A cura di Daniel Cabrini
L’anno scorso, in questi ultimi giorni invernali, subito dopo l’elezione del presidente Trump, Stefano ci parlava di Brexit, mentre Luca ci offriva uno sguardo sull’Europa al sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma. Entrambi presentavano ai followers di Leggerò Leggero una chiave di lettura della situazione attuale del Vecchio Continente nel nuovo millennio.
Sono questi anni di cambiamento culturale e, a mio parere, di allontanamento da un percorso di coesione tra paesi iniziato, in particolar modo in Europa, subito dopo la seconda guerra mondiale. Un conflitto che ha causato la perdita di più di 100 milioni di persone; più del numero attuale di italiani.
Pur avendo creato un’organizzazione volta a mantenere la pace, la stabilità e il benessere, nell’epoca post bellica la paura di una nuova guerra nucleare ha pervaso i discorsi politici e geopolitici, sino al crollo dell’Unione Sovietica, incoronando da quel momento un periodo di monopolio americano.
In Europa, dal discorso di Schuman, si apre la strada ad un concetto di unità nelle diversità. Il lungo processo di integrazione è arrivato sino ai giorni nostri, tra gioie e difficoltà, facendoci conoscere un periodo di pace e prosperità che non si era mai visto nella storia del continente.
Negli ultimi anni non è comunque andato tutto liscio e sicuramente la crisi economica post Lehman Brothers, ormai ampiamente superata, ha scatenato un mutamento della percezione della condivisione e, in tempi di crisi, ognuno ha pensato a far crescere il proprio orticello.
L’egemonia americana è stata ridimensionata e le maggiori potenze mondiali hanno continuato a crescere e ad ampliare la propria influenza senza tregua.
Uno tra i passi più importanti è la firma, tra Russia e Cina, della dichiarazione per un mondo multipolare e per un nuovo ordine internazionale, formalizzata a Mosca il 23 aprile 1997 e registrata poi all’ONU il 5 maggio dello stesso anno.
Si è notato che dalla fine del XX secolo nelle relazioni internazionali si sono affermati diversi modelli di sviluppo economico, politico e culturale tra cui, ad esempio, la suddivisione del PIL mondiale o il progresso scientifico, analizzato secondo le spese per ricerca e sviluppo a parità di potere d’acquisto. Secondo quest’ultimo indice, gli Stati Uniti, nel 2011, fornivano solo il 31% a livello mondiale, mentre l’ Unione Europea raggiungeva il 24%, la Cina il 14% e il Giappone l’11%. Altro dato, le famiglie a reddito medio negli States si sono ridotte dal 61% del 1971 al 50% di oggi, mentre dall’altro lato si prevede che il PIL cinese supererà il livello statunitense nei prossimi 10 anni e così la sua classe media.
Il progetto multipolare è, secondo Evgenij Primakov, già Primo ministro e Ministro degli Esteri della Federazione Russa, una progressione con carattere definitivo più che un cambiamento una tantum.
La sfida che stiamo vivendo oggi ha portato il monopolista ad essere in difficoltà e a perseguire strade molto diverse rispetto a prima. Così, nel 2017, già Trump aveva vinto negli Stati Uniti con una campagna elettorale di chiusura verso l’esterno e di ripensamento del ruolo globale del paese. Il peggioramento delle situazioni dei migranti, la riduzione di rapporti economici con l’estero, il disinteresse verso l’ambiente e verso la sanità pubblica sono stati tra i cavalli di battaglia di un presidente che si è rivelato interessato al culto di sé stesso più che al reale beneficio di lungo termine per il paese.
La politica esecutiva si è concretizzata nel ritiro dal Trans Pacific Patrtnership, nell’interesse a ridiscutere il NAFTA, sulla creazione di dazi sul commercio, sulla costruzione di un oleodotto nord-sud potenzialmente inquinante per milioni di persone e sull’intenzione di far uscire gli Stati Uniti dagli accordi di Parigi sul clima. Nell’ambito sanitario, le politiche del presidente hanno fatto diminuire il numero degli americani che godono di una qualsiasi forma di assistenza sanitaria, cinque milioni in meno, rispetto al 2016 e il Chip (Children Health Insurance Program), che assicurava l’assistenza a quasi nove milioni di bambini in famiglie sotto il livello di povertà, non verrà rinnovato.
Inoltre, l’interesse a costruire il folle muro con il Messico, il blocco temporaneo dell’ingresso di immigrati, rifugiati compresi, da sette paesi e controlli più stringenti per i richiedenti asilo, sospeso per incostituzionalità e violazione dei trattati internazionali e altro ancora hanno segnato la fine di una politica estera americana volta a guardare al mondo come utile alla propria crescita.
Mentre in Corea del Nord, Kim Yong Un continua la sua guerra psicologica per la protezione del proprio regime contro le potenze occidentali, come ho affrontato in un articolo precedente, la Cina volge verso un accentramento del potere per il neo imperatore a vita Xi Jinping. La rivista Internazionale offre un interessante punto di vista secondo il quale tutto fa capire l’immagine del Quotidiano del popolo, l’organo centrale del Partito comunista cinese (Pcc). Se negli anni precedenti nella prima pagina vi erano presidente e dirigenti, nell’edizione 2018 vi è il solo volto di Xi. È un segnale di forte rottura con l’idea di Deng Xiaoping, che 30 anni fa aveva voluto una direzione collegiale per dotare il PCC di regole di governo volte ad evitare l’accentramento del potere, il culto della personalità e i dirigenti a vita di stampo Maoista.
La lotta alla corruzione (e di conseguenza agli oppositori) e la riunificazione Partito-Stato hanno permesso a Xi di riaccentrare il potere come il “grande timoniere” aveva saputo fare negli anni successivi alla creazione della RPC.
La Cina che Xi si presta ad essere attore con una vocazione post-occidentale e di potenza globale come non è mai stata prima.
Ad ostacolarla, ancora un volta, la politica di Washington, dove questa volta non solo mira a contenerla dal punto di vista militare ma dal punto di vista economico. Donald Trump è pronto a giocare col fuoco della guerra commerciale, e proprio ieri sera ha firmato un provvedimento che impone tariffe sulle importazioni dalla Cina per un valore stimato di 50 miliardi di dollari. Dal canto suo, il ministero del Commercio cinese condanna l’unilateralismo protezionista e ribatte che prenderà «tutte le misure necessarie» per difendersi dalle nuove tariffe.
Fonte: Internazionale
https://www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/2018/03/20/xi-jinping-imperatore
Sul confine settentrionale, un altro paese ha intrapreso la strada dell’accentramento, pur non così evidente come la Cina. Dopo l’operazione contro un’ex spia russa su suolo inglese, ricevendo a cambio l’espulsione di 23 diplomatici e la dichiarazione di un’arma atomica inequiparabile allo stato attuale dalle altre potenze mondiali, Putin ha conquistato un ulteriore presidenza con il 76,6% dei consensi, guadagnandosi il risultato migliore per un presidente nella storia della Russia moderna. Ovvero da quando esistono le elezioni. Da appassionato di scacchi reputo qui interessante vedere il video prodotto dall’Economist rispetto al pensiero del grande campione di scacchi, Garry Kasparov, sul gioco che il presidente russo mette in atto con l’occidente.
Ad oggi, il Cremlino continua ad aumentare la propria influenza sullo scacchiere internazionale, come si può ben vedere in primis tra Siria e Libia.
Nel frattempo, in Medio Oriente, a Netanyahu viene riconosciuto maggior potere e supporto, sia con il trasferimento a Gerusalemme di alcune ambasciate, sia con la decisione insieme agli Stati Uniti di eliminare i finanziamenti all’UNESCO, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura. Come a dire: “ciò che può rendere il mondo un posto migliore, a noi non piace”.
E poi ci sono gli europei.
Un continente dove populismi e nazionalismi si fanno avanti, poco consci probabilmente di ciò di cui sopra. Partiti che anelano alla disgregazione di un Unione che ha ancora al suo interno una vocazione, seppur in parte contestabile per alcuni ambiti, legata ai diritti umani e allo stato sociale.
In Austria quasi la metà dei consensi è finita in mano a Norbert Hofer, candidato alla presidenza della Repubblica per la destra nazionalista, in Francia Le Pen e il Front National hanno aumentato a dismisura la propria influenza, cosi come in Germania Alternative für Deutchland, il partito anti-immigrati di Frauke Petry, è in netta ascesa. Il gruppo di Visegrad, composto da Ungheria, Polonia, Rep.Ceca e Rep.Slovacca continua con le sue politiche anti-europee e anti-integrazione. Nel Regno Unito, si sa, Theresa May ha vinto con i suoi Leave la carta della rottura con l’Unione Europea, mentre in Italia il populismo assistenzialista e il ritrovato nazionalismo pan-italiano hanno guadagnato la maggioranza del parlamento, pronti con le proprie idee a disgregare un percorso di coesione e sviluppo europeo.
L’Europa è vissuta con insofferenza e non è più attrattiva per l’opinione pubblica, interessata più alle rotture che alla costruzione. Con la Brexit stiamo perdendo una parte di noi, mettendo a dura prova la tenuta del progetto, ma i costi proibitivi, non solo economici, dell’uscita del Regno Unito ci potranno fare da monito.
In tempi di crisi, le complessità culturali, le divergenze di sensibilità, di interessi e di ambizioni sono state riesumate per far rivivere, come prima del 1939, i nazionalismi e gli egoismi, spingendo in direzione opposta all’interesse di tutti.
Sessantun’anni dopo la creazione, la coesione europea resta irrinunciabile, senza la quale, tra i big mondiali, sarebbe impossibile difenderne la civiltà, il modello di società, i valori e i traguardi raggiunti.
Sessantun’anni di pace e benessere, con euro e mercato unico che hanno favorito una distribuzione economica e monetaria a imprese e cittadini, libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali, voli low cost e tariffe ridotte dalla fine dei monopoli. E cosi via.
Fonte: Il sole 24 ore
Dati aggiornati al 2015
All’Unione serve però ri-progettarsi, seguire una strategia di medio/lungo termine, favorire la dinamicizzazione della struttura e dei processi decisionali, perseguire cooperazioni rafforzate necessarie ai Paesi di accelerare l’integrazione in alcuni settori chiave quali politica migratoria, politica estera, sociale, sicurezza, difesa, armonizzazione fiscale e permettere a chi ci guarda con speranza di potersi aggregare.
Non sarà facile rimettere in carreggiata il progetto, riempirlo nuovamente di senso e consenso popolare, efficienza interna e credibilità internazionale in un mondo sempre più polarizzato.
In questo senso è necessario anche un ripensamento delle Nazioni Unite, più dinamiche e aperte alle sfide attuali, superando i blocchi dei 5 seggi permanenti e comprendendo che è indispensabile il rispetto reciproco, la parità e il vantaggio condiviso. Egemonia e politica della forza non possono superare dialogo e collaborazione. Il confronto deve vincere sul conflitto.
In un epoca multipolare è necessario ripensare ad un ordine internazionale pacifico, stabile ed equo dove le differenze nelle società, nelle ideologie e nei valori non devono diventare ostacoli per lo sviluppo. In un un mondo multipolare noi europei siamo irrinunciabili. L’Europa è irrinunciabile.
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