A cura di Omero Nessi
Sono sempre stato un diverso. Non sto’ facendo coming out, non sarebbe comunque nulla di male, ma la mia diversità è di altro tipo. Io sono sempre stato ciò che nell’era odierna viene chiamato nerd, sfigato, e così di seguito. Per peggiorare le cose sono anche interista, nel profondo. Uno di quegli interisti che hanno appena subito la scomparsa del “Sergente di Ferro”, Eugenio Bersellini. Come dire? Uno ai margini. Uno che ha dovuto difendersi dai bulli.
Perché vi dico questo? Perché quando si parla di diversità, di “teniamoli fuori!”, “vengono a rubarci il lavoro!”, “vengono qua e non fanno nulla, e noi li paghiamo pure!”, “alberghi a cinque stelle”, un po’ mi viene da ridere. Poi però il sorriso mi passa quando leggo di referendum contro la libertà di circolazione. Eh si! Perché è di questo che si parla. Ricordiamoci che Inter è il diminutivo di Internazionale. Già nella pancia della mamma, nelle vene, mi scorreva sangue internazionale. Era il 1968, dodici anni dopo la Rivoluzione ungherese del 1956. Anno in cui l’Italia ha iniziato ad accogliere i profughi ungheresi fuggiti per la repressione dell’allora URSS.
Lapide in memoria dei profughi ungheresi a Latina – via https://goo.gl/3TnDAp
Sessanta anni dopo, l’Ungheria è membro dell’Unione europea, quindi deve sottostare ai trattati firmati, come ogni membro. La cosiddetta crisi dei migranti spinge a trovare una soluzione all’epocale spostamento di masse di persone verso l’Europa. Si susseguono provvedimenti alternativamente restrittivi o volti a preservare l’incolumità di migliaia di persone. In funzione di avvenimenti luttuosi che scuotono l’opinione pubblica o proclami di pericolo veicolato dai flussi migratori. In risposta all’impegno dei membri dell’Unione Europea a distribuire più equamente il numero di persone, che fuggono da situazioni di pericolo, l’anno scorso il Primo Ministro ungherese Viktor Orbán propone un referendum popolare in cui chiede ai cittadini ungheresi: “Volete che l’Unione europea possa prescrivere l’insediamento obbligatorio di cittadini non ungheresi anche senza il consenso del Parlamento nazionale?”.
Il quorum non è stato raggiunto; quindi Viktor Orbán non ha ottenuto ciò che voleva? Come accade spesso in politica sembra che i dati vengano letti, da ognuno, a proprio piacimento. Il fatto che il novantotto percento dei votanti abbia votato per il no, quindi a favore della proposta di Viktor Orbán, ha consentito di strumentalizzare la tornata referendaria, e proseguire gli atti contro la libera circolazione. Già nel 2015, in contrasto con le politiche migratorie dell’Unione Europea, il governo ungherese, costruì una barriera sul confine con la Serbia. Attualmente è lunga circa 175 chilometri, ma è in previsione l’estensione anche al confine con la Croazia.
La sostanziale chiusura della rotta balcanica, per i migranti che fuggono da guerre e povertà, ha avuto come diretta conseguenza un aumento delle perdite di vite umane nel Mare Mediterraneo.
Confine tra Ungheria e Serbia – via https://goo.gl/KjRrdR
Le politiche ungheresi sull’immigrazione sono estremamente dure, in aperto contrasto con quelle dell’Unione Europea. Un muro contro muro, del quale ne subiscono le conseguenze i migranti, sia coloro i quali vengono definiti clandestini, sia per i profughi, che sono sottoposti a vera e propria detenzione preventiva, fino all’accettazione della domanda di asilo o protezione internazionale.
Non avendo trovato consenso col referendum dell’anno scorso, Viktor Orbán, nella primavera scorsa, ci riprova con un meno formale sondaggio sugli stessi temi, nel frattempo prosegue il suo scontro con l’Unione Europea.
Ci si aspetta che non si fermino le animosità, in tema di politica migratoria, e l’assegnazione di quote di migranti, considerando l’avvicinamento delle elezioni politiche in Ungheria, e che in campagna elettorale il tema viene particolarmente sentito dai cittadini di tutta l’Unione Europea.
Il dibattito è molto acceso, i problemi sono complessi e una soluzione che contemperi tutte le esigenze appare difficile da trovare. Ognuno ha le proprie convinzioni. Giusto in questi giorni ricorrono due, tra i tanti, tragici momenti che riguardano la fuga di masse di persone da luoghi pericolosi: il 3 ottobre 2013 al largo di Lampedusa persero la vita 368 persone e l’11 ottobre, pochi giorni dopo, 160 persone subirono la stessa sorte.
In memoria di questi dolorosi avvenimenti, come rappresentanti dei molteplici altri, collegati alla fuga da luoghi pericolosi, è stata istituita l’anno scorso in Italia, in data 3 ottobre, la Giornata nazionale in Memoria delle Vittime della Migrazione.
E’ chiaro che una giornata della memoria non risolva, di per sé, alcun problema. E’ un punto di partenza che spinge alla riflessione approfondita, al dibattito della società civile, all’analisi del problema da parte delle istituzioni e non ultimo alla produzione di attività didattiche e informative per i ragazzi delle scuole. Tutto per cercare di rendere, il nostro, il migliore dei mondi possibili.