A cura di Stefano Remuzzi
In un periodo di grossi cambiamenti economici, sociali, e valoriali come quello che stiamo vivendo, si sente sempre più l’esigenza di creare degli spazi di confronto e di dialogo per significare in modo concreto il sistema in cui viviamo, dando degli spunti di riflessione e di speranza per il futuro. Un’attenzione particolare va data certamente alla tematica importante del lavoro e di come l’uomo si approccia ad esso.
Certamente in questi anni si sono avuti grossi mutamenti nell’ambito lavorativo, professionale ed economico che hanno trasformato i valori che da anni regolavano l’intero sistema occupazionale rendendolo, da una parte più aperto e proiettato verso nuovi orizzonti, e dall’altro più fragile e privo di valori.
I cambiamenti sono molti e possono essere elencati in cinque punti che riassumono a cosa stiamo andando incontro.
L’imminente “rivoluzione 4.0” che proietta l’uomo ad una nuova relazione con le automazioni e ad un dialogo tra uomo e macchina che necessita di una forte specializzazione umana e una capacità di gestione del fenomeno per evitare di farsi sovrastare dai sistemi informatici.
Il recupero della dimensione sociale del lavoro che ha perso la sua visione di insieme e di solidarietà sostituendosi ad una logica individualista. Anche il lavoro, che è da sempre una questione sociale e comunitaria, sta diventando una questione meramente privata.
Le contraddizioni del settore informale del lavoro che vede circa tre dei sette miliardi di persone in condizioni di lavoro non regolate da nessun tipo di rapporto legale, vittime sono solitamente donne e bambini.
Il recupero del senso del lavoro inteso come l’opportunità di far parte del mondo e di costruirne ogni giorno un pezzetto migliore.
Ed infine il fenomeno della globalizzazione che ha ampliato i mercati ma li ha resi sterili e assimilati tutti alla stessa logica.
Ad aggiungersi a questi cambiamenti c’è la crisi economica che da più di dieci anni attanaglia le nostre società e che ha sviluppato all’interno delle stesse sentimenti di sfiducia e abbandono senza contare la chiusura dei rapporti personali e sentimentali per controllare e gestire quel poco che si ha.
La precarietà è diventata una parola che si continua a sentire all’interno delle nostre case, nei telegiornali e in tutti i quotidiani. È entrata a far parte del nostro linguaggio comune, della nostra quotidianità.
La precarietà cui ci hanno abituati fa parte di tutto quel mondo lavorativo che da anni è in crisi; il posto di lavoro precario, la precarietà dei giovani nel mondo del lavoro, la precarietà contrattuale. Esiste però un altro tipo di precarietà dimenticata spesso dai giornali e dalle televisioni: la precarietà dei valori che va sempre di più ad ossidare ed intaccare la nostra società e il nostro sistema economico-sociale.
Alcune cose sembrano abbandonate o semplicemente scordate a causa della corrente individualista e capitalista che da anni sovrasta il modo di vivere delle persone, dimenticandosi dell’essenza ultima e allo stesso tempo primordiale dell’uomo come animale sociale, capace di condividere con gli altri uomini speranze, preoccupazioni, successi e insuccessi.
Spesso il profumo del denaro e il profitto orientano la vita delle persone che non si preoccupano di altro fuor che quello.
Quando si parla di crisi del lavoro si deve parlare anche di crisi dell’uomo che deve essere capace di ritornare a quelle che sono le questioni di fondo dell’essere umano. Bene comune, condivisione, solidarietà, etica economica.
Non c’è più spazio per una logica che mira esclusivamente al profitto, ma si necessità di un pensiero che vada oltre e che sia attento a tutto quello che ruota intorno al mondo del lavoro; il benessere dei lavoratori, la qualità della loro vita, l’attenzione alla persona, la cura della stessa.
Valori che già esistevano ma sono stati semplicemente dimenticati e messi da parte.
In un periodo di forte crisi le comunità devono stringersi e mettersi insieme al lavoro per il lavoro. Per un lavoro che sia per l’uomo, che sia espressione della sua dignità, delle sue qualità e che sia un diritto per tutti perché sia veicolo della creatività e dello sforzo umano.
I giovani devono essere portatori di quelli che sono i valori sani di un’economia che si deve fare sempre più oikos, casa, e nomos, legge, una cosa domestica, una cosa che riguarda tutti.
Che l’economia sia veramente la legge della casa, della gestione dei nostri spazi e attenta alla nostra persona.
Solo in questo modo il lavoro potrà essere per l’uomo e per tutti gli uomini, senza esclusione di genere, etnia ed età.