A cura di Giovanni Ducoli.
La riforma costituzionale per la riduzione del numero del numero dei parlamentari è ormai giunta al suo traguardo. La quarta ed ultima votazione ha avuto luogo lo scorso 8 ottobre alla Camera dei Deputati, e ha visto concorde la stragrande maggioranza dei presenti.
Il cosiddetto “taglio delle poltrone” ha raccolto un consenso quasi unanime e trasversale, del tutto inedito e a tratti ingiustificato, dal momento che nel leggere le dichiarazioni dei singoli componenti dell’assemblea, sono forti e ben presenti alcuni tratti di scetticismo a questa riforma.
Basti pensare all’oggetto della riforma: si è voluto mettere in discussione il numero dei rappresentanti del parlamento piuttosto che il suo funzionamento. Non si è posto l’accento sul meccanismo del bicameralismo perfetto, da alcuni considerata la principale causa di rigidità della formazione delle leggi; tanto meno si è voluto mettere in discussione i numeri dei rappresentanti delle città periferiche e il collegamento tra i diversi organismi sussidiari di rappresentanza.
Sembra una riforma che non modifica nulla, costruita sull’onda di un persistente sentimento di astio nei confronti della classe politica, che seppur giustificato, rischia di trasformarsi in un boomerang contro le vere necessità dei cittadini.
Ancor più discutibile è il principale motivo che ha spinto i promotori a portare avanti questa riforma: il risparmio economico che la riduzione di 345 rappresentanti avrebbe comportato.
Ma risparmiare settanta milioni di euro, poi divenuti cento, poi cinquecento in una legislatura e infine un miliardo in due legislature, a seconda del miglior impatto che la comunicazione politica suggeriva per questo racconto, non può essere sufficiente a giustificare il fatto che alcune regioni vedranno dimezzati i propri rappresentanti.
Seppure i toni di contrarietà alla riforma rimangono bassi tra chi ancora quei palazzi li sta attraversando, siamo riusciti a metterci in contatto con Giovanni Paglia, un ex deputato eletto nella scorsa legislatura, che ci ha esposto il suo punto di vista su questa vicenda rispondendo alle nostre domande.
Il problema è che non si tratta di una riforma, ma semplicemente di un taglio lineare della rappresentanza.
Il numero dei parlamentari in sé dice poco: ciò che conta è la relazione con la legge elettorale, i regolamenti delle Camere, le loro funzioni, la cultura politica del paese.
Se si fosse affrontato questo nodo nel suo complesso, si sarebbe anche potuto ragionare sulla quantità.
Invece si scelto di agire sulla base di un’onda demagogica, e questo è sempre un male quando si parla di istituzioni democratiche.
Purtroppo sono prevalsi il conformismo e la necessità di sottostare ad un atteggiamento ricattatorio da parte del M5S, che ha minacciato la crisi di Governo. Perché abbiano scelto di farlo su un tema che restringe i diritti dei cittadini, anziché allargarli, bisognerebbe chiederlo a loro.
Si può interpretare solo in un modo: non sanno quello che dicono. È matematico che ogni cittadino italiano avrà meno possibilità di prima per incontrare un proprio rappresentante. A essere particolarmente svantaggiati saranno gli elettori dei piccoli partiti e delle aree periferiche. Non mi sembra una grande svolta. Il problema sono le aree interne e i loro bisogni, che rischiano di perdere ogni relazione con la politica nazionale. È un fatto banale: più si restringono i numeri, più prevalgono i centri, che sono ovviamente più forti. E su tutto ovviamente i centri di potere. Le lobby, come amano chiamarle i 5 Stelle.
Non c’è, al punto da non meritare neppure una discussione.
Poi la questione è molto semplice: in democrazia chi rimane senza rappresentanti rimane anche senza ferrovia.
Giovanni Paglia, ex deputato per Sinistra Ecologia e Libertà e Sinistra Italiana. Fonte: http://www.sinistraitalianapisa.it/2018/10/30/assemblea-provinciale-con-giovanni-paglia/
Non è mai il Parlamento nel suo complesso a perdere il contatto con i cittadini. È questa la forza di un’istituzione fondata sulla rappresentanza plurale. Nella passata legislatura fu certamente la maggioranza di Governo a estraniarsi completamente dal paese reale. Le elezioni del 2018 stanno lì a dimostrarlo.
L’opinione pubblica è ormai abituata da anni a subire un’ondata di numeri privi di verifica e gonfiati ad arte, allargando a piacimento il numero degli anni di riferimento. D’altra parte anche un operaio nella vita guadagnerà un milione di euro, ma nessuno si sognerebbe di chiamarlo milionario. Per non parlare dell’abitudine di confrontare cose inconfrontabili come il bilancio dello Stato e la nostra esperienza quotidiana. Il M5S non fa altro che sfruttare un terreno costruito da una pessima classe politica e da un sistema informativo anche peggiore
Non saprei dirtelo, ma non mi sembra il tema decisivo. I giovani troppo spesso sono abituati a mettersi in fila, o a lasciar perdere. Dovrebbero invece coalizzarsi e sfondare il muro: scoprirebbero che è fatto di cartapesta.
No. Non vedo onestamente questo rischio. Le Commissioni sono già da anni frequentate da pochi deputati in rappresentanza dei loro gruppi.
Ora il tema è la legge elettorale: se non si sceglierà un sistema proporzionale puro, con recupero nazionale dei resti e senza soglia di sbarramento, il rischio semplicemente che il Parlamento diventi la casa privata di 3 o 4 partiti e soprattutto dei loro capi.
La politica è prima di tutto un fatto collettivo, di impegno quotidiano nel paese, e solo in fondo un fatto istituzionale.
Io sono felice che grazie al mio lavoro alcune lotte abbiano avuto qualche occasione di visibilità.
Mi fa piacere pensare che qualche posto di lavoro si sia salvato anche grazie al mio impegno.
Sono orgoglioso di essere sempre stato dalla parte dei più deboli, senza alcun cedimento alla ragione dei più forti.
Se questo è vero, allora i miei 5 anni in Parlamento hanno avuto un senso.
Ma non sta a me giudicare.