, polverosa, falsa e ignorante che abbiamo nei riguardi delle persone che professano una delle religioni più importanti al mondo, una delle religioni più simili alla nostra.
Me lo ricordo quando avevo paura degli islamici, quando mi avevano convinta che “Allah u Akbar” fosse un grido inneggiante alla morte e al martirio, quando mi avevano insegnato che la libertà non era coprirsi, ma esporsi agli sguardi. Gli stessi sguardi che poi però ti dicono che “te la sei cercata”.
Me lo ricordo quando sentivo le persone imitare in modo sarcastico e sprezzante il suono di quella lingua, senza sapere che fosse una delle lingue più romantiche e dolci del mondo.
Me lo ricordo quando “gli assassini retrogradi” hanno abbattuto le Torri Gemelle, e allora noi siamo andati a casa loro – ma poi loro chi sono? – per insegnare l’educazione.
Il disegno realizzato da una ragazza siriana per decorare la propria casa in occasione del mese sacro del Ramadan
Poi tante esperienze, viaggi, persone, volti, parole, parole nuove, parole difficili da pronunciare.
Sono stata fortunata.
Ho la fortuna di aver conosciuto tante persone musulmane che mi hanno aperto il loro cuore, prima ancora che io superassi quella stupida paura che i media insegnano ad ognuno di noi.
E allora sono entrata nell’intimità di case piene di bambini orgogliosi dei loro vestiti nuovi comprati per la festa, proprio come fosse Natale.
E ho scoperto che dietro ad un velo si nascondono storie, riflessioni, ma soprattutto donne, orgogliose e tenaci. Donne importanti e combattive, proprio come le donne che invece rivendicano il diritto a toglierlo, il velo.
E ho provato a digiunare, con quella gola bruciante alle sei del pomeriggio, quando il sacrificio non è niente, rispetto alla soddisfazione di avercela fatta. Quel sacrificio, proprio come se fosse Quaresima.
E mi sono seduta con loro, nel più lussuoso ristorante di Beirut, o in una tenda, a terra, con i piedi scalzi, aspettando l’ora giusta per gustare, finalmente, un dolcissimo dattero.
La rottura del digiuno, Iftar
Una volta un mio amico mi ha spiegato che una giornata di digiuno durante il Ramadan non è altro che una metafora della vita: inizi la giornata con tanta energia, proprio come un bambino, poi, col passare delle ore, o degli anni, piano piano invecchi, sei sempre più stanco e debole. Ma è necessario diventare così debole da morire, per raggiungere ciò che c’è dopo l’interruzione del digiuno, dopo la morte: il paradiso.
Scrivo queste parole di getto, come riportando immagini che si succedono senza sosta nella mia mente. Ma cosa voglio dirvi davvero?
Voglio dirvi che dobbiamo smetterla di avere paura, che dobbiamo smetterla di cascarci, dobbiamo smetterla di farci spaventare da frasi ad effetto che ci fanno puntare il dito contro i nemici sbagliati.
Silvia Romano è libera, non sono un’esperta di rapimenti, riscatti, servizi segreti e infatti non intendo scrivere al riguardo.
Ma c’è qualcosa che davvero voglio dire a proposito di tutta la questione: non è importante se la sua conversione sia vera o fittizia, non è importante come si vesta. Non è l’Islam il problema, non è la possibile conversione di Silvia il problema. Silvia Romano è libera. Ed è libera di essere ciò che vuole e di chiamarsi come le piace.
A nostra volta potremmo fare un passo verso la libertà, quella vera. E mi riferisco a quella libertà che solo la conoscenza e il contatto con gli altri possono darci. Sentiamoci liberi di non avere paura degli altri, sentiamoci liberi di conoscere gli altri. Scopriremo un mondo di somiglianze rassicuranti e di diversità stimolanti.
Pare tutta retorica, ma non lo è. E io oggi, quando si festeggia la libertà di Silvia, io oggi, quando si festeggia la fine del Ramadan, mi sento fortunata. Sono fortunata perché ho avuto la libertà di conoscere un mondo di altri da me, così simili a me.
Una moschea e una chiesa a pochi metri di distanza nel centro di Beirut