A cura di Silvia Giordano
In tempi di sovranismi, hate speech e dichiarazioni d’intenti convalidate da post e “cinguettii”, viene da chiedersi quanto sia ancora efficace rivolgersi alla letteratura per cercare un silenzio adeguato al riempimento delle lacune di senso. Senza ambizioni di sorta, mi piace pensare che questo articolo possa “passeggiare”, per citare Umberto Eco, in un bosco letterario abitato da creature ancora viventi quali la sensibilità interculturale e il valore della diversità.
Pearl Sydenstricker Buck, una scrittrice cosmopolita nel primo Novecento
Sono trascorsi più di ottant’anni dall’attribuzione del Nobel “per le sue ricche ed epiche descrizioni della vita contadina in Cina e per i suoi capolavori autobiografici” alla scrittrice Pearl S. Buck, nata nel West Virginia nel 1892, figlia di missionari presbiteriani trasferitisi in Cina a pochi giorni dalla sua nascita. Insignita di un premio Pulitzer nel 1932, la scrittrice di romanzi viene spesso citata per il grande successo raggiunto all’indomani dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale.
Immagine da https://it.wikipedia.org/wiki/Pearl_S._Buck
Nella vasta produzione letteraria che ne sancisce la popolarità, suggerisco la lettura di tre celebri romanzi in particolare: The Good Earth – La buona terra (1931), The Patriot – Il Patriota (1939) e Dragon Seed – Stirpe di drago (1942), ambientati nel contesto spazio-temporale di una Cina sospesa tra atmosfere rurali e tormente rivoluzionarie. Curioso pensare che una scrittrice di romanzi sentimentali abbia potuto rappresentare una minaccia nel corso della guerra fredda per FBI e CIA.
Degna di nota in tema di cooperazione internazionale per il carattere cosmopolita del suo contributo non solo in qualità di scrittrice, ma anche di giornalista e attivista, Pearl S. Buck è antesignana di una letteratura capace di sovvertire gli schemi precostituiti dei confini nazionali e culturali, in particolare in quel complesso dialogo fra Oriente e Occidente.
Inoltre, l’autrice si distingue per il talento di coniugare il tema sentimentale-amoroso, protagonista dei suoi romanzi, ai macro-temi della convivenza fra i popoli, i conflitti sottesi fra stereotipi culturali e interessi economici, l’appartenenza alla comunità umana.
Non sfugge, nella sua notevole produzione narrativa, lo sguardo puntuale contro le mistificazioni e semplificazioni che nell’era dei social porta spesso a trarre facili conclusioni sugli orientamenti sociali, politici e culturali. Un esempio? Nel romanzo del 1939 The Patriot già denuncia senza mezzi termini quell’imperialismo tanto presente nel contesto statunitense quanto nel Giappone in guerra contro la Cina. Come nasce lo sguardo precursore di Pearl S.Buck?
Una visione transculturale ostinata, fra vita privata e impegno politico
Transnazionale nel suo percorso di crescita, cosmopolita nella scrittura dei suoi romanzi, lo sguardo di Buck fa discutere per la sua critica alle istanze nazionaliste che caratterizzano gli Stati Uniti a cavallo fra Seconda Guerra Mondiale e Guerra fredda. E tuttavia, il prestigio della sua immagine di intellettuale e autrice sostiene il suo posizionamento nel 1943 contro il Chinese Exclusion Act, un provvedimento che dal secolo precedente limitava l’ingresso di immigrati provenienti dalla Cina e che il 17 dicembre dello stesso anno viene abrogato anche grazie alla sua influenza. Gli anni di formazione e di esperienza professionale come docente e giornalista fra il 1928 e il 1937 in Cina la portano ad argomentare l’irragionevolezza dell’incompatibilità politica fra i due Paesi alla base del provvedimento discriminatorio: foriera di una “democrazia naturale” è proprio quel mondo rurale asiatico dalle profonde e solide radici che affondano nel lavoro, nella visione “ecologica” e lenta di affezione devota ai tempi della natura. Ne La buona terra è palpabile il disegno del senso di umanità che caratterizza i protagonisti Wang Lung e O-Lan, rappresentanti un mondo rurale che ripone nella famiglia, nell’obbedienza alle tradizioni e nelle virtù delle generazioni passate i valori della comunità.
Con il trionfo di Mao Tze-tung e l’avvento della Repubblica Popolare Cinese, l’autrice viene bandita dalla scena critica, ma non rinuncia all’impegno politico nei successivi sviluppi del conflitto coreano e degli esperimenti nucleari in New Mexico. Sul piano poi strettamente letterario, non è immune da accuse di orientalismo e semplificazioni dal gusto esotico da una parte all’altra del Pacifico: accuse dalle quali si difendono gli stessi personaggi che emergono da opere come Dragon Seed, spietatamente efficace del suo tratteggiare con schietto realismo la violenza del massacro di Nanchino. Non sfugge alla sensibilità dell’autrice infatti la cruenta evidenza della disumanità nei crimini di guerra , che non trova spazio per esterofilie né visioni nazionaliste: sono i corpi e le anime che li abitano a trovare descrizioni puntuali dritte all’essenza.
“Third Culture Kid” è la definizione coniata dalla sociologa e antropologa americana Ruth Useem, la quale negli anni ’50 descriveva così i figli dei cittadini americani espatriati: residenti in Paesi diversi da quelli indicati sui passaporti dei genitori, sono i bambini immersi in percorsi di crescita multiculturali per necessità o contingenza. Anche Pearl S.Buck, nei suoi andirivieni fra un continente e l’altro, è stata parte di questa comunità nell’arco della sua intera esistenza, raccogliendo esperienze di vita in lingue diverse i cui preziosi spunti sopravvivono ancor oggi. Superando confini e attraversando barriere, la sua voce illustre nel panorama letterario incrocia il tema attualissimo del dialogo interculturale.
Una passeggiata nel social web: l’empatia dimenticata
Il volto dei conflitti che, oggi come ieri, attraversano oceani e continenti a colpi di accuse postate e twittate assume forme sempre più preoccupanti e incontrollate: la diffamazione e le fake news orientano percezioni, condensano semplificando, celano algoritmi inquietanti nel controllo delle relazioni umane. L’influenza di Pearl S.Buck si è insinuata nelle case, nelle librerie e nei canali che godevano di influenza in un tempo in cui la ricezione trovava spazi di confronto presso il pubblico.
La passeggiata fra le pagine de La buona terra torna utile in tempi di divisioni e sovranismi per darci modo di immergerci nei meandri più profondi della condizione umana universale, perpetua, ineluttabile. Da qui tornare al dialogo fra esseri viventi, senzienti, parlanti, con la possibilità di riportare il linguaggio alla sua funzione primaria di scambio e di relazione. La visione ampia dell’autrice si muove attraverso l’antropologia, la politica, la difesa dei diritti civili e la concezione di una comunità transnazionale scevra da gerarchie di sorta. Forse è di questo orizzonte – per l’epoca rivoluzionario e dirompente – che si preoccupavano i servizi segreti americani all’alba della guerra fredda.
L’approccio cosmopolita può muoversi anche attraverso le pagine di un libro, senza il bisogno di spendere cifre astronomiche per viaggiare ai limiti del mondo. La lezione di Pearl Buck gode di momenti di piacevole lettura, dove all’apparente vaporosità del genere-romanzo si affianca una sapiente ed equilibrata empatia fra dimensione interiore, riconciliazione con il mondo della natura e, forse, delle relazioni umane e politiche.
U. Eco, Sei passeggiate nei boschi narrativi, Harvard University Press, 1994
Pearl S. Buck: il vento dell’est e l’imperialismo americano – Valeria Gennero
Fictions of Natural Democracy: Pearl Buck, The Good Earth and the Asian American Subject – Richard Jean So