A cura di Daniel Cabrini.
Il 2019 è il 30° compleanno della ratifica della Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’adolescenza e il 70° della Convenzione di Ginevra.
La prima enuncia i diritti fondamentali che devono essere riconosciuti e garantiti a tutte le bambine e a tutti i bambini del mondo. Tutti i paesi del mondo, ad eccezione degli Stati Uniti, firmarono 54 articoli per la tutela dei bambini, riconoscendogli per la prima volta diritti sociali, politici, culturali ed economici.
La seconda Convenzione è parte fondante di quello che viene considerato il diritto umanitario e, per quanto riguarda il titolo IV, viene posta attenzione sulla protezione delle persone civili in tempo di guerra.
Due documenti internazionali di cruciale importanza, che hanno avuto un ruolo fondamentale nei rapporti tra stati e nella creazione di alcuni diritti prima non previsti. Il lavoro è stato molto, ma c’è ancora molto da fare.
Focalizzandoci sulla situazione nelle aree di conflitto, sappiamo che ad oggi il numero di paesi implicati in conflitti interni o internazionali non è mai stato così elevato come in questi ultimi 30 anni. E chi più ne paga le spese sono sempre i più indifesi, i bambini.
Secondo i dati di Save the Children, il numero di bambini che rischiano la vita vivendo in aree di conflitto è di 420 milioni, ossia 1 bambino su 5 nel mondo. Il dato del 2017 è in crescita di 30 milioni rispetto al 2016, ed è raddoppiato dalla fine della Guerra Fredda ai giorni nostri. Oltre 10 mila sono stati i bambini uccisi o mutilati nei bombardamenti. Per capire quanti sono, basta provare a contare da 1 a 10.000. In aggiunta, le agenzie internazionali riportano che ogni anno circa 100 mila neonati perdano la vita come conseguenza diretta o indiretta dei conflitti, ad esempio a causa di malattie e malnutrizione.
I dati riportano che il 2018 è stato un anno altrettanto duro, i conflitti internazionali e interni hanno causato numerose vittime, numerosi feriti e traumi psicologici inimmaginabili.
La fondatrice di Save the Children, Eglantyne Jebb, cento anni fa ammoniva il mondo affermando che “ogni guerra è una guerra contro i bambini”.
Bambino soldato. Fonte: Pixabay
Valerio Neri, direttore generale di Save the Children, ci dice oggi che “è sconvolgente che nel XXI secolo arretriamo su principi e standard morali così semplici: proteggere i bambini e i civili dovrebbe essere un imperativo, eppure ogni giorno i bambini vengono attaccati, perché i gruppi armati e le forze militari violano le leggi e i trattati internazionali. Milioni di bambini in Yemen stanno vivendo orrori indescrivibili a causa del conflitto. Colpiti per strada, bombardati mentre sono a scuola: sono bambini e bambine a cui è negata un’infanzia. Rimasti orfani, senza più una casa, senza più i propri cari. Tutto questo è inaccettabile”.
Oltre ai conflitti e nonostante la Carta dei diritti, solo l’anno scorso è stato stimato che oltre 263 milioni di bambini e adolescenti nel mondo non vanno a scuola. In Italia, nel 2018, oltre il 60% dei bambini tra i 2 e i 14 anni ha vissuto episodi di violenza e sono migliaia i siti pedopornografici utilizzati ogni giorno. Milioni sono i bambini a rischio di contrarre malattie a causa dell’inquinamento ambientale. In molti paesi i bambini sono lavoratori. 150 milioni di bambini nel mondo che lavorano, spesso in condizioni pericolose, quali miniere, fabbriche o a contatto con prodotti dannosi per la salute. Lavorano per il benessere di paesi diversi dal proprio.
Bambini abbandonati, che mendicano e fanno lavori da schiavi, descolarizzati, senza diritto all’educazione, bambini di strada.
La vita di strada offre messaggi diseducativi ma semplici e immediati, che fanno concorrenza a quelli della scuola. La strada spinge l’individuo a porre maggiore attenzione sull’avere, come lotta per la sopravvivenza. Se sei forte sopravvivi, se hai vali. Il principio dell’autorevolezza viene surclassato da quello dell’autorità.
La scuola ha il compito di focalizzare i suoi sforzi per creare l’“Essere”, inteso come individuo che vede sviluppati la sua identità, la sua personalità e i propri talenti personali. La vita dell’individuo è allora un bene prezioso utile a tutta la società nel suo insieme, l’umanità e lo sviluppo del pensiero critico e unico sono centrali per creare democrazia e non macchine pronte ad obbedire agli ordini.
Questa diatriba tra avere ed essere si ritrova forte ed attuale anche nel mondo occidentale, dove urge ricominciare a pensare collettivamente ad un futuro equo e a misura d’uomo per le nostre società. Servirà allora anche qui ripensare ad una scuola che si ponga fini alti ed ambiziosi per raggiungere questi obiettivi.
Ma come si può portare il bambino ad essere un soggetto effettivo di diritti?
In primo luogo, la conoscenza e l’applicazione delle Convenzioni da parte di ognuno di noi e di ogni stato, di conseguenza. Testi che hanno un significato e una valenza molto profondi, il cui rispetto è basilare per lo sviluppo di una società giusta.
Libera educazione. Fonte: Pixabay
Ad esempio, l’articolo 2 viene chiede agli stati di impegnarsi in modo che garantiscano la tutela di “ogni fanciullo che dipende dalla loro giurisdizione, senza distinzione di sorta e a prescindere da ogni considerazione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o altra del fanciullo o dei suoi genitori o rappresentanti legali, dalla loro origine nazionale, etnica o sociale, dalla loro situazione finanziaria, dalla loro incapacità, dalla loro nascita o da ogni altra circostanza”. Inoltre, “gli Stati adottano tutti i provvedimenti appropriati affinché il fanciullo sia effettivamente tutelato contro ogni forma di discriminazione o di sanzione motivate dalla condizione sociale, dalle attività, opinioni professate o convinzioni dei suoi genitori, dei suoi rappresentanti legali o dei suoi familiari”.
Ma per fare in modo che gli stati garantiscano tali diritti e liberino i bambini e le società future è necessario insegnare a pensare, a riflettere e ad essere responsabili verso sé stessi. L’educazione è il mezzo più potente per uscire dalla povertà intellettuale, sociale ed economica e strumento per lottare contro le violazioni dei diritti. Tutto nasce dal rispetto dei diritti, tutto nasce dall’educazione sia dei bambini che degli adulti.
Già Kant riportava che l’educazione è un’esigenza intrinseca dell’uomo. L’essere umano si distingue dagli animali proprio grazie all’educazione e grazie ad essa può sviluppare conoscenze e potenzialità, per sottomettere gli istinti alla disciplina e alla ragione. Spesso capita, come afferma Kant, che uno sviluppo educativo universale e profondo possa essere osteggiato da chi detiene il potere e necessiti una sudditanza priva di pensiero critico, utile solo a perseguire i propri scopi di potere. Visioni parziali e distorte della realtà, tramite messaggi brevi e semplici che nascondono la profondità e la complessità che i temi più importanti vestono e tramite l’incitamento alle divisioni e all’odio.
Interessanti sono i dati rispetto all’investimento pubblico in educazione: i dati Eurostat ci mostrano che l’Italia ha ridotto la spesa in rapporto al Pil in questo settore; nel frattempo, Save the Children lanciava una petizione online contro le bombe italiane vendute e utilizzate dalla coalizione saudita per colpire vari obiettivi civili in Yemen, tra cui centinaia di bambini.
È necessario quindi permettere ai bambini di sviluppare un pensiero critico, delegando l’educazione agli esperti che siano in grado di dar luogo a processi educativi virtuosi. L’azione collettiva deve partire da persone competenti, interessate al bene comune e al miglioramento del futuro dell’umanità, disposte a rafforzare continuamente le competenze legate all’ambito educativo, giuridico e dei Diritti Umani.
Ogni adulto dovrebbe essere un po’ educatore, imparare quella professione e applicarla al contesto quotidiano. La consapevolezza di ciascuno, anche nel proprio contesto domestico, è il modo migliore per fermare le barbarie che accadono ovunque. La sensibilizzazione e la formazione degli adulti resta quindi un fulcro chiave.
Concludendo, oggi è sempre più necessario dare il proprio contributo personale per riconoscere i bambini come portatori di diritti e agire per fari sì che gli stessi vengano garantiti.
La situazione è critica, anche perché non viene riconosciuta nella sua tragicità. Lo spazio che le viene dedicato, soprattutto dai media occidentali, non è adeguato e tende a minimizzare il problema o a passarlo come distante e slegato dalle problematiche locali. Si dimentica così che i nostri destini sono strettamente interdipendenti e che riconoscere i diritti dei bambini di tutto il mondo significa riconoscere anche i nostri e quelli dei nostri figli. Serve allora ritrovare quella capacità di resilienza e quella forza di lottare contro le violazioni dei Diritti Umani.
Il 30° compleanno della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e il 70° della Convenzione di Ginevra può essere un pretesto per riflettere sul significato della loro origine e sull’importanza che ricoprono anche oggi.
Celebrare le Convenzioni è un dovere: la Dichiarazione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza deve divenire il testo fondamentale delle politiche sociali ed educative di tutti i paesi.
Il nostro futuro è nelle vostre mani. Fonte: Pixabay
APPROFONDIMENTO
Per chi fosse interessato ad approfondire, aggiungo (a titolo di esempi) una lista non esaustiva di paesi dove i conflitti tolgono la possibilità ai bambini di vivere una “vita da bambini”, dove la possibilità di trascorrere un’infanzia e un’adolescenza come l’abbiamo conosciuta noi è forse solo un lontano sogno.
Partendo dall’Asia, dove vivono 195 milioni di bambini in aree di conflitto, passiamo all’Africa dove il dato cala a 152 milioni. Rispetto ai dati relativi, il Medio Oriente è l’area della terra dove vi è la maggior percentuale di bambini a rischio, ossia il 40% del totale dei bambini mediorientali che vive in zone di guerra, con un valore totale pari a 35 milioni.
È necessario essere consapevoli e riflettere su ciò che accade nel mondo per poter agire nella speranza di cambiare le sorti e il futuro di questi bambini e di noi stessi.
Myanmar (ex Birmania). Numerose sono le violazioni dei diritti del popolo Rohingya di religione sunnita musulmana. Fino all’inizio delle repressioni del 2016 risiedevano in Myanmar oltre un milione di Rohingya. A inizio 2018 oltre 600.000 si sono rifugiati in campi profughi in Bangladesh. Le violazioni dei diritti fondamentali implica anche l’accesso all’istruzione dei bambini, l’accesso ad una sanità adeguata e ad alcuni servizi di base.
Afghanistan. Le violazioni durano da diversi anni e nel solo 2018 sono morte 10.993 persone, molte delle quali bambini, spesso a causa dei residuati bellici non bonificati. Ciò significa che il pericolo permarrà anche nei prossimi anni.
Iraq. Gli ordigni inesplosi causano ancora diverse vittime e feriti anche se il conflitto non ha più l’intensità di qualche anno fa. Migliaia di famiglie restano sfollate, non potendo beneficiare dei servizi basilari.
Siria. L’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus) riporta che da gennaio a marzo 2019 sono morti oltre 250 bambini, tra cui molti neonati. A cavallo tra il 2018 e il 2019 una trentina di bambini sono morti assiderati nella sola provincia di Hasaka. Il conflitto ha causato negli ultimi 7 anni oltre 20.000 bambini morti e ad oggi continua a produrre devastazione senza tregua.
Palestina. Le condizioni di vita a Gaza sono in deterioramento, partendo da un livello molto basso. I servizi base sono carenti e l’accesso all’istruzione è garantito solo per una parte di bambini e adolescenti. Diversi dei quali sono morti in seguito agli attacchi su Gaza. Inoltre, sia in Palestina che in alcune zone di Israele, i bambini vivono costantemente nella paura degli attacchi, delle irruzioni dei militari e degli attentati.
Yemen. Geert Cappelaere, direttore regionale dell’UNICEF per il Medio Oriente e il Nord Africa ha riportato che nello Yemen “circa 1,2 milioni di bambini continuano a vivere in 31 zone in cui il conflitto è molto attivo”. Oltre il 90% dei bambini vive in zone ad alta intensità di conflitto. Dall’inizio del conflitto nel 2015 le vittime minorenni dovute a cause dirette della guerra sono state oltre 2600 e i feriti oltre 4300. Spesso i militari utilizzano scuole e ospedali come basi, in violazione della Convenzione di Ginevra del 1949 con la conseguenza che le stesse vengano attaccate e bombardate e negando così l’accesso all’istruzione e alla sanità. Sono state 85 mila le vittime con meno di 5 anni morte per fame o malattie gravi nel corso di questi anni di conflitto.
Libia. La crisi libica è in fase di peggioramento. Lo scontro tra Serraj e Haftar produce morti, feriti e distruzione. Numerosi caduti sono civili, bambini e operatori sanitari. Salgono già a 13.500 le persone che sono state sfollate mentre gli ospedali sono al collasso e vi è la richiesta di operare i bambini in Italia.
Figli della guerra. Fonte: Pixabay
Somalia. Oltre 1 milione di bambini è a rischio fame. Per un bambino nato in Somalia, il rischio di decesso è il più alto al mondo. Ogni 1000 bambini nati vivi, 137 muoiono prima dei 5 anni. Nel 2018 oltre 2.000 bambini sono entrati a far parte dei gruppi armati alla mercé dei signori della guerra.
Sud Sudan. La drammatica situazione sembra essersi placata con la deposizione di Omar al-Bashir, presidente tiranno da 30 anni. Resta comunque aperta la questione del genocidio del Darfour e la Seconda guerra civile, matrice dello stato del Sud Sudan. Il conflitto non si è placato poiché l’esercito della capitale non ha mai accettato l’indipendenza della regione sud, ricca di materie prime. Solo pochi giorni fa i leader del paese hanno incontrato Papa Francesco che con un gesto inaspettato li ha pregati di porre fine ai conflitti e riportare la pace inginocchiandosi e baciandogli le scarpe.
Mali. Attualmente il Mali sta affrontando un periodo di violenze senza precedenti, in particolar modo nella regione centrale. Qui i gruppi jihadisti, le milizie locali e i militari dell’esercito commettono quotidianamente abusi su civili, tra cui bambini, quali violenze, sequestri, torture ed esecuzioni. Oltre 75.000 civili sono fuggiti dai conflitti interetnici e dagli attacchi jihadisti e militari. Nel frattempo, sul confine con il Burkina Faso e il Niger sono state chiuse quasi 1.500 scuole.
Camerun. La degenerazione del conflitto tra anglofoni e francofoni nelle regioni nord e sud occidentali ha causato 437.000 sfollati, dei quali 351.000 si trovano ancora in quelle regioni. Come riporta l’ONU “molti sfollati del Camerun anglofono vivono in luoghi sovraffollati, senza un adeguato riparo o assistenza sanitaria e igienico-sanitaria. Il sottofinanziamento e l’insicurezza hanno limitato le attività di protezione e assistenza alle popolazioni colpite. La sicurezza delle donne, dei bambini, dei minori non accompagnati e separati, delle persone con disabilità e delle donne in allattamento e in stato di gravidanza ci preoccupano profondamente, alla luce degli aumentati incidenti di protezione e del grave sottofinanziamento”. Il conflitto ha portato al rapimento di diversi bambini dalle scuole e all’incendio di diversi villaggi, oltre a torture, stupri, violenze, sfruttamento e altri trattamenti inumani. Il lago Ciad, confine tra Camerun, Nigeria e Ciad, è una zona fortemente a rischio, soprattutto per le violenze perpetrate ai civili e contro insegnanti e scuole. Oltre 1.000 scuole non funzionano più e l’istruzione di 3 milioni e mezzo di bambini è a rischio.
Nigeria. Nel nord-est diversi gruppi armati, tra cui Boko Haram, continua il proselitismo forzato. Numerosi bambini entrano a far parte delle linee armate mentre numerose ragazze sono obbligate a sposare combattenti, vengono stuprate o utilizzate come bombe umane.
Repubblica Democratica del Congo. Numerosi sono i conflitti interni soprattutto nelle regioni del Grande Kasai, nel Kivu meridionale, nel nord Kivu, nelle provincie del Tanganica e dell’Ituri. Oltre al lavoro forzato nelle ricche miniere, soprattutto di Coltan, gli abusi e la mancanza di diritti, l’intabilità politica ha causato gravi difficoltà nell’arginare l’epidemia di Ebola. Oltre 4 milioni di bambini sono a rischio malnutrizione grave.
Ucraina. Il conflitto per la sovranità nei territori orientali dura da oltre 4 anni. Innumerevoli scuole sono state chiuse o addirittura distrutte. La situazione dei bambini nella zona di conflitto è grave, il rischio di ordigni inesplosi e mine è alta. Qui risiedono oltre 400.000 bambini. Altissima è l’allerta attorno ai 20 km tra le zone sorvegliate e non sorvegliate dal governo
Stati Uniti. Nel 2018, in soli 4 mesi, tra il 19 aprile e il 15 agosto, la CPB (l’agenzia per le Dogane e la protezione delle frontiere) ha forzatamente separato 6000 famiglie, non tenendo conto di rapporti famigliari con nonni o altri parenti. Nel rapporto di Amnesty International vengono rese note le politiche di Trump per smantellare il sistema di protezione negli Stati Uniti, in violazione sia delle norme nazionali che internazionali. Separazioni famigliari, respingimenti illegali, detenzioni arbitrarie e indeterminate e maltrattamenti.
Brasile. Con l’insediamento del presidente Bolsonaro vengono attaccati i diritti territoriali di 305 minoranze indigene del paese. A rischio, oltre al polmone del pianeta, la foresta amazonica, ci sono le aree dove vivono migliaia di persone. Anche qui, a farne le veci saranno i più fragili.
Honduras. Ogni giorno muore 1 bambino al di sotto dei 18 anni a causa di violenza, pur non essendo attivo alcun conflitto. Secondo Henrietta Fore “le gang terrorizzano i quartieri in tutto il Paese, offrendo ai giovani una scelta impossibile: entrarvi a farne parte o morire”. Continua affermando che “oltre mezzo milione di bambini in età da scuola secondaria non va a scuola, pari a 1 adolescente su 2 in età da scuola secondaria inferiore e 2 su 3 da secondaria superiore”. Per Fore, “l’insieme di violenza, povertà e mancanza di opportunità per l’istruzione sta portando migliaia di bambini e famiglie ad abbandonare le proprie case. Senza accesso a protezione e percorsi sicuri per la migrazione, la maggior parte è costretta ad intraprendere strade pericolose dove è a rischio di violenze, sfruttamento e abusi”.
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