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Appunti di Cooperazione Internazionale

HART ISLAND – La fossa comune di New York City

A cura di Davide Garlini

“Mia figlia è sepolta in mezzo ad altri mille bambini, e non è questo che avrei scelto per lei”

“Ci sono un milione di persone la sotto, ci sono un milione di storie da raccontare”

“Mia moglie non è stata debitamente informata. Le è stato fatto firmare un documento quando era sotto shock e non ne abbiamo saputo più nulla”

“ È così che gestiamo la morte nella più grande città del mondo?”

Oggi, all’alba del terzo millenio, ci si aspetterebbe di leggere o ascoltare frasi di questo genere in qualche servizio sulla Siria o l’Iraq, o su qualche articolo di giornale ad opera di un reporter spedito chissà dove a scrivere di una qualche dittatura o guerra civile, oppure su qualche libro che racconta di massacri d’altri tempi. Come darvi torto quindi, se rimarrete al quanto sorpresi – come lo sono rimasto io – nello scoprire che tutto quanto vi sarà raccontato nelle prossime righe ha avuto e continua ad avere luogo in quella da molti ritenuta la più straordinaria città del mondo, oltre alla più filmata e fotografata in assoluto: the city that never sleeps, the Big Apple, New York City.

 

Il setting della nostra storia è Hart Island, un’isoletta al largo del quartiere Bronx, sul lato ovest del Long Island Sound. E’ lunga circa un miglio e larga poche centinaia di metri. Dalla terraferma la si vede con facilità. La si è sempre vista con facilità! E la si può raggiungere in pochi minuti di barca a motore partendo dalla ben più nota City Island. Ciò nonostante, Hart Island e la sua storia sono rimaste ignorate da 8 milioni di persone per almeno 150 anni. Ignorate come si ignora un vicino di casa scorbutico e un po’ trasandato che cerchiamo di evitare uscendo di casa. Ignorate come un edificio abbandonato accanto al quale passiamo ogni giorno ma di cui non ci chiediamo mai nulla. Di Hart Island ben pochi conoscono l’utilizzo, e coloro che ne sono al corrente evitano più che volentieri di parlarne.

Questo segreto è molto particolare e non facilmente riassumibile. Intendo però lanciare a me stesso questa sfida, volendo condividere una storia nella quale mi sono imbattuto quasi per caso ma che mi ha toccato profondamente.

Hart Island è un cimitero! “E fin qui nulla di strano” penserete giustamente voi. Di strano c’è però come la città di New York abbia gestito tale cimitero, i propri ospiti e le relative famiglie nel corso degli anni.

Cominciamo con i dati di fatto: le sepolture su Hart Island iniziarono poco dopo la Guerra di Indipendanza Americana. Nel 1868 l’isola passò ufficialmente sotto la giurisdizione della città di New York, la quale cominciò l’anno seguente a riutilizzarla come cimitero. La prima newyorkese a venire interrata nei 180,000 m2 di Hart Island fu la ventiquatrenne Luoisa Van Slyke, di evidenti origini olandesi. Nei decenni successivi la giovane Louisa fu seguita da un altro milione di cadaveri.

I deceduti sono sepolti in fosse comuni contenenti fino a venti bare ciascuna, spesso anche due o tre una sopra l’altra. Un elemento da sottolineare fin da subito in questa storia è che molti dei sepolti di Hart Island erano e sono i classici morti che non interessano: criminali, senzatetto, vagabondi ecc… In poche parole, tutti quelli che, in una città grande e caotica come NY, venivano scansati persino da vivi, una volta morti finivano su Hart Island. La realtà è però molto più complicata di così: su Hart Island infatti, tra un fuorilegge abbattuto dalla polizia e un senzatetto congelato a Central Park, riposano anche un numero incalcolabile di persone che definiremmo “normali”: gente la cui famiglia non poteva permettersi di pagare un funerale, cadaveri non reclamati entro un mese dal decesso e, soprattutto, bambini al di sotto dei 5 anni morti nel corso dei decenni nei numerosi ospedali della città.

E sono loro, i bambini di Hart Island, i veri protagonisti di questo articolo: i bambini di Hart Island e le loro famiglie. Per tutto il XX secolo è esistita a New York la seguente pratica: alle madri dei bimbi deceduti, evidentemente sotto shock o comunque in momenti di grave sofferenza, veniva offerta da parte dalla cittadinanza newyorkese la possibilità di affidare il corpo del bambino alle autorità cittadine, firmando un documento che autorizzava un cosiddetto “City Burial”. A quel punto il bambino finiva dritto ad Hart Island, senza che i parenti ne avessero più alcuna notizia ne tanto meno la possibilità visitarne la tomba. Beh, ovviamente!! Quale tomba vuoi visitare se l’isola è una gigantesca fossa comune? Ed è qui che la storia diventa contorta e colma di ingiustizia. “City Burial” (letteralmente “sepoltura cittadina/comunale”) significa semplicemente che i famigliari non hanno assunto un’agenzia funebre privata per il funerale. Non significa che i defunti non hanno famiglia, amici o storie degne di essere raccontate. Non significa che non hanno diritto a una tomba dove la famiglia possa andare a piangerli o a deporre un fiore. E soprattutto, non significa che la famiglia non possa recarsi fisicamente sul luogo di sepoltura. L’accesso ad Hart Island è infatti vietato al personale non autorizzato. E così, migliaia di genitori e parenti, una volta ripresisi dal tremendo lutto subito e pronti ad andare a visitare la tomba del figlioletto, si ritrovavano di fronte a due informazioni a dir poco devastanti: “vostro figlio è in una fossa comune su un’isola” + “sull’isola non ci potete andare”.

Molte famiglie, troppo povere o impotenti per tentare una qualche forma di protesta, semplicemente si rassegnarono all’orribile destino di dover immaginare il loro caro insieme ad altre migliaia di cadaveri senza nome. Alcuni però decisero che tale ingiustizia era troppo per non combattere, troppo per non portare agli occhi della più grande città del mondo il fatto che – con la media di tre sepolture di massa a settimana per 150 anni – migliaia di suoi figli finivano a marcire dall’altra parte dell’East River senza che le famiglie ne fossero debitamente informate.

Il primo vero tentativo di portare i segreti di Hart Island agli occhi dell’America prese forma nel 1991, grazie alla documentarista Melinda Hunt la quale, nel corso di tre anni, riuscì a ottenere speciali permessi per accedere all’isola e produrne un libro fotografico. Ciò nonostante, per i successivi vent’anni, i parenti che desiderassero recarvisi erano costretti a presentare formale richiesta tramite un avvocato (ovviamente a loro spese) per poi vedersela respingere o, ancora peggio, non ottenere risposta alcuna.

Una volta terminato il suo progetto fotografico, Melinda Hunt decise quindi che tale missione andava oltre la produzione di un’opera artistica. Si trattava di una battaglia sociale ed etica, il cui esito era in sospeso da 150 anni. Forte delle proprie conoscenze e della propria rispettabilità di filmmaker affermata, la Hunt fondò il cosiddetto Hart Island Project, il cui scopo era ed è quello di portare allo scoperto (termine tristemente appropriato) le troppe questioni legate a quel pezzo di terra e, soprattutto, ottenere maggiore apertura da parte della municipalità newyorkese nei confronti di tutti coloro i quali hanno parenti sepolti sull’isola.

Dopo anni di silenzi, incomprensioni, lacrime e battaglie legali portate avanti da avvocati pro bono, nel 2015 la città di New York, a seguito di una causa intentata ai suoi danni, concesse a tutti coloro che potessero provare in modo tangibile la loro parentela con un interrato di Hart Island la possibilità di visitare l’isola un week-end al mese tramite traghetti messi a disposizione dal Department of Parks and Recreation.

L’epopea di Hart Island e del suo milione di storie è tutt’oggi una storia conosciuta da pochi. L’insegnamento che ne ho personalmente tratto – ma che non intendo affatto imporre ai miei lettori – è che si tratti del più evidente esempio di ciò che può accadere quando delle istituzioni politiche decidono di nascondere la polvere sotto al tappeto per troppo tempo. Hart Island, infatti, non nacque con intenti oscuri o negativi. In una città come New York vengono recuperate decine di corpi non identificati o non reclamati alla settimana, ai quali giustamente bisogna trovare un luogo di sepoltura. Col il passare degli anni però Hart Island è sprofondata in un silenzio dal sapore di segretezza, la dignità di un’umana sepoltura ha lasciato il posto a degradanti fosse comuni scavate da carcerati per 35 centesimi all’ora.

All’alba del XXI secolo la situazione sta lentamente aprendosi grazie a una coraggiosa storyteller, a un gruppo di avvocati dall’enorme senso civico e, soprattutto, da madri e padri, fratelli e sorelle che non hanno mai smesso di marciare, di telefonare, di mettersi in fila, di compilare documenti e di sperare. In una parola, di combattere!

Onore a loro! Nel mio piccolo, ho ritenuto la loro battaglia degna di essere raccontata e condivisa.

Un commento su “HART ISLAND – La fossa comune di New York City

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Questa voce è stata pubblicata il 14 luglio 2017 da in Storia con tag , , , , .
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