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Appunti di Cooperazione Internazionale

Il Caso Asia Bibi

A cura di Luca Martinengo

Bentrovati cari lettori, scusate l’assenza ma ho deciso di prendermi una pausa dal Blog per poter poi tornare carico e voglioso.
Oggi cercherò di fare il punto sulla spinosissima situazione che sta travolgendo il Pakistan, come pure la comunità internazionale, e che ad oggi non ha ancora trovato la parola fine: il caso Asia Naurīn Bibi.
Asia Bibi era una bracciante agricola, cristiana, dedita alla raccolta delle bacche per un proprietario terriero pakistano del villaggio di Ittan Wali. Un giorno, nel giugno del 2009, la donna durante la sua attività lavorativa immerse la sua tazza all’interno del pozzo dove si prendeva l’acqua. Immediatamente scoppiò una violenta discussione con le compagne di lavoro, tutte musulmane. Pochi giorni dopo le stesse denunciarono Asia alle autorità, sostenendo che durante il diverbio lei avrebbe pronunciato frasi blasfeme nei confronti di Maometto, in particolare lei avrebbe detto “Credo nella mia religione e in Gesù Cristo, morto sulla croce per i peccati dell’umanità. Cosa ha mai fatto il vostro profeta Maometto per salvare l’umanità?“. Prima di essere consegnata alle autorità, Asia fu rinchiusa in uno stanzino e lì fu picchiata e stuprata. Arrestata, fu accusata di aver violato la legge 295c del codice penale che punisce la blasfemia e che contempla in casi estremi la condanna a morte.
La sentenza emessa circa un anno dopo, l’11 novembre 2010, dal giudice di Nankana Sahib, Naveed Iqbal, non lascia spazio ad interpretazioni, come si legge testualmente “si esclude totalmente la possibilità che Asia Bibi sia accusata ingiustamente ed inoltre non esistono circostanze attenuanti per lei. La famiglia fece subito ricorso davanti all’Alta Corte di Lahore.

Forti reazioni a questa sentenza si ebbero soprattutto da parte di personalità cattoliche e protestanti, studiosi musulmani e organizzazioni non governative che protestarono con forza contro la condanna a morte di Asia Bibi. Essi applicarono una forte pressione anche sul governo pakistano perché emendasse o cancellasse la legge sulla blasfemia, definita “oscena”.
In particolare Amnesty International, nel report ‘As good as dead’ The impact of blashemy laws in Pakistan pubblicato il 20 dicembre 2016, ha denunciato come la legge sulla blasfemia, oltre che ad essere oscena e altamente pericolosa per la vita umana, comporti forti discriminazioni. Si può infatti osservare che una volta che una persona viene denunciata per blasfemia, questa possa essere arrestata immediatamente, senza che la polizia verifichi l’effettiva fondatezza della denuncia fatta. Inoltre, quando l’accusa è stata formalizzata, il rilascio su cauzione può essere negato e si prospetta un processo dai tempi lunghi ed iniquo. Sempre nel rapporto citato si sottolinea come la legge sulla blasfemia violi obblighi internazionali del Pakistan di tutelare la libertà di religione, il credo, l’opinione ed espressione. In generale, secondo Amnesty International, l’accusare un’altra persona di blasfemia è, nella maggior parte dei casi, utilizzata per sanare rivalità professionali, dispute religiose o personali, possibilità di acquisire vantaggi economici.

Il 31 ottobre 2018, dopo quasi 10 anni dal fatto, Asia Bibi è stata assolta dalla Corte Suprema dall’accusa di blasfemia poiché, si legge nella sentenza, la denuncia si è basata sulla testimonianza poco chiara e molto contraddittoria dell’imam del villaggio.
Questa decisione ha scatenato proteste molto veementi in tutto il paese, con i gruppi radicali che hanno manifestato contro la sentenza invocando una rivolta di popolo. Ci sono state manifestazioni di piazza in diverse città, organizzate da Tahreek-e-Labaik Pakistan (TLP), un gruppo religioso estremista diventato poi partito politico, che chiede la condanna a morte della donna. Queste proteste sono durate circa tre giorni, prima di arrivare ad un accordo tra il Governo Pakistano ed il TPL.
In realtà il premier Imran Khan aveva tentato di affrontare i radicali islamici, accusandoli di offendere l’Islam con le proteste inscenate, salvo poi, la sera successiva, firmare l’accordo con il leader del TLP Pir Muhammad Afzal Qadri. Tale “contratto” si compone in cinque punti: il nome di Asia Bibi viene inserito nella Exit Control List (Ecl), che le impedirà di allontanarsi dal Paese; il governo non si opporrà alla richiesta di revisione della sentenza di assoluzione pronunciata dalla Corte suprema; l’esecutivo dovrà risarcire le vittime delle proteste; inoltre rilascerà i manifestanti arrestati nei giorni scorsi; da parte loro, gli estremisti del Tlp si scusano se le manifestazioni hanno “offeso i sentimenti delle persone”.

A causa di queste forti pressioni l’avvocato di Asia Bibi, Saif ul-Mulook ha lasciato il paese temendo per la sua vita dopo le minacce da parte degli islamici radicali.

Il mio articolo si sarebbe dovuto concludere con un auspicio che le situazione si potesse sbloccare il prima possibile e che Asia potesse lasciare il carcere per poter ricongiungersi con la sua famiglia per poi decidere cosa fare della propria vita, che molto probabilmente sarebbe stata fuori dal Pakistan.
È invece notizia dell’8 novembre 2018 che Asia Bibi è stata, finalmente, scarcerata ed accompagnata presso la capitale Islamabad per poter riabbracciare la famiglia. Sembra che abbia già chiesto un visto per l’Europa ma dovrà forse affrontare un nuovo processo a causa della richiesta di un giudice islamista di rivedere l’assoluzione stabilita dalla Corte Suprema.

Mi scuso se ho tralasciato qualche dettaglio, ma il caso, come già detto, è molto spinoso e in continua evoluzione.

Chiudo con un “Buona fortuna Asia” che non fa mai male.

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Questa voce è stata pubblicata il 10 novembre 2018 da in Asia, diritti umani con tag , , , , .
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