A cura di Giulia Tamagni
“You, in the universities here in Europe, you can do everything. Help them.”
Siamo alla presentazione del fumetto “Kurdistan. Dispacci dal fronte iracheno” di Claudio Calia, edito da BeccoGiallo. Fuori fa freddo come non ce lo si ricordava più, a Bergamo, e i pochi (ma buoni) avventori si rifugiano dentro a questo locale fatto per lo più di libri e calore umano.
Bergamo è solo l’ultima di molte tappe che hanno portato l’autore Claudio Calia e l’operatore di “Un ponte per…” Mohamed Ambrosini in giro per l’Italia a presentare questo progetto. Visibilmente stanchi ma sorridenti, iniziano raccontandoci prima di tutto cos’è e cosa fa l’ONG “Un ponte per…”, la sua storia, i paesi in cui sono attivi e i settori in cui agiscono.
Copertina del fumetto “Kurdistan. Dispacci dal fronte iracheno” di Claudio Calia, edito BeccoGiallo. – Credits: blogbeccogiallo
Claudio inizia poi a raccontarci la sua esperienza con l’ONG, del suo viaggio senza fine direzione Kurdistan, incappato in un attentato di Daesh a Istanbul, due giorni di ritardo sulla scaletta di marcia e arrivato a destinazione poche ore prima dell’inizio delle sue lezioni: il fumetto come mezzo di espressione alternativo, come minimo comun denominatore tra culture diverse, fedi diverse e soprattutto lingue diverse. Il fumetto come aggregante di vita, di esperienza, di futuro.
Chi l’avrebbe mai detto, che un giorno il fumetto sarebbe diventato un mezzo così potente da potersi contendere uno spazio a fianco delle più famose testate giornalistiche? Il fenomeno del graphic journalism (o comics journalism) non lo si può definire esattamente “nuovo”. Il giornalismo a fumetti è in circolazione da parecchio tempo, tenuto in vita da autori come Joe Sacco, che hanno usato questa tecnica per raccontare la vita nella striscia di Gaza o la Guerra nella Bosnia dell’Est.
Partiamo dall’inizio. Cos’è il graphic journalism? L’ho chiesto a Google, che prontamente mi ha risposto con la pagina “Treccani. Sottosezione lessico XXI Secolo. Vuoi scaricalo in e-book?” No grazie, sono già abbastanza scossa.
“graphic journalism <ġrä’fik ǧèenëliʃëm> locuz. sost. ingl., usata in it. al masch. – Il g. j. si serve del linguaggio del fumetto per raccontare fatti di cronaca usando metodi giornalistici come l’inchiesta, l’osservazione partecipante, il confronto di documenti, l’intervista, la fotografia. Viene pubblicato sia in forma di brevi resoconti su quotidiani e settimanali sia, più spesso, in forma di volume e in quest’ultimo formato viene sovente confuso con il graphic novel, che è una forma di racconto a fumetti afferente alla fiction, laddove il g.j. è chiaramente non-fiction. Fra gli autori più influenti vanno menzionati: lo statunitense Joe Sacco, il canadese Guy Delisle e i francesi Emmanuel Guibert, Frédéric Lemercier, Étienne Davodeau. In Italia gli editori BeccoGiallo e RoundRobin sono particolarmente attivi in questo genere di pubblicazioni che oscillano fra reportage di cronaca recente, resoconti di cronaca nera del passato, biografie e pamphlet di denuncia.”
Ed è davvero sorprendente che, in un epoca di notizie flash, ventiquattrore su ventiquattro, costantemente bombardati di notizie, il giornalismo a fumetti stia vivendo uno dei suoi periodi d’oro. E non ci crederete mai, ma uno dei paesi trainanti è proprio l’Italia. Tra le famosissime case editrici già citate dalla Treccani (per la quale Calia, il nostro autore, ha appena pubblicato il suo ultimo fumetto), mi permetto di aggiungere anche il più conosciuto Zerocalcare, già famoso per i lettori di Wired e Internazionale e diventato un pilastro del graphic journalism con la il suo mattone “Kobane Calling“, edito dalla Bao Publishing.
Copertina del fumetto “Kobane Calling” di Zerocalcare, edito da Bao Publishing – credits wikipedia
Perché sta avendo così tanto successo? Provo a dare un’opinione del tutto personale. Senza avere tanti dati alla mano, basta girare un po’ tra la gente per capire che la lettura, soprattutto il giornalismo, non sta vivendo il suo periodo d’oro. Pochissime persone leggono il giornale, di quelle poche ancora meno proseguono oltre il titolo e l’occhiello e di queste già minime, pochissime posano lo sguardo su un qualsiasi trafiletto che non parli di sport o di cronaca locale. Inutile che brontolate, lo sapete che è vero.
Credo che il graphic journalism, soprattutto quello sulle riviste come il sopracitato Internazionale, abbia così successo perché permette di leggere una notizia seria limitandosi all’uso poche parole, impostate come se fosse un discorso diretto (cioè come se te lo dicesse un tuo amico), con l’aiuto di un’immagine e di solito c’è sempre un lato sarcastico, cosa che non guasta mai. Il famoso “imparare divertendosi“, ecco.
Attenzione però a non sottovalutare la parola sarcastico, riducendola ad una volgare risata. Tra la parola inglese comics e la parola italiana comicità scorre un fiume. Infatti, non sarebbe la prima volta che il comics journalism si spinge talmente in là da diventare investigative journalism (giornalismo investigativo) a tutti gli effetti. Ne è un esempio il film-documentario “Audrie & Daisy“uscito nel 2016 in cui si parla delle conseguenze della violenza sessuale in cui gli assalitori sono stati resi sotto forma di disegno, da un lato per mostrare una faccia, un corpo, per capire che il delitto è stato compiuto da persone vere, come quelle che ti circondano; da un lato l’intento era quello di togliere qualsiasi spiraglio d’umanità all’aggressore, renderlo incapace di ricevere qualsiasi tipo di “empatia”.
Claudio Calia autore del fumetto e Mohamed Ambrosini, rappresentante di “Un ponte per…” – credits Giulia Tamagni
Indubbiamente non stiamo parlando di un mezzo infallibile, anzi. I limiti del graphic journalism sono evidenti: prima di tutto bisogna sapere disegnare e aver il tempo di poter disegnare; seconda cosa bisogna trovare la giusta misura: cosa dire, come dirlo, eliminare alcuni dettagli per farne risaltare altri, insomma bisogna pensare a cos’è l’essenziale. Ultimo ma non meno importante è il nome: la parola comics fa pensare ad una sciocchezzuola, una bazzecola, un mezzo per trastullarsi tra la lettura tra un articolo vero e l’altro.
C’è ancora molto da fare prima che il graphic journalism possa definitivamente venire consacrato tra i mostri sacri del giornalismo tradizionale. Però una cosa la possiamo fare, tutti insieme: leggerli. Leggerli tutti. Leggerli, imparare, impersonificarsi e dunque agire. Perché solo conoscendo la verità sarete in grado di poter agire nel migliore dei modi. E dove sta scritto che le notizie “vere” sono solo sui giornali “veri”? Di sicuro, non su un fumetto.
“…you can do everything. Help them”
Da dove iniziare? I titoli e gli autori sopra citati sono un’ ottima base di partenza. Per una visione più ampia, consiglio qualsiasi opera di Joe Sacco. Da qui in poi tocca a voi.