A cura di Federica Facchinetti con il contributo di Silvia Giordano
Con la fine di Luglio si avvicina anche la pausa estiva di pubblicazione del nostro blog. Eccovi allora un articolo leggero, da portare in vacanza, che ha stuzzicato la mia curiosità per l’inusualità di trovare questo argomento sui quotidiani.
Sto parlando dei popoli indigeni o, come preferiscono designarli i francesi, dei popoli autoctoni. Circa 10 giorni fa un articolo pubblicato sul Corriere della sera raccontava di un gruppo di Zulù che, andati in Inghilterra per un tour, dovevano esibirsi con danze tradizionali in una scuola londinese, ma tra varie peripezie sono arrivati nello Yorkshire, presso una scuola potenziata per disabili. Curiosa l’inattesa destinazione, dove gli avventori hanno comunque deciso di esibirsi, creando un sorprendente diversivo nella giornata dei giovani studenti.
I popoli autoctoni evocano spesso terre lontane, ci rimandano a un’idea di folklore, a costumi variopinti e danze dai ritmi incalzanti, a una spiritualità dai rituali ancestrali legati ad un rapporto profondo con la terra.
Tamburi tradizionali del Burundi. Fonte: Lo spirito del pianeta. Ogni anno Chiuduno, nella bergamasca, ospita il più importante festival italiano dei popoli autoctoni.
Ma i popoli autoctoni non sono soltanto questo, e tale visione riduttiva e a tratti distorta si ritrova purtroppo in fenomeni di turismo superficiale che impatta negativamente sui territori abitati dagli indigeni, a livello ambientale e culturale. Spesso infatti questi popoli sono spinti addirittura a rendere le proprie tradizioni un feticcio per viaggiatori voraci, snaturandole dell’intrinseca identità. Mi sovviene, per citarne uno tra tanti, il cosiddetto Long Neks village, villaggio Kayan nella provincia di Mae Hong Son in Tailandia, nota al turismo internazionale per le “donne giraffa” che addirittura vengono annoverate da Trip Advisor tra le attrazioni turistiche!
I popoli autoctoni sono anche protagonisti di silenziose battaglie, che li vedono spesso impegnati nella difesa della propria terra dagli interessi di grosse compagnie internazionali attirate dalla ricchezza di risorse e giacimenti. Secondo l’ultimo dei rapporti pubblicato dalla Global Witness, impegnata ogni anno a rendere note controverse vicende legate alle terre autoctone, soltanto nel 2016 duecento persone sono state assassinate nel difendere i propri diritti dagli interessi di grandi industrie.
La corsa alle indipendenze del secondo dopoguerra ha trascurato i popoli autoctoni, che non hanno trovato alcun riconoscimento di un’autonomia identitaria effettiva. Ecco che quindi si è reso necessario l’appello a un interessamento da parte dei grandi organismi internazionali, affinché si potesse giungere a una qualche forma scritta di riconoscimento e tutela. Fra le principali fonti in materia si ricordano:
Volantino delle Nazioni Unite per il decimo anniversario dell’adozione della UNDRIP. Fonte: un.org
Il cammino come si può capire è stato lungo e tormentato, e a dieci anni dall’entrata in vigore della UNDRIP, proseguono le valutazioni sull’operato e gli interrogativi sul futuro. >> Per saperne di più
In America Latina i singoli Stati, a diversi livelli, hanno risentito dell’approvazione della UNDRIP attraverso l’implementazione di un pluralismo legale all’interno dei propri apparati legislativi nazionali. In questo processo ha sicuramente inciso favorevolmente il fattore demografico in quanto il subcontinente presenta il più alto tasso di indigeni del pianeta (826 popoli e 45 milioni di persone). Nel 2016 l’Organizzazione degli Stati Americani ha addirittura stilato una dichiarazione regionale per la tutela dei popoli autoctoni delle Americhe (IADRIP).
Nonostante ciò, il grande dramma di questa regione è sicuramente la mancanza di norme a tutela dello sfruttamento delle risorse naturali e che ha determinato la proliferazione di grandi compagnie nelle terre indigene e la criminalizzazione delle proteste, lasciando la tutela dell’ambiente alla sensibilità delle singole compagnie e alla combattività degli autoctoni. >> Per saperne di più
Per quanto riguarda l’Asia, tutti i governi hanno sostenuto l’approvazione della UNDRIP nel 2007, e tutti i popoli indigeni sono stati riconosciuti come identità distinte attraverso Costituzioni, leggi, policies e accordi/trattati. Già prima della UNDRIP esisteva un formale riconoscimento delle popolazioni autoctone, ma solo con essa vengono forniti strumenti per un’effettiva tutela giuridica della differenza.
La Carta Africana dei diritti dell’uomo e dei popoli offre degli interessanti paralleli alla UNDRIP per quanto riguarda i diritti collettivi, l’autodeterminazione dei popoli e il rapporto con la natura. Infatti la creazione di una Commissione Africana per i diritti dei popoli autoctoni dimostra una sensibilità alle questioni autoctone già in tempi non sospetti. Questo ha contribuito a un approccio attento e positivo allo sviluppo della loro tutela, benché ancora molto resti da fare per arrivare all’effettivo godimento della protezione dichiarata.
In Oceania il caso più eclatante è quello australiano. Qui infatti è ancora difficile parlare di un pieno riconoscimento del popolo aborigeno, che è testimone di un macroscopico divario nelle condizioni di vita, soprattutto in alcune aree remote, nonostante si renda protagonista di strenue lotte.
A partire dagli anni Novanta c’è stato un lento cambiamento di approccio politico alle questioni aborigene: si fa strada uno spiraglio verso il riconoscimento delle popolazioni, del loro diritto alla terra, delle responsabilità dei colonizzatori verso l’etnocidio, e della stolen generation. E in questa cornice è da leggere lo storico intervento del 26 maggio 2008, tenuto dall’allora primo ministro Kevin Rudd, il quale ammette pubblicamente le responsabilità nello smembramento sociale attuato sistematicamente contro le popolazioni aborigene tra gli anni 30 e 80 del secolo scorso. Forse una mera manovra di strategia politica, ma è quanto ha portato all’adozione della UNDRIP da parte del governo australiano il 3 aprile 2009. Resta il fatto che si tratta di estemporanei atti di politica interna, determinati dalla volontà politica del momento.
Aboriginal tent embassy, fu eretta in segno di protesta al mancato riconoscimento dei popoli aborigeni nel 1972. E’ ancora oggi presente sul prato antistante il parlamento australiano.
L’essere restii a un sereno riconoscimento della differenza volto a una coesistenza pacifica, è forse testimone dell’inadeguatezza dell’Occidente nell’affrontare la questione dei diritti della Terra. Questi popoli spesso percepiti come arretrati sono gli unici ad aver conservato un legame intrinseco con la Terra, e forse i soli a poter offrire una via d’uscita dalla spirale autodistruttiva in cui il mondo moderno ha gettato il nostro pianeta.
Per tenersi aggiornati: lifegate.it
Per una serata estiva: festival Lo spirito del pianeta, Chiuduno (BG)
Per approfondire: John Pilger, Utopia (2013), disponibile su https://vimeo.com/167556065