A cura di Matteo Marsala
In periodi ricchi di cambiamenti, come quello che stiamo vivendo in queste settimane, è normale che ognuno di noi si precipiti ad indossare le vesti di politologo e fornire ai suoi fortunati ascoltatori la sua analisi, più o meno veritiera o verosimile, dei fatti che affollano i nostri telegiornali. Niente di male e niente di nuovo, ma c’è una cosa che ho notato in particolare in quest’ultimo periodo: nei discorsi inter pocula, ascoltando i miei interlocutori politologi e aspettando il mio turno per atteggiarmi da esperto, mi capita ormai soventemente di sentire critiche al sistema democratico, osservazioni che mirano non solo alla struttura ma anche all’ideale stesso della democrazia, non posso negare che anche chi scrive si è trovato a volte a pensare e dire che il sistema democratico ha delle evidenti falle e che dunque non sia il sistema migliore per scegliere una forma di governo. Questo pensiero non mi ha lasciato tranquillo, perchè siamo arrivati a dubitare di un principio che si può definire inalienabile e che fino a poco tempo fa avrei definito inopinabile?
Togliendomi i panni dell’esperto (che evidentemente non mi appartengono) e rivestendo i panni di studente a me più consoni, ho provato ad inquadrare che cosa è la democrazia per cercare di capire perchè ora molti la scambierebbero volentieri (almeno a parole) con “l’uomo forte”.
La prima riflessione che ne è scaturita è che la democrazia non è un fine ma una modalità, il fine è il bene comune.Ora, se il fine è una cosa che riguarda tutti allora anche il processo decisionale e pratico per raggiungerlo (ovvero la modalità) deve riguardare tutti, un punto a favore della democrazia. Strettamente legata a questa prima riflessione vi è però un intuizione suggerita dalla “Centesimus Annus” di Giovanni Paolo II, ovvero: la democrazia ha delle malattie; malattie che vanno affrontate come tali e debellate per far si che l’organiso democratico possa vivere ed esprimersi al meglio delle sue potenzialità. Io personalmente ho individuato le tre malattie che risultano più nefaste per il nostro tessuto democratico: rottura tra consenso e verità, l’ostinata semplificazione delle questioni e il principio “vae victis”.
La prima, suggerita sempre dalla Centesimus Annus, è appunto la rottura del nesso vitale che unisce consenso e verità; questa malattia viene oggi riassunta convenzionalmente nel fenomeno delle “fake news”, il problema però è ben più ampio e riguarda anche il modo in cui vengono date le notizie e anche la poca voglia di molte persone di leggere gli articoli e non fermarsi al titolo. La comunicazione ha un valore inestimabile per l’uomo, è un’azione istintiva che caratterizza e influisce sulla sua vita. Usare, volutamente o non, una comunicazione sbagliata o anche solo incompleta ha conseguenze strutturali sulla democrazia. La comunicazione che diventa narrazione è nefasta alla creazione del senso critico delle persone e fa perdere dunque una delle più grandi ricchezze della democrazia: la pluralità di pensiero dovuta a visioni differenti non contaminate da agenti patogeni (fake news).
La seconda va spesso di pari passo con la prima, nel tentativo di avvicinarsi sempre più alla “gente comune”, spesso si usano mezzi di comunicazione che portano ad una semplificazione di problemi talvolta complessi. Non tutte le cose possono essere semplificate, anzi la semplificazione spesso danneggia il discorso e non porta soluzioni pratiche. Non si può pensare di dar vita ad un dibattito politico a suon di post, il confronto è fatto necessariamente anche dall’incontro con l’altra fazione (cosa che non può certo avvenire da dietro uno schermo), non si può neanche esigere immediatezza su questioni che richiedono tempo. Un compito grava su noi gente comune è quello di imparare ad accettare che non possiamo capire o essere competenti su tutto, è necessaria una dose di fiducia verso chi ha il potere decisionale, e questa fiducia è possibile solo con la coscienza nel voto.
La terza malattia è quella che personalmente mi suscita più fastidio: il principio di “guai ai vinti”; se è vero quello che abbiamo detto prima, ovvero che il fine è il bene comune, ossia il bene di tutti, allora dovrebbe essere impossibile identificare vincitori e vinti, o si vince tutti o si perde tutti. La tendenza invece è di identificare l’altro schieramento politico come schieramento nemico, questa visione è antidemocratica e fortemente anti producente, la politica non dovrebbe essere una partita ne tanto meno una guerra, il tavolo della politica dovrebbe riunirsi al solo fine di cercare un compromesso per raggiungere il miglior bene comune possibile, gli unici nemici dovrebbero essere i sistemi corrotti e mafiosi, non di certo la mia controparte politica.
La democrazia non è perfetta, soffre le malattie comuni di ogni sistema umano ma sono malattie curabili, l’antidoto non è immediatamente reperibile e la cura è faticosa. Sarebbe però un grave errore imputare alla democrazia il male prodotto dalle sue malattie che hanno come causa scatenante il nostro agire.