A cura di Daniel Cabrini
Le migrazioni sono il tema più discusso negli ultimi due anni e continua ad essere uno degli argomenti che impregna maggiormente la retorica non solo politica e non solo italiana.
Come abbiamo già ribadito in altri articoli, ormai è di comprensione pubblica che il termine “migrazione” sia un vasto contenitore di concetti ma soprattutto di diverse persone, con origini, storie, progetti, idee ed emozioni proprie. In questo articolo ci occuperemo solo di una piccola parte di “migranti”, quelli che attraversano il deserto sulle “carovane della morte” e il Mediterraneo sulle “carrette del mare”.
Cartello di ingresso all’Iftar e festa pubblica “a porte aperte” di Borgo di Terzo del 21/06/2017
Se in Italia si continua a lottare per l’universalizzazione dei Diritti Umani, quasi fosse una salita al Calvario con romani e iscarioti pronti a tutto, in Libia la guerra per la riappacificazione (o meglio, controllo) del paese continua dal 2011. Il paese è spaccato in tanti pezzettini, ognuno dei quali controllato da una fazione. Nell’occidente i Tebu, Touareg e Zintan occupano rispettivamente il sud, il centro e il nord al confine con l’Algeria. Sulle coste nord, Tripoli è dilaniata in continui conflitti tra il governo appoggiato dalle Nazioni Unite di Fayez Mustafa Serraj ed alcune milizie locali, ancora fedeli all’ex capo del Governo di Salvezza Nazionale, Khalifa Ghwell. Misurata è controllata dalle forze ribelli e la provincia di Sirte è stata quasi liberata dalla presenza dell’esercito del Califfato di al-Baghdadi. Il controllo relativo maggiore lo possiede l’Esercito Nazionale Libico (LNA) comandato dal generale Khalifa Haftar, che prosegue le sue vittorie acquisendo il controllo di nuovi territori, tra cui il “Fezzan”, la regione desertica meridionale libica. Il generale, appoggiato da Egitto, UAE e Russia, ha recentemente acquisito la base di Al-Jufra, centro nevralgico militare poiché, come rammenta il sito Libya Herald, è “una copertura per colpire una gran parte della Libia occidentale”. I due principali scacchisti, il generale Haftar e il presidente Serraj, si sono incontrati ad Abu Dhabi il 2 maggio per trovare un accordo sul futuro della Libia, anche se nell’ultimo periodo le diverse fazioni si sono costantemente allontanate dagli accordi per la riappacificazione dell’ex stato africano, pur avendo visto momenti di riavvicinamento.
Il tutto senza contare la recente crisi mediorientale tra Qatar e stati vicini. Come riportato dalle fonti mainstream, l’isolamento e le pressioni sull’emirato sarebbero la chiave per ridurre i finanziamenti al “mondo terroristico”. La questione non è ovviamente così semplice; probabilmente però molte cose si muoveranno, contando gli immensi fondi sovrani a disposizione e l’elevata influenza che questi paesi hanno sia sulle economie occidentali che, soprattutto, su quelle nordafricane e mediorientali.
Chi paga il conto di questo trambusto sono sempre i più deboli. Il caos sovrano causa persecuzioni e morti alle migliaia di persone che in Libia vivono per alcuni periodi o transitano. Stiamo parlando di uomini, donne e bambini che seguono le rotte migratorie partendo dai diversi paesi subsahariani e che in Libia hanno una tappa forzata. Partono con il sogno dell’Europa libera e ospitale ma si scontrano sin da subito con la dura realtà dei trafficanti, delle milizie armate e del caldo deserto; l’oscuro Mediterraneo è solo per i più “fortunati”.
Attraversamento del deserto del Sahara su un camion stracolmo
Per fermare il viaggio della salvezza e quindi l’ingresso in Europa per richiedere asilo, alcuni paesi, tra cui l’Italia, hanno firmato degli accordi per la creazione di centri per l’identificazione e il rimpatrio. Il primo accordo è stato firmato il 2 gennaio tra il premier italiano Gentiloni e il premier libico Serraj. Il “primo mattone di carta per la costruzione di un muro” nasce dall’interesse alla riduzione degli elevati flussi di profughi ed ha come obiettivo la costruzione di centri di accoglienza in Libia sotto il controllo diretto dell’autorità libica. Come descritto nella prima parte dell’articolo, il paese nordafricano non è un luogo adatto ad offrire le garanzie necessarie per la sicurezza umana e il rispetto dei diritti dell’uomo. I migranti rischiano di vivere in campi di detenzione arbitraria dove non esiste un governo ma solo guerra, una prigione a cielo aperto dove torture, stupri, violenze, umiliazioni ed esecuzioni sono la norma.
Il memorandum d’intesa è stato però sospeso il 22 marzo dalla corte d’appello di Tripoli, la quale ha accolto il ricorso dell’avvocatessa libica per i diritti umani, Azza Maghur, e dei suoi colleghi. Le motivazioni sono che “le istituzioni statali libiche sono deboli e la loro autorità è contestata” e il governo di Tripoli guidato da Serraj è in un momento di particolare vulnerabilità. Data la sospensione dell’accordo libico e le difficoltà a raggiungere una vera pacificazione tra i diversi attori in Libia, l’interesse italiano volto a bloccare le morti in mare (ma soprattutto gli ingressi in Italia) non si è fermato. Sono già molti gli accordi di “cooperazione” tra Italia ed alcuni paesi di provenienza tra cui Albania, Algeria, Egitto, Filippine, Gambia, Ghana, India, Libia, Marocco, Niger, Nigeria, Pakistan , Senegal, Sudan, Tunisia, Turchia, senza contare gli accordi dell’UE con questi ed altri paesi. Siano essi trattati di cooperazione, accordi di riammissione, intese tra polizie o memorandum d’intesa, la maggior parte dei paesi di partenza hanno un accordo stipulato con noi al fine di riammettere alcuni cittadini migrati in Europa in cambio di finanziamenti che non sempre si sa cosa vadano a supportare.
La macchina diplomatica non si è arrestata e il 21 maggio si è tenuto un importante vertice tra il ministro dell’interno Minniti e i ministri di Ciad, Niger e Libia. Tre paesi chiave nel percorso di tratta di esseri umani, poiché dai primi due paesi passa il 90% dei richiedenti asilo che giungono il Libia per attraversare il Mediterraneo in direzione delle coste europee. La strategia del ministro Minniti con i colleghi Aref Khoja, Mohamed Bazoum e Ahmat Mahamat Bachir è quella di cooperare congiuntamente nel contrasto al terrorismo, in particolar modo rispetto al traffico di esseri umani e soprattutto rispetto alla sicurezza dei confini. L’accordo con la Libia mira a rafforzare la guardia costiera nordafricana, consegnando 10 motovedette necessarie a ristabilire il controllo dell’accesso al Mediterraneo dei barconi e a offrire supporto per controllare i più di 5000 chilometri di confine desertico che sono sotto il controllo delle organizzazioni terroristiche e di trafficanti di esseri umani.
Rispetto al Ciad, paese di transito per i profughi dell’Africa orientale, tra cui Eritrea, Somalia ed Etiopia, e al Niger, paese di transito per i profughi dell’Africa occidentale che passano da Agades, si è voluto iniziare un percorso di creazione di centri di accoglienza per migranti irregolari, conformemente agli standard umanitari internazionali. Per molti rinomati autori questi centri sono soldi regalati al deserto poiché non è pensabile che dei centri di accoglienza (o meglio rimpatrio) siano sufficienti a fermare delle migrazioni che hanno come obiettivo la salvezza europea. Tenendo in considerazione che Ciad e Niger hanno un’estensione pari al quadruplo dell’Italia e la Libia sei volte l’Italia e la maggior parte di questi paesi è formata da deserto non controllato, difficilmente la creazione di qualche centro ridurrà i flussi.
Ibn Battouta (1304 – 1368) – Uno dei più grandi viaggiatori della storia
Anche se l’Italia non è in grado nelle condizioni attuali di assorbire tutta la manodopera in ingresso, bisogna tenere comunque presente che nei paesi di provenienza o transito la qualità della vita è comunque enormemente minore ed emarginazione e povertà sono la norma. La questione migratoria è ancora lontana da una soluzione che possa garantire la sicurezza umana e il pieno sviluppo dei diritti umani per tutti e per superare i limiti dello “stato nazionale”, la cooperazione internazionale può aiutare molto.
Ricordando l’obiettivo del superamento dell’ideologia assistenzialistica, che tutt’oggi pervade la cooperazione internazionale e le attività di volontariato, è necessario un cammino di valorizzazione delle competenze, dei valori e dei vissuti di coloro che il paese lo conoscono fin da piccoli, rendendo possibile una cooperazione che promuova lo sviluppo locale, anche attraverso il ruolo delle comunità di immigrati e le loro relazioni con i paesi di origine e contribuendo a politiche migratorie condivise con i paesi partner, ispirate alla tutela dei diritti umani e delle norme internazionali, come si può leggere in parte nella legge 125/2014.
L’augurio di tutti noi è che le politiche migratorie e quelle di cooperazione allo sviluppo siano di reciproco supporto al fine di garantire a chiunque un livello di vita degno nel rispetto dei diritti che ogni essere umano ha il dovere di garantire e ha il diritto di aver garantiti.