Scrivo da un interminabile, trafficato tragitto in macchina, lo stereo è sintonizzato su “Radio Radicale”, alla Camera si disquisisce dei massimi sistemi. Seguire gli interventi è faticoso ma importante. L’ordine del giorno prevede la discussione sul famigerato “GREEN NEW-DEAL”, prendono la parola deputati di diversi schieramenti, la contesa è apparentemente democratica, come ci si aspetta in uno stato di diritto; una cosa però colpisce, senza darmi scampo, la mia attenzione: non ci sono punti in comune tra i diversi schieramenti, gli interventi si contraddicono l’un l’altro, una contraddizione fondata sulla natura stessa dell’intervento e non sulla diversa lettura che si può formulare sull’argomento (una contraddizione radicata nei fatti oggettivi non sulle idee, ma come può esserci contraddizione su un qualcosa di oggettivo?), è quindi difficile se non impossibile riuscire ad estrapolare fondamenti di verità da quello che viene esposto. L’ascoltatore non può far altro che dare fiducia a ciò che viene affermato dai componenti del proprio schieramento. Qualcuno potrebbe obbiettare che ciò fa parte della democrazia, si discute e si vota, vero, ma per costruire un dibattito costruttivo, e non soltanto oppositivo, è necessario stabilire un comune significato di “discussione” o meglio di “discussione democratica”. Bisogna quindi riconoscersi in un bene comune condiviso, (i metodi e le idee per raggiungerlo possono essere diversi, ma lo scopo deve essere condiviso, se no come si può pensare di lavorare insieme?), è necessario avere l’onestà intellettuale di dividere l’ideologia dalle verità oggettive. È impossibile dar vita ad un processo democratico se si agisce per “partito preso”. Eppure questa dialettica sembra essere prediletta da tutti gli schieramenti presenti in Parlamento, è con questi presupposti che si instaura la democrazia della post-realtà, un sistema in cui la tesi non viene formulata in base alla realtà obbiettiva del contesto circostante, al contrario la verità del contesto è controllata e rielaborata a favore della tesi. Ma quando la realtà si adatta alla tesi, e non viceversa, si instaura inevitabilmente un debito comunicativo con chiunque altro abbia sposato un diverso ragionamento: se la mia tesi è realtà l’antitesi è, per forza di cose, menzogna. Questa è un’altra grave malattia della democrazia, e se non presa in tempo potrebbe diventare anche mortale.
Nella post realtà diventa vero ciò che è falso e falso ciò che è vero, dipende tutto da chi dice e come lo dice. Non ci sono più fondamenta, la nostra casa democratica è fatta di fieno, per quanto bella possa sembrare basterà il soffio di un lupo per abbatterla. Abbiamo bisogno di mattoni, di certezze. Bisogna costruire la nostra casa su un dialogo refrattario, fondato saldamente sulla condivisione di un comune obbiettivo. Solo in questo modo la nostra casa sarà solida e i nostri figli potranno abitarla, perché quando si parla di politica non si può prescindere dal considerare il “dopo di noi”. È un impegno che riguarda tuti noi, non parlare per aver ragione ma parlare per raggiungere una ragione comune. Se manca ciò qualsiasi altro discorso sui massimi sistemi non può che essere una gara a chi urla di più, o a chi urla meglio e il nostro paese, succube di una narrazione sterile, sarà in balia degli spifferi di vento che minacciano la salute della nostra casa comune.
MATTEO MARSALA