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Appunti di Cooperazione Internazionale

Ai confini dell’Europa. La “nuova” rotta balcanica e la frontiera croato-bosniaca

a cura di Simona Degiorgi.

La nuova rotta balcanica      
Dalla primavera del 2018, la rotta balcanica che inizialmente attraversava Grecia, Macedonia/Bulgaria, Serbia, Ungheria/Croazia è cambiata e ha iniziato ad interessare in modo massivo anche la Bosnia.
Questo cambiamento è dovuto a due eventi che hanno reso la traversata per i paesi abituali più rischiosa se non impraticabile, obbligando quindi i migranti è a trovare una nuova via di accesso alla Croazia e all’Europa. Se da un lato, dal 2015, il confine serbo-ungherese è stato chiuso con la costruzione del muro voluto da Orbán, dall’altro attraversare il confine serbo-croato è diventato sempre più difficile a causa dei respingimenti della polizia croata iniziati nel 2016.

Tutto questo ha avuto conseguenza per tutti coloro che si trovavano già in Serbia o in Grecia, e in entrambi i casi alcune delle soluzioni prevedono il passaggio attraverso la Bosnia. I primi, a partire dal 2017, hanno iniziato a spostarsi verso questo paese spesso attraversando confini naturalmente pericolosi come il fiume Drina. I secondi hanno cercato nuove rotte per raggiungere la Bosnia attraversando Albania e Montenegro e dando vita ad una ‘nuova’ rotta balcanica.

 

 

Una volta chiarite queste dinamiche, appare chiaro come la Bosnia, l’ultimo paese non europeo nei Balcani che i migranti devono attraversare per poter raggiungere l’Europa, sia ormai diventata una tappa cruciale del loro viaggio. Secondo i dati forniti dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), tra il gennaio del 2018 e il gennaio del 2019, 24.799 persone, provenienti soprattutto da Pakistan, Afghanistan, Bangladesh, Iran, ma anche da Marocco e Algeria, hanno attraversato il paese. Per far fronte a questo flusso, sono stati creati 8 centri di accoglienza ufficiali, che vengono gestiti principalmente dall’UNHCR e dall’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (OIM). Quattro di questi centri si trovano nel cantone dell’Una-Sana, uno dei dieci cantoni in cui è divisa la Federazione della Bosnia ed Erzegovina. Questo cantone si trova nel nord-ovest del paese, al confine con la Croazia.

Le cittadine di Velika Kladuša e Bihać sono quelle che ospitano il maggior numero di migranti nel cantone.

Le case a Bihac conservano ancora i segni della guerra degli anni ’90 (luglio 2019 – Ph. Simona Degiorgi)

Ciò è dovuto alla loro posizione strategica rispetto alla possibilità di attraversare la frontiera: la Croazia è vicinissima e, in questo punto, è divisa da soli 60 km dalla Slovenia. Per questo motivo, ben quattro degli otto centri di accoglienza del paese sono concentrati in queste due cittadine: uno, il Miral, si trova a Velika Kladuša mentre gli altri tre (Bira, Borici e Sedra) sono situati a Bihač. A partire da questi centri i migranti cercano comunque di raggiungere la Croazia attraversano a piedi i boschi, abitati da lupi e orsi, ma soprattutto ancora minati a causa della guerra degli anni ’90[1]. Una volta arrivati nelle prossimità del confine, si imbattono poi nella polizia croata, che, come testimoniano report stilati da numerose associazioni, usa metodi violenti per proteggere la frontiera.

I campi profughi di Bihać 
Il campo più grande presente a Bihać è il Bira. Si tratta di una ex fabbrica di frigoriferi, recentemente ristrutturata grazie a finanziamenti dell’Unione Europea, all’interno della quale sono stati posizionati dei container che ospitano circa 4/6 letti ciascuno. Da sistema, la struttura dovrebbe ricevere intorno alle 1800 persone (uomini, famiglie e minori), e da quando è stato aperto nell’ottobre del 2018, ha registrato 4677 ingressi. All’interno del campo lavorano solo poche organizzazioni come UNHCR, DRC e Save the Children, insieme ad alcune associazioni locali bosniache e una italiana, IPSIA (Istituto Pace Sviluppo Innovazione ACLI). IPSIA lavora nei Balcani dalla fine degli anni ’90. A Bihać operava già prima della “crisi migratoria” principalmente con progetti di tipo ambientale, per la salvaguardia del Parco Nazionale dell’Una e con interventi di sensibilizzazione nelle scuole. Dalla primavera dello scorso anno, pur continuando ad implementare interventi per la salvaguardia dell’ambiente, IPSIA ha iniziato ad affiancare la Croce Rossa locale con progetti di primo soccorso e successivamente istituendo un Social Cafè all’interno del Bira con lo scopo di distribuire bevande calde e creare momenti di svago con musica e giochi.

Cartello “Attenzione mine” nei pressi di Bihac (gennaio 2018 – Ph. Simona Degiorgi)

L’altro campo presente nella cittadina è il Borici, un ex studentato mai completato a causa dello scoppio delle guerre jugoslave e recentemente riorganizzato e destinato ad ospitare famiglie. Al momento dà alloggio a 390 persone di cui il 51% sono adulti con famiglia, il 42% bambini mentre il 3% sono donne nubili e il 4% uomini celibi.
Esiste poi il Sedra, un vecchio hotel ormai fallito nei pressi di Cazin (a qualche chilometro da Bihać) che attualmente ospita circa 340 persone, principalmente famiglie, bambini e altre persone di fasce vulnerabili.

Il nuovo campo di Vučjak
A giugno 2019, a causa del sovraffollamento dei campi già esistenti, durante un consiglio comunale la municipalità di Bihać ha decretato la costruzione di un nuovo campo profughi nei pressi del paese di Vučjak. Il nuovo campo sorge sull’area di una ex discarica e dista circa 10 km dal confine croato. Secondo quanto dichiarato dalle autorità locali, negli ultimi tempi sempre più migranti erano costretti a vivere per strada o ad accamparsi in tende nel parco antistante al Bira. Per evitare “problemi di sicurezza e di ordine pubblico” e soprattutto in vista del turismo estivo, il comune ha dunque decretato che tutti i migranti che fossero stati trovati a dormire per strada o a girare per la cittadina venissero trasferiti a Vučjak dalla polizia locale. La Commissione Europea, che solitamente finanzia la costruzione dei campi, non ha accettato la realizzazione di quest’ultimo perché troppo vicino al confine e pertanto non conforme ai criteri stabiliti.

Campo di Vucjak (giugno 2019 – Fonte: IPSIA BiH)

Anche l’ONU ha richiesto la temporanea sospensione del trasferimento di migranti verso Vučjak vista l’inadeguatezza della posizione scelta per la realizzazione del campo. La sua costruzione può considerarsi dunque una sorta di protesta della municipalità che si è sentita lasciata sola nel coordinare l’‘emergenza migranti’ e dunque una richiesta di aiuto all’Unione Europea e al governo bosniaco. Questo episodio è un chiaro segnale della necessità di una maggiore partecipazione delle istituzioni governative bosniache e internazionali. Sin dall’inizio della crisi, tutta la cittadinanza e la società civile del paese si sono adoperate per aiutare i migranti, spesso in modo volontario e gratuito, anche perché la condizione di profughi è un’esperienza che molti di loro avevano sperimentato sulla propria pelle una ventina d’anni prima. Ora però la situazione non è più emergenziale, ed è quindi il momento di intervenire con un diverso approccio.

Per il momento, dunque, Vučjak dovrebbe essere un campo provvisorio che verosimilmente resterà in uso per tre/quattro mesi fino a quando uno ufficiale, e a norma, non verrà aperto con la collaborazione dell’Unione Europea. A differenza dei campi già esistenti, questo campo non è gestito dall’OIM (Organizzazione Internazionale delle Migrazioni), ma dalla municipalità e dalla Croce Rossa locale che si sta occupando di ogni aspetto logistico. Il campo ospita giovani adulti (attualmente intorno ai 400) e solo nelle ultime settimane è stato attrezzato con tende dove i ragazzi possono mangiare (i pasti sono distribuiti dalla Croce Rossa, mentre la già citata IPSIA distribuisce the cado o freddo durante la mattinata) e dei bagni. Molti dei ragazzi che si trovano nel campo sono in viaggio da anni e vorrebbero raggiungere Italia, Francia, Germania, ma anche Spagna e Portogallo per poter fare richiesta di asilo. Molti di loro approfittano della posizione del campo così vicina al confine per cercare di spostarsi in Croazia e continuare il loro viaggio.  Il tentativo di passare la frontiera, chiamato dai migranti “game” (il gioco) può durare anche settimane o mesi e, come detto in precedenza, la parte più difficile di questo “gioco” è proprio quello di riuscire a evitare i respingimenti della polizia croata.

Campo di Vucjak (giugno 2019 – Fonte: IPSIA BiH))

È notizia degli ultimi giorni, l’ammissione (in seguito a numerose smentite) da parte della presidente croata Kolinda Grabar-Kitarović dell’utilizzo di metodi violenti da parte della polizia per evitare ai migranti di entrare nel paese.  La Croazia è entrata nell’Unione Europea nel 2013, ma non facendo ancora parte dell’area Schengen, sta probabilmente cercando di dimostrare, a discapito di ogni norma e tutela dei diritti umani, di essere in grado di difendere le frontiere europee, respingendo i migranti ai suoi confini, prima in Serbia e ora in Bosnia. Nei prossimi giorni vedremo se verranno presi dei provvedimenti nei confronti della Croazia oppure se questo uso ingiustificato e disumano della violenza continuerà. Ciò che è sicuro fino ad ora è che l’Unione Europea continua ad optare per una politica di sicurezza dei confini. É stato infatti appena deciso un investimento di 14,8 milioni di euro per l’assistenza dei rifugiati in Bosnia, ma di questi 14,8 milioni solo 1,8 milioni saranno destinati all’aiuto umanitario. I restanti 13 saranno devoluti al supporto e alla gestione delle migrazioni (il che include anche il controllo dei confini).

Campo di Vucjak (giugno 2019 – Fonte: IPSIA BiH)

La strategia europea in materia di migrazione nei Balcani, basata principalmente sull’esternalizzazione delle frontiere e sull’aiuto economico a paesi terzi in modo che controllino i flussi migratori, è ancora una volta piuttosto chiara. L’incognita che resta è capire quanto sia davvero efficace, ma soprattutto quale sia prezzo il prezzo da pagare per implementarla.

 

[1] – Bihać ha subito un forte attacco da parte dell’esercito serbo di Krajina e dell’esercito della Republica Srpska ed è stata sotto assedio dal 1992 al 1995; i segni della guerra sono ancora oggi visibili  su molti degli edifici della città.


Suggerimenti per approfondimenti:

4 commenti su “Ai confini dell’Europa. La “nuova” rotta balcanica e la frontiera croato-bosniaca

  1. Pingback: Ai confini dell’Europa. La “nuova” rotta balcanica e la frontiera croato-bosniaca — Leggerò Leggero – Revolver Boots

  2. Pingback: Velika Kladusa, Bosnia: smantellano i campi ma non le rotte

  3. Pingback: Velika Kladusa, Bosnia: desmantelan los campos, pero no las rutas

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Questa voce è stata pubblicata il 28 luglio 2019 da in Migrazioni con tag , , , , .
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