A cura di Giovanni Ducoli.
Nelle ultime settimane, il tema della Brexit è tornato al centro del dibattito politico europeo. In questi giorni sono state palesate le criticità da affrontare per arrivare al traguardo di quella corsa cominciata il 23 giugno 2016, quando lo spoglio delle schede ha consegnato il Regno Unito ad una delle sfide più complicate della sua storia. Il governo May, formato proprio per realizzare il progetto politico di separazione dall’Europa, non è mai stato tanto in difficoltà, e l’Unione sembra avere tutte le carte in regola per ristabilire gli equilibri di quello status quo a cui ci eravamo abituati.
Ad ogni modo, le partite che l’Unione Europea dovrà disputare non termineranno con l’esito della sfida con il Regno Unito. Infatti pochi mesi dopo il referendum britannico, la stabilità politica europea sarebbe stata messa nuovamente a dura prova con un nuovo esito referendario, quello dell’indipendenza della regione catalana in Spagna del 1 ottobre 2017.
Manifestazioni dopo il voto dello scorso 1 ottobre 2017 – Fonte: LaPresse
In questo caso la situazione appare per certi aspetti ancora più complicata. Pur essendo chiaro l’esito che i cittadini hanno voluto esprimere in modo trasversale – non esiste la tradizionale separazione “destra e sinistra” quando si tratta di queste tematiche – il risultato è stato inficiato dalla scarsissima affluenza, certamente dovuta agli scontri che si sono consumati sia tra il popolo catalano e la polizia, sia – metaforicamente – tra gli attivisti promotori della consultazione e i giudici della Corte Costituzionale spagnola, confronto che ha fatto emergere i profili di incostituzionalità del referendum.
Le conseguenze degli episodi di violenza hanno portato alla luce le fragilità dell’ormai tramontato governo Rajoy e del suo Ministero degli Interni; incapace di amministrare in maniera ordinata ed efficace la questione catalana, ormai ereditata dal neo-governo socialista obbligato a dover raccogliere i resti di questa sfida.
Per capire a che punto è arrivata la questione catalana, abbiamo intervistato un componente del consiglio comunale di Barcellona. Jordi Coronas siede tra le file di Esquerra Republicana de Catalunya, il secondo partito indipendentista della città capoluogo della regione.
Del tema del referendum catalano non se ne è parlato a livello internazionale fino a quel famoso primo ottobre. La violenza della polizia, sia delle unità nazionali sia della Guardia Civile, verso la popolazione civile e la sospensione delle votazioni sono state immagini scioccanti. A livello interno, tutto è cambiato da quel giorno. La determinazione popolare a resistere alle aggressioni nelle scuole, e il fatto di riuscire ad arrivare alla conclusione di quel referendum è stata una vittoria etica e morale di resistenza pacifica contro l’oppressione dello stato. Oggi il popolo indipendentista continua a riconoscere quel risultato.
Il tifo calcistico è eterogeneo. Conosco catalani che tifano qualunque squadra che gioca contro la Spagna, e altri che si sentono più rappresentati dalla nazionale. Non è un tema che si può ridurre alla semplificazione. I sentimenti sono molto diversi.
A Barcellona ci sono almeno tre partiti chiaramente indipendentisti: Group Municipal Democrata (PDeCAT); Esquerra Republicana de Catalunya (ERC); e CUP Capgirem Barcelona.
Anche se l’indipendenza è un fattore trasversale che rimane l’obiettivo principale, tra questi partiti esistono differenze importanti per quanto riguarda il modello sociale che si vuole proporre. Dal punto di vista comunale risulta molto importante la politica che si intende applicare a livello sociale. Il PDECAT è più conservatore, il ERC è un partito di sinistra e social democratico, la CUP è un partito estremista che va contro il sistema. È difficile fare una coalizione tra queste tre forze politiche, in chiave comunale, con queste differenze così evidenti.
Jordi Coronas portavoce del partito Esquerra Republicana de Catalunya (Sinistra Repubblicana di Catalogna) nella giunta comunale di Barcellona – Fonte: Esquerrabcn.cat
C’è da analizzare tutto il processo che ha portato al referendum. Molto prima del 1 ottobre sono emerse opzioni intermedie: un patto fiscale che avrebbe ridotto il deficit della regione catalana rispetto alle casse centrali spagnole; una opzione federale, una opzione confederale di autonomia e tante altre proposte. Nonostante queste tante strade percorribili, il partido Popular ha sempre mantenuto la linea di opposizione, e qualsiasi proposta è stata bocciata. Bisogna tener conto che è necessaria una maggioranza qualificata ampia per intraprendere la strada dell’autonomia e quindi modificare la costituzione. Alla luce di queste considerazioni, risulta tutto impraticabile nel quadro attuale.
In un quadro internazionale le collaborazioni si indirizzano principalmente per ragioni economiche. La situazione geopolitica della catalogna e la nostra capacità di esportare e di attrarre investimenti, fanno della catalogna un futuro stato molto attrattivo a livello internazionale.
Sinceramente credo che la differenza è che in Catalogna il sentimento di indipendenza è molto più trasversale. La difendono opinioni politiche molto distinte e settori della popolazione di ideologia e origine differenti. Nel caso della Catalogna, l’estrema destra è completamente allineata con l’unionismo spagnolo.
Formalmente, non esiste nessuna formazione xenofoba che difende l’indipendenza. Questo non esclude che, a livello personale, possa esistere qualche indipendentista xenofobo. Politicamente, comunque, si tratta questo tema con molta prudenza. Ed è molto importante che, gli indipendentisti perseguano un percorso realista e che proponga delle soluzioni al problema, senza dover gettare nuova benzina sul fuoco. In questo senso, credo che i partiti indipendentisti lo stiano facendo bene in generale.
A Barcellona, come in tutte le altre città, hai opinioni differenti. Nel caso di ERC, crediamo che la soluzione ideale sarebbe incrementare la cooperazione con i paesi di origine per favorirne lo sviluppo. Nessuno vorrebbe andar via dai propri paesi se la qualità di vita è adeguata. Nonostante la realtà sia un’altra e i paesi europei sono in gran parte responsabili della situazione politica e economica di gran parte del mondo. Alcune volte, l’immigrazione può essere la miglior soluzione per risolvere il problema dell’invecchiamento della popolazione europea. Credo che ci sbagliamo, a livello europeo, quando applichiamo leggi che rendono difficile la possibilità di integrare il mercato del lavoro ai migranti. Se non fosse così, forse riusciremmo a ridurre quei fenomeni che danneggiano la nostra economia, come per esempio il mercato dei prodotti a marchio falsificato.
L’Unione Europea osserva il caso catalano con preoccupazione. C’è un certo timore dei cambiamenti. Però senza dubbio, l’Europa deve essere l’Europa dei Popoli e non degli Stati. La realtà sociale non è ben rappresentata dalla frontiera attuale degli stati. Riconoscere un determinato popolo non significa separalo maggiormente dall’Unione. Se realmente chiediamo una Unione Politica in Europa ci deve essere un cambio di mentalità, altrimenti sarà semplicemente una Unione Economica, che è ciò che siamo adesso.
Sicuramente ci troviamo in un momento in cui bisogna cambiare strategia. Tutti i passi che sono stati fatti fino ad ora erano decisamente necessari, anche se il prezzo che abbiamo pagato con gli arresti è altissimo. La realtà ci dimostra che anno dopo anno l’indipendentismo cresce. Questo è dovulto al fatto che non è più un indipendentismo identitario ma comincia ad essere un indipendentismo sociale. È qua che si capisce il senso della sua trasversalità. E non ho alcun dubbio che una catalogna indipendente diventerà una realtà tra poco tempo. Quando questo succederà, sicuramente l’Europa avrà un alleato fedele per dare forma ad un progetto collettivo migliore di quello attuale.