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Appunti di Cooperazione Internazionale

“Piuttosto crepo” – Piccola storia triste sul terrorismo suicida

A cura di Davide Garlini

Qual’è l’organizzazione terroristica responsabile del maggior numero di attentati nella storia recente? Da che motivazioni e ideologie era/è spinta?

La possibilità che molti di voi, gentili lettori, archivierebbe questa domanda con una rapida risposta basata su conclusioni superficiali temo sarebbe piuttosto alta.

Il terrorismo di matrice islamica – o presunto tale – è sulla cresta dell’onda mediatica da ormai vent’anni. Non passa giorno senza che si senta parlare di un qualche attentato o tentativo di attentato che veda coinvolti esponenti più o meno credibili della religione musulmana. Raramente però ci si chiede il perché. O, per lo meno, raramente ce lo si chiede cercando poi di darsi una risposta che presupponga un minimo di approfondimento.

La presunzione che l’Islam sia il nuovo nemico – diffusasi a macchia d’olio a partire dall’11 settembre 2001 e rafforzatasi in questi ultimi anni a causa del complesso e sfaccettato fenomeno ISIS – ha portato alla convinzione che la soluzione del problema possa trovarsi solamente in una radicale trasformazione delle società musulmane. Inutile evidenziare che, per molti, tale trasformazione dovrebbe coincidere con un altro concetto, un po’ più netto e pericoloso: “eliminazione”.

Ma quanto il terrorismo e i dogmi della religione musulmana vanno di pari passo? O meglio, quanto l’Islam offre terreno fertile a chi, dentro di sé, cova istinti che potrebbero – se debitamente coltivati – sfociare in qualche forma di violenza?

Che piaccia o meno a chi cavalca e alimenta tale stereotipo per propri fini, questa connessione tra terrorismo e fondamentalismo religioso è sbagliata!
Ci sarebbero ovviamente molti modi e molte vie per dimostrarne l’incoerenza, molte delle quali (perché negarlo?) chi vi scrive non è all’altezza di analizzare. In queste poche righe vorrei concentrarmi sulla tipologia di terrorismo forse più spaventosa di tutte, quella più radicale, quella – almeno apparentemente – più legata a una qualche forma di fede che vada al di là dei meri fini bellici: il terrorismo suicida.

Le ricerche condotte, tra gli altri, da Robert Pape, Professore di Scienze Politiche all’Università di Chicago, mostrano una scarsissima connessione tra la forma di terrorismo appena citata e il fondamentalismo – religioso in generale, islamico in particolare. Infatti, la risposta alla domanda con cui ho iniziato il presente articolo è: Le Tigri di Tamil, gruppo terrorista operativo nello Sri Lanka fino al 2009. Numero di attentati: 75. Ideologia: marxista-leninista e rigorosamente laica.
Famosissimi vero? Ne si parla tutti i giorni!! Scommetto che se mi mettessi a fare un sondaggio per strada chiedendo chi siano le Tigri di Tamil la maggior parte dei passanti sarebbero indecisi tra un tipo di felino e un film.

Soldati delle Tigri per la liberazione della patria Tamil che stanno marciando. Swissinfo.ch

Al di là delle facili ironie, ho scelto questo esempio per evidenziare una realtà chiara per chi ha abbastanza pazienza per andare oltre la superficie: ciò che quasi tutti i gruppi terroristici hanno in comune è un obiettivo strategico di carattere laico e secolare, ovvero liberare determinati territori ritenuti propri da una forza straniera percepita come invasore. È stato così per tutti i principali movimenti terroristici dell’epoca moderna: dai Ceceni agli irlandesi, dall’ETA ai partigiani antifascisti (oggi giustamente celebrati come eroi ma, all’epoca dei fatti, ritenuti criminali dal sistema che tentavano di rovesciare), passando per i palestinesi fino – che ci piaccia o no – ad arrivare a ISIS. La religione è raramente una causa scatenante ma è spesso usata come strumento, come dito dietro al quale nascondere obiettivi molto più materiali.

Un lettore attento avrà sicuramente notato che gli esempi che ho riportato poche righe fa non includono forme di terrorismo suicida, tema su cui ho dichiarato di concentrarmi. Il motivo per cui è quest’ultimo, in particolare, ad attirare la mia curiosità è che – a livello mondiale – il numero totale di attacchi terroristici è drasticamente diminuito negli anni (nel 2001 – anno globalmente identificato col terrorismo suicida – gli attacchi furono 348 mentre. Nel 1987 invece, oltre alla mia nascita, si dovettero registrare 666 incidenti). Il numero di attacchi nei quali almeno un terrorista ha scelto di togliersi la vita è invece aumentato negli anni fino ad arrivare a una sconcertante media di 25 all’anno (nel 1987 erano 3).

Attentatori in procinto di colpire il villaggio di Kouyape, in Camerun. Newsfromafrica.org

Le ragioni per questo “successo” potrebbero essere identificate con l’efficacia del metodo stesso: il terrorismo suicida miete più vittime e, allo stesso tempo, genera molta più paura nel nemico, il quale non ha più neppure uno spiraglio di certezza a cui aggrapparsi. Per farla breve: quando tu vuoi uccidere il tuo nemico per sopravvivere mentre il tuo nemico desidera morire pur di ucciderti, allora non ti è rimasto nulla. Per te morire è sconfitta, per lui morire è vittoria purché anche tu muoia con lui. State combattendo a due livelli diversi di fede e determinazione.

Considerando tale strategia, diventa a questo punto relativamente evidente quanto folle sia qualsiasi obiettivo legato alla conquista di territori identificabili con il terrorismo suicida, o anche solo alla trasformazione dei loro sistemi socio-politici. Operare in questi contesti con la violenza potrebbe portare a risultati apparentemente soddisfacenti nell’immediato, ma col tempo non farebbe che rendere il terreno ancora più fertile per la diffusione di altro terrorismo. Optare per la soluzione drastica e violenta in questi casi sarebbe come – per usare le parole di Graham E. Fuller – “essere punti da un’ape e per risolvere il problema prendere a bastonate il nido”.

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Questa voce è stata pubblicata il 30 marzo 2018 da in Sicurezza con tag , , , .
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