A cura di Laura Cicirata
Quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario della morte di Don Lorenzo Milani, figura dibattta e talvolta criticata, ma sempre attuale e chiamata in causa in molte circostanze della vita pubblica del nostro Paese.
Lorenzo Milani nasce a Firenze il 27 maggio 1923 da una famiglia benestante di origini ebraiche, riceve una formazione umanistica e per qualche tempo frequenta l’Accademia di Belle Arti di Brera. Abbandonati gli studi, nel 1943 Lorenzo si converte al cattolicesimo e in un secondo momento decide di prendere i voti e diventare sacerdote.
Il suo primo incarico di prete lo riveste a San Donato di Calenzano, un piccolo comune in provincia di Firenze. Fin dall’inizio mostra un certo interesse per le questioni legate alla vita degli operai e dei contadini, alle loro condizioni di lavoro e alla loro vicinanza o meno alla chiesa. Si mostra vicino alle famiglie in difficoltà, ne segue l’istruzione dei figli e si preoccupa di coinvolgere attivamente i ragazzi del paese.
Il temperamento di Don Milani, la sua vicinanza alla classe operaia, il suo carattero poco malleabile e talvolta scontroso e i diverbi avuti con la curia di Firenze, lo portarono a vedersi trasferito a Barbiana, una minuscola frazione del comune di Vicchio in Mugello. Malgrado le aspettative di alcuni dei suoi superiori, don Milani si distinse presto per le sue idee innovative e il suo spirito di iniziativa: decise di creare una scuola aperta a tutti i bambini e ragazzi del paese che non avevano la possibilità di frequentare la scuola pubblica per motivi economici e non solo, sottraendoli al lavoro nei campi o alla fuga nella città alla ricerca di un impiego. La scuola durava tutto il giorno, per tutto l’anno e venivano studiate tutte le materie, dalla matematica alle lingue, dal diegno tecnico alla fisica.
La scuola di Barbiana, con i suoi ideali di uguaglianza, impegno civile, contestazione del sitema scolastico allora vigente (da ricordare il famoso libro “Lettera ad una professoressa” del 1967, all’interno del quale i ragazzi della scuola di Barbiana denunciavano l’inequità della scuola pubblica italiana e le difficoltà riscontrate dai figli della classe meno abbiente all’interno dell’ambiente scolastico rispetto agli avviati figli della borghesia e della classe dirigente), si distinse presto come esempio e modello, alle volte stimato altre criticato, ma sempre aperta al mondo e al confronto.
Don Milani si spense all’età di 44 anni a causa di un linfoma che non lo convinse a rinunciare alle lezioni con i ragazzi della scuola, i quali gli rimasero vicino fino alla fine. Il corpo venne sepolto nel piccolo cimitero del paese, a pochi passi dalla chiesa e dalla casa dove, per 13 anni, insegnò e diede vita all’esperiemento pedagogico e sociale della scuola di Barbiana.
Foto di Laura Cicirata
Il 2 giugno di quest’anno ho avuto l’opportunità di visitare, insieme ad un gruppo di ragazzi, quella che fu la scuola di Barbiana, la chiesa, il piccolo cimitero e le colline circostanti.
Mentre salivamo per la strada ripida e faticosa che dal lago Viola porta alla piccola chiesa di Barbiana, non abbiamo potuto fare a meno di pensare a quel prete che in un piovoso giorno di dicembre la percorse, appesantito dai suoi oggetti e dai suoi pensieri per arrivare in questo luogo, bellissimo ma solitario, quale è la piccola parrocchia sul monte Giovi. Mandare Don Milani in un luogo così remoto e isolato, come una sorta di punizione insperata, che avrebbe dovuto calmare l’animo combattivo e determinato del giovane prete di Firenze, si è rivelata, al contrario, una scelta vincente. In un luogo piccolo, sconosciuto, semi deserto è nato un giardino fiorito che con i suoi semi ha saputo diffondersi, aprirsi, ‘farsi conoscere’ e ‘fare conoscere’.
Su quel monte, tra quelle quattro mura, dove la scuola durava tutto il giorno per tutti i giorni, è stata scritta una pagina della storia di una Paese che vuole partecipare, formarsi, allargare i propri orizzonti, scoprire e prendere una posizione, come a voler dire: “Non siamo forse noi gli artefici del nostro futuro? Non siamo noi, giovani contadini o figli di operai, a dover gettare le basi per un Paese più giusto ed egualitario? Non è forse la scuola l’unica vera formatrice dei cittadini di domani che ha il compito di abbattere le disuguaglianze e garantire a tutti la possibilità di migliorare la propria vita, contribuendo a migliorare quella degli altri? Come disse Don Milani, “Sulla parete della nostra scuola c’è una scritta “I Care”, che significa “Mi interessa, mi sta a cuore. Ecco a noi interessa tutto, di tutti”.
Foto di Laura Cicirata
Sembra incredibile che luoghi come quelli di Barbiana, così piccoli e quasi nascosti, lontani dal frastuono delle grandi città e dai riflettori, abbiano saputo lasciare un segno così forte e indelebile nella storia del nostro Paese, in quella storia che ha radici profonde ma a volte rischia di essere messa da parte, una storia che ha tanto da insegnare ancora oggi, che dopo molti anni sembra dirci che per poter cambiare le cose, bisogna prendere parte al cambiamento in modo attivo, bisogna conoscere, approfondire, prendere una posizione e saperla mantenere con coerenza, senza lasciarsi intorpidire dalle frasi fatte, dai luoghi comuni, dalle verità a scatola chiusa.
Se non per desiderio personale, almeno per curiosità, consiglio a tutti di visitare questi posti, sarà un’occasione per riflettere e pensare al contributo che ognuno di noi può dare, nel proprio piccolo, con le proprie forze, per costruire un futuro che ha radici molto profonde.