a cura di Matteo Marsala.
Il 29 marzo 2020 sarebbe stato il giorno del referendum inerente alle «modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari» o come più comunemente siamo abituati a riconoscerlo il “referendum sul taglio dei parlamentari”.
Ora abbiamo assolutamente altre priorità, e forse in realtà tale materia non è mai stata una priorità, mi piaceva l’idea di portare questa riflessione per ricordare un sentore di normalità e perchè forse, ora che non siamo annebbiati (speriamo) da continui e sterili dibattiti squisitamente votati al consenso, possiamo essere più lucidi nell’affrontare discorsi di questa natura e non ragionare con la mortale logica del “partito preso”.
Per approcciarsi nel modo migliore al discorso è utile far propria la premessa ormai ribadita da molti giuristi: la convinzione diffusa secondo la quale l’Italia rappresenti un’anomalia per l’eccessivo numero dei suoi rappresentanti parlamentari è falsa. L’Italia ha una percentuale di deputati ogni 100 mila abitanti pari a 1, in linea con altri stati europei come Gran Bretagna, Francia e Germania ed inferiore ad altri come Austria (2.1), Danimarca (3.1) e Grecia (2.8). Se è vero che questo dato va integrato con i numeri dei rappresentanti del Senato, è altrettanto vero che la narrazione che fa dell’Italia un paese con un numero inspiegabile di rappresentanti non ha radici nella realtà, eppure questa credenza ha avuto spesso importanza rilevante nel dibattito inerente alla riforma.
Una riduzione della suddetta percentuale e quindi una riduzione del numero dei parlamentari, comporta delle conseguenze riguardanti sia la forma che la sostanza della nostra democrazia. Questo ragionamento non è scontato e non sempre è stato preso in considerazione nel dibattito sul tema (anzi tante volte è stato totalmente ribaltato). Dal punto di vista formale le modifiche agli articoli 56-57-59 della Costituzione, oltre alla riduzione del numero di senatori e deputati, comporterebbero complicati adattamenti dei vari regolamenti parlamentari. Ma mentre le conseguenze formali possono considerarsi più immediate da riconoscere, troppo spesso rimangono celate le ripercussioni che questa riforma comporterebbe su alcuni aspetti sostanziali. Potrebbe non essere immediato cogliere il fatto che si vada inesorabilmente incontro ad un allargamento della distanza tra elettore ed eletto, mettendo in serio pericolo il delicato equilibrio necessario nei sistemi di democrazia pluralista: quello tra legittimità e governabilità. C’è infatti chi millanta un sostanzioso aumento della governabilità dato da un’eventuale riduzione del numero dei nostri rappresentanti, aspetto che viene smentito dal ragionamento di Omar Chessa nel suo articolo “Sul taglio dei parlamentari”, (lacostituzione.info, 10 ottobre 2019). Secondo Chessa infatti la farraginosità dei processi democratici, dovuti alle numerose idee rappresentate in parlamento, non verrà superata con l’abbattimento del numero dei parlamentari. L’eterogeneità delle idee è infatti spesso riconducibile ai partiti presenti nelle camere e non unicamente ai singoli deputati e senatori e, dato che i partiti non saranno direttamente toccati da questa riforma, ci saranno comunque numerose idee presenti in parlamento (per fortuna aggiungerei). Queste idee dovranno essere ascoltate e discusse, perché è questo aspetto che determina la qualità del sistema democratico, non la quantità di provvedimenti adottati.
Ma anche se provassimo a prescindere dalla puntuale osservazione di Chessa, quindi anche se ipotizzassimo che il taglio dei parlamentari gioverebbe significativamente sulla governabilità, rimarrebbe comunque perentorio il problema della rappresentanza. Ormai da molti anni si denuncia una crisi di rappresentanza, ciò mina fortemente l’aspetto della legittimità delle nostre istituzioni, a ragion di logica questa crisi non potrebbe che aggravarsi con la riduzione dei nostri rappresentanti e il conseguente calo di identificazione da parte degli elettori negli eletti. Diminuendo la rappresentanza si indebolisce il parlamento, poco importa che, come dicono molti, si dia più autorità al parlamentare, la riduzione di rappresentanza comporta necessariamente una regressione della democrazia.
Un altro interrogativo centrale per un giusto discernimento della materia in questione è: perché viene attribuita tanta importanza all’efficienza e quindi alla governabilità? Efficienza in favore di chi? Di cosa? Un’ipotesi di risposta mi si è presentata leggendo il testo giuridico “Perché ridurre il numero dei parlamentari è contro la democrazia” di Alessandra Algostino, ed è un altro dei grandi temi nella politica ai tempi della globalizzazione, ossia che la percezione è quella che l’efficacia tanto rivendicata riguardi la ratifica di decisioni prese altrove, “nella nebulosa della global economic governance, e non la creazione di un parlamento forte, capace di decisioni politiche. Tale considerazione non è assolutamente inverosimile e ciò getta ulteriori ostacoli al processo di centralizzazione del parlamento e del suo inveramento “quale organo, attraverso la mediazione della rappresentanza, di autogoverno dei cittadini, nella loro pluralità”.
Un’altra colonna portante della narrazione circa sopra questa riforma è incentrata sui costi della politica, interviene bene su questo Omar Chessa il quale ricorda che in realtà i costi sarebbero si diminuiti, ma in una percentuale praticamente irrilevante, considerando che la rappresentanza italiana incide solo per lo 0.007% sulla spesa pubblica italiana. In merito a questo aspetto vorrei condividere con voi una riflessione di Rocco Artifoni, nel suo articolo “Taglio Dei Parlamentari E Difetto Della Logica” pubblicato su Pre-essenza il 16 febbraio 2020, rispondendo appunto alla convinzione che il taglio dei parlamentari abbia significativi benefici economici, afferma: “se si volesse davvero tagliare la spesa della politica, la strada più semplice e coerente sarebbe stata quella di diminuire gli emolumenti ai parlamentari. Sarebbe bastata una legge ordinaria, senza modificare la Costituzione”. Anche in questo caso il dibattitto concernente le modifiche in esame è basato su una narrazione insana con il solo scopo di creare consenso politico (non se ne può più di quest’interazione politica strategica nefasta alla democrazia).
questa revisione costituzionale è priva di giustificazione razionale.
La professoressa Algostino (sempre nel suo articolo sopracitato) rilancia offrendo anche spunti sui quali lavorare. L’Algostino suggerisce infatti: “Occorre immaginare altre soluzioni, riforme in tema di attribuzioni e di poteri in grado di restituire al Parlamento un ruolo di indirizzo e controllo nei confronti del Governo, magari con un incisivo statuto delle opposizioni; e, nel contempo, restaurare la fiducia dei cittadini nell’organo e nei suoi componenti, in primis, attraverso una legge elettorale proporzionale”; si augura anche una riforma del “sistema partito” atta a dare effettivo valore all’articolo 49 della Costituzione.
È necessario aver ben presente la crisi che il nostro sistema parlamentare sta attraversando, sempre più sostanzialmente esautorato (il 74% delle leggi è di natura governativa), sempre meno rappresentativo della complessa eterogeneità del nostro popolo. Sono effettivamente problemi da risolvere ma non, a mio parere, con riforme di facciata, serve un effettivo lavoro democratico di condivisione e riprogettazione strutturale.
Matteo Marsala