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Appunti di Cooperazione Internazionale

Pussy Riot – Qualcosa più di un’invasione di campo

A cura di Davide Garlini.

Stando alle statistiche, qualcosa come 11 milioni abbondanti di persone in Italia si sono accomodate davanti alla TV per vedere la finale dei mondiali di calcio tra Francia e Croazia, tenutasi lo scorso 15 luglio allo stadio Luzhniki di Mosca. Come tutte le grandi partite, anche questa resterà nella storia per quanto i giocatori hanno saputo ottenere e regalare sul campo: la perla di Perisic, la papera di Lloris, la goleada francese e la quasi rimonta croata, Luka Modric – antidivo per eccellenza – eletto miglior giocatore del torneo in barba ai vari Ronaldo e Messi, Kylian Mbappe primo adolescente a segnare in una finale mondiale dai tempi di Pelè ecc… è giusto, lo sport è questo!

Molti ricorderanno anche, al minuto ‘7 del secondo tempo, una breve invasione di campo ad opera di tre ragazzi, causa di un’interruzione di gioco durata pochi istanti. C’ero anch’io davanti alla TV. Abbiamo avuto tutti la stessa reazione: ne abbiamo viste tante… l’ennesimo gruppetto di mezzi falliti pronto alle manganellate pur di qualche secondo di celebrità. Successivamente però, qualche osservatore più attento, si sarà accorto che il comportamento dei tre ragazzi coinvolti (così come il loro abbigliamento) cozzava con il solito atteggiamento di un invasore di campo. Questi sembravano… come dire… più “seri”.

L’invasione di campo delle Pussy Riot durante la finale dei Mondiali | Flashes – Il Post

Come avrete notato, i giovani che hanno partecipato all’invasione erano vestiti da poliziotti. Ciò in riferimento a un’opera del poeta dissidente Dmitri Prigov (morto il 16 luglio 2007) su un «poliziotto celeste» che, a differenza del «poliziotto terrestre», non perseguita i prigionieri politici. Con quello che è a tutti gli effetti definibile come un gesto politico le Pussy Riot, nel successivo comunicato, hanno chiesto che:
  1. Tutti i prigionieri politici vengano liberati.
  2. Le persone non vengano arrestate per i like su Facebook.
  3. Non ci siano più arresti illegali durante le manifestazioni.
  4. Sia permessa la competizione politica in Russia.
  5. Non vengano inventate accuse criminali per ragioni politiche e non vengano tenute in prigione delle persone senza una valida ragione.
  6. Il poliziotto terrestre sia trasformato in un poliziotto celeste.

Fonte: TodaySport.it

L’azione dimostrativa è arrivata a poche ore dall’arresto di Maria Alekhina: una delle esponenti più in vista della band punk femminista. Nei giorni precedenti la partita la ragazza era stata arrestata dagli ufficiali giudiziari a Mosca, dopo aver evitato i lavori obbligatori assegnati per un’azione di protesta tenutasi vicino all’edificio del Federal Security Service: i servizi di sicurezza russi.

Insomma, nel suo piccolo è una forma di ribellione bella e buona, una di quelle cose che in Russia non sono viste di buon occhio e vengono punite molto severamente. Per informazioni digitate “Anna Politkovskaya“, giornalista prima diffamata e poi uccisa per aver reso la Cecenia una questione a cui il mondo stava iniziando a interessarsi. Dubitiamo fortemente che il sistema Putin possa ritenere le azioni delle Pussy Riot qualcosa di più fastidioso della puntura di una zanzara, il potere dell’ex KGB è probabilmente così radicato nella realtà russa da essere ormai ritenuto normale, immutabile, parte integrante della stessa identità del Paese. Ogni tanto però serve qualcuno che scuota queste coscienze atrofizzate, qualcuno che per lo meno li faccia dormire male per un paio di notti. Gli intellettuali che in Russia ci provano fanno storicamente una brutta fine sin dai tempi dei Gulag siberiani. Questa volta sono dei giovani punk a fare un tentativo, con le loro creste e i loro tatuaggi, i loro testi oltraggiosi e le loro rabbiose chitarre. Ancora una volta, quando nessuno ha più nulla da dire, è l’arte a prendere parola.

Fonte: NME.com

Non otterranno granché, questa è cosa certa. A distanza di 5 giorni il mondo ha già quasi del tutto rimosso questa storia. Ma se nel 2018, in un pianeta che va a mille all’ora, dove il tornaconto personale è sempre più l’unica moneta corrente, tre ragazzi sono disposti – se non altro per risvegliare qualche coscienza o stimolare qualche pensiero costruttivo – a sottoporsi a ciò che le Pussy Riot sicuramente stanno passando in questi giorni, allora io non ho scuse per non raccontare la loro storia.

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