A cura di Roberto Memme
Al di là dei proclami dell’ONU sul disarmo atomico che farebbero del 2017 l’anno della denuclearizzazione degli armamenti e che riportano il nucleare al centro dell’attenzione internazionale, in Italia ultimamente non ci siamo interessati molto dell’energia atomica, perlomeno dopo il referendum che nel 2011 lo ha definitivamente (spero) rinnegato.
Dato che non ci riguarda più direttamente, la questione sarebbe chiusa, no?
Bene.
Report, qualche settimana fa, ci ha ricordato che in questo momento in Europa esistono 140 reattori nucleari attivi, di cui diversi a rischio per via dell’abbondante superamento dell’aspettativa di vita degli impianti. Nonostante il problema ci sembri ormai un lontano ricordo, una buona parte di questi si trova praticamente nel nostro giardino di casa (come si può vedere qui). Ne troviamo in Francia, in Slovenia e in Svizzera, alle porte dei confini italiani.
Saint-Vulbas (Francia), la centrale in giardino – © Andrea Pugiotto, Viez Chez la Central. Fonte: Il Post
L’India, che le catastrofi ambientali le ha conosciute bene a Bhopal, ha annunciato nei giorni scorsi la costruzione di 10 nuove centrali nucleari che si aggiungeranno alle 22 già esistenti.
Intanto in questi momenti, dall’ Ucraina una nuova Chernobyl ci sta minacciando. La centrale a biomasse EkoTES di Ivankov sta contaminando i mercati agroalimentari europei colpendo una considerevole mole di terreni e prodotti, come denunciato dall’associazione Mondo In Cammino nella veste del suo presidente Massimo Bonfatti (qui il testo della denuncia di Bonfatti al Parlamento Europeo).
Eppure tutti ci ricordiamo bene dell’impatto di Fukushima, nonostante siano già passati 6 anni.
E se lo ricorda bene anche la Germania che, subito dopo gli eventi giapponesi, ha deciso che arresterà i suoi 17 reattori entro il 2022.
Il timore che ha suscitato il disastro nipponico ha avuto e sta avendo delle conseguenze devastanti.
Sembra che nei mesi scorsi i funzionari dell’ AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) abbiano ammesso che un terzo dei mari terrestri siano stati in qualche modo inquinati dal fall-out di Fukushima. Affermazioni, queste, confermate dal network “Integrated Fukushima Ocean Radionuclide Monitoring”. Le rilevazioni effettuate in Canada a fine 2015 dall’ente di cooperazione tecnica predisposto dall’AIEA riportano notevoli concentrazioni di Cesio-134 e Cesio-137 (entrambi elementi radioattivi), cosa mai avvenuta prima sulle coste nordamericane. Il network ha affermato che l’unica fonte possibile che giustifichi tali risultati sia proprio l’incidente avvenuto in Giappone e che la dispersione degli elementi radioattivi abbia intaccato buona parte delle acque oceaniche.
Diversi istituti di ricerca sostengono che le radiazioni e materiali radioattivi messi in libera circolazione da eventuali fall-out nucleari possano coprire grandi distanze via aria e via mare.
Qualcosa ne sapevamo già a seguito del celebre quanto triste disastro di Chernobyl. Ma ce lo ricordiamo ancora?
Ci ricordiamo che in Italia stiamo ancora pagando caro (circa 3 miliardi di euro spesi tra il 2001 e il 2016, prelevati tutti dalle bollette) lo smaltimento delle scorie delle nostre quattro centrali dismesse, senza tra l’altro sapere bene come gestirle? Se non troveremo rapidamente le dovute soluzioni, a breve dovremmo accollarci anche le sanzioni delineate dall’apposita procedura di infrazione aperta dall’UE. A ciò, si aggiungeranno 222 tonnellate di nostre scorie, stoccate in questi momenti negli impianti francesi, che rientreranno se non costruiremo per tempo gli appositi depositi.
Centrale nucleare di Trino Vercellese (Vercelli) – Fonte: Google immagini.
La sostenibilità delle strutture che gestiscono il sistema dell’energia atomica si sta sgretolando. Infatti, oltre a sgretolarsi metaforicamente dal punto di vista finanziario come palesato dai conti in rosso (di oltre 10,5 miliardi di euro) del gigante francese Areva, sono state contate diverse migliaia di visibilissime crepe, presenti anche nelle faglie del sottosuolo sloveno del reattore di Krsko, che potrebbero realmente sbriciolare le strutture di contenimento di diversi reattori belgi.
Finanziariamente, l’esperienza degli Stati Uniti, dove giganti del nucleare come Westing House hanno recentemente dichiarato fallimento, ci dice che le energie rinnovabili (sebbene si discuta sul fatto che non tutte siano al 100% ecologicamente preferibili a 360 gradi) stanno avanzando enormemente in termini di competitività e sostenibilità sull’atomica.
Ricordarsi che in questo momento sostituire il petrolio è pressoché inimmaginabile non deve farci dimenticare che il nucleare fornisce circa il 14% dell’energia elettrica necessaria all’UE e più del 50% al Belgio. Proprio in Belgio, la desolazione del villaggio fantasma di Doel, che giace tra le banchine del gigantesco porto di Anversa e i quattro reattori nucleari della vicina centrale, lascia spazio per riflettere: come si convive con una centrale nucleare nel giardino di casa?
La centrale nucleare di Saint-Vulbas (Francia), la più vicina all’Italia – © Andrea Pugiotto, Vie Chez la Central. Fonte: Il Post
Un tentativo di “conversione” dall’atomica (e dalle sue più oscure conseguenze) è stato messo in atto in Bielorussia e in Ucraina. Nelle campagne contaminate dal fall-out di Chernobyl alcuni grandi impianti eolici e fotovoltaici stanno concretizzando l’ipotesi di una riabilitazione energetica verde.
Nonostante sia impensabile per la Bielorussia ottenere in questo modo l’indipendenza energetica, visto che nel 2015 importava ancora il 90% del suo fabbisogno energetico dalla Russia, almeno il tentativo di strappare dalla morte radioattiva un’intera area del paese colorandola di verde è stato messo in atto. La positività di questo progetto è stata comunque fortemente discussa per via della necessità di mantenere l’esclusione totale dell’area da qualsiasi attività umana, cosa che vale ancora di più quando le attività possano rimettere in circolo la radioattività agendo consistentemente sugli elementi naturali contaminati. La costruzione di una centrale geotermica non farebbe che smuovere i materiali sedimentati nel terreno, già dispersi nell’ambiente attraverso i frequenti incendi che si verificano nella zona e (ancora una volta) attraverso la commercializzazione di alcuni prodotti da qui provenienti (come le ceneri dello stesso legname che vengono rivendute come fertilizzanti).
Pensare di convertire l’energia atomica in energie rinnovabili è comunque forse possibile: ce lo dice la Svizzera, che lo scorso 21 maggio ha scelto di passare alle fonti di energia rinnovabili abbandonando gradualmente il nucleare. Sulla base della scelta democratica espressa dai suoi cittadini, la Svizzera dovrà quindi ripensare il tessuto infrastrutturale statale per implementare il sistema energetico e i suoi indotti in senso green-oriented. Lo sviluppo dell’intero paese dovrebbe ricalibrarsi tutto in funzione eco-friendly.
Ricalibrare sul green percorsi di sviluppo nuclearizzati è quindi forse possibile?
Noi, a nostro tempo, decidemmo di abbandonare un modello di sviluppo basato sul nucleare.
Quale sarà, quindi, il futuro dell’energia italiana ed europea?
Il tempo dirà la sua. Nel frattempo, ricordiamoci perché.
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Mondo In Cammino è un’associazione di volontariato piemontese attiva dal 2005 che, grazie all’esperienza e alla passione del suo tenace presidente Massimo Bonfatti, continua a realizzare numerosi progetti nelle zone colpite dal fall-out di Chernobyl. E’ attiva anche nel Caucaso russo, dove ha stretto profondi legami con l’associazione La Voce di Beslan (sede dell’attentato terroristico avvenuto in Ossezia del Nord nel 2004 che ha visto vittime numerosi bambini). Si è inoltre recentemente mobilitata a sostegno dell’emergenza terremoto nel centro Italia.