A cura di Daniel Cabrini
Questo articolo di Leggerò Leggero è, insieme all’articolo sul ”NO al Referendum” del mio collega Luca Torre, inteso ad informare i nostri lettori riguardo all’importantissima scelta che l’Italia è chiamata ad affrontare.
Sia io, Daniel, che il mio collega Luca, abbiamo entrambi una formazione economica e di cooperazione internazionale, siamo interessati alla vita associativa locale oltre che quella politica comunale; anche per questo motivo ci siamo accollati l’onere di informare in modo leggero chiunque senta la necessità di approfondire una tematica cosi delicata per il futuro del nostro bel paese.
Dopo aver approfondito la questione ed aver partecipato a diverse serate informative, tra le quali a Ponte Nossa con il consigliere regionale Angelo Capelli e il consigliere comunale Minuti e quella organizzata dalla nostra associazione culturale “Il Testimone” con l’ospite speciale, ex senatore e parte del “comitato dei saggi” sulle riforme istituzionali, Stefano Ceccanti, propongo un articolo che riguarderà le motivazioni che potrebbero accompagnare la scelta del cittadino verso il SI.
Per comprendere al meglio le idee che possono portare a grandi cambiamenti bisogna sempre partire dalla storia.
Prima seduta dell’Assemblea Costituente.
Nel 1947, infatti, la prima bozza costituzionale fu creata in un clima di collaborazione tra i diversi partiti, andatosi poi affievolendo in seguito ai dibattiti politici per la decisione del governo. Ciò fu dovuto soprattutto al clima di sfiducia che si stava formando in seguito all’inizio della Guerra fredda e che portò gli schieramenti ad accantonare alcune soluzioni collaborative e a sceglierne altre, più per la voglia di limitare i poteri e le risorse istituzionali di chi avesse vinto le elezioni, piuttosto che per motivazioni di interesse pubblico.
Nel frattempo si votava per la futura Costituzione.
Sin da subito, gli stessi padri costituenti si trovarono insoddisfatti del nuovo tipo di Parlamento, tant’è che già dal gennaio 1948 i diversi partiti che avevano appena votato la nuova Costituzione presero le distanze dal bicameralismo contenuto in essa.
La proposta del 1946/1947 per un modello monocamerale e un senato come referente delle regioni, fu accantonata a causa degli scontri tra i diversi partiti.
Riguardo al nuovo assetto, alcuni grandi nomi del panorama politico e giuridico affermarono che la nuova costituzione “è il frutto del timore reciproco dei partiti” (Tesauro), “solo da noi il Senato è un duplicato della Camera” (Sturzo), “è prolissa, confusa, mal congegnata; è nata da una coalizione di interessi elettorali” (Cajumi).
Dal 1989, le maggioranze persero la stabilità politica avuta fino a quel periodo a causa delle differenziazioni di voto sia all’interno delle famiglie che tra giovani e meno giovani. Senato e Camera hanno poi difficilmente avuto linee politiche comuni. Dall’ultimo decennio del secolo si tentò invano di costruire una democrazia maggioritaria e il bicameralismo paritario si è mostrato come un ostacolo alla capacità di governo del Paese. Si pensi al ’94, governo Berlusconi, e al ’96, governo Prodi.
Dal 2013, i tre macroschieramenti, quasi equivalenti, non hanno trovato soluzioni di collaborazione bloccando in parte un sistema nazionale in crisi e bisognoso di cambiamento.
Nessun paese al mondo ha infatti un potere legislativo nel quale due assemblee separate, ed elette direttamente, fanno esattamente le stesse cose. Le due Camere devono votare due volte le stesse norme causando lentezze, inefficienze e spese inutili.
Inefficienze, spese e lentezze che hanno portato, ad esempio, all’impossibilità di eleggere un nuovo presidente della Repubblica, obbligando il presidente uscente, Giorgio Napolitano, a restare in carica ulteriori 7 anni.
La necessità di una riforma venne esposta dall’ex presidente Napolitano nell’accettare l’incarico del secondo mandato, a patto che le forze politiche si impegnassero in modo conciso alla revisione costituzionale. Sia il centro-destra che il centro-sinistra conversero sulla necessità di un sistema più snello; l’elezione come presidente di Mattarella, non voluto dal centro-destra, portò ad un inutile e dannoso scontro che spinse un ramo della politica a supportare il “NO” alla riforma.
Testo del quesito referendario del 4 dicembre 2016
La riforma in breve: i punti principali.
1) Abolizione del CNEL e delle provincie.
L’abolizione del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) è un punto sul quale tutte le fazioni sono a favore. Il CNEL è infatti un ente nato nel 1948 creato per fornire consulenza al Governo ed al Parlamento e proporre disegni di legge; nel corso degli anni sono stati pochi e poco condiserati. Quest’ente costa circa 20 milioni di euro l’anno e allo stato attuale non risponde più alle esigenze per cui era stato creato.
Riguardo alle provincie, la riforma si limita all’ eliminazione del termine “Provincia” all’interno della Costituzione. I poteri delle Province, infatti, erano già stati ridotti dalla legge Delrio del 2014, togliendo alle stesse diverse competenze e modificando il meccanismo di elezione; la reale cancellazione toglie l’obbligo di esistenza delle stesse ma non la possibilità di creare enti utili in caso di bisogno.
2) Referendum
Con la riforma si vuole imprimere una direzione partecipativa alla democrazia.
In primis, le nuove leggi di iniziativa popolare, dovranno avere un numero di firme minime pari a 150 mila, obbligando però il parlamento all’esaminazione delle stesse. Fino ad ora queste proposte popolari venivano ignorate.
L’introduzione, con il SI alla riforma, dei referendum propositivi e d’indirizzo darà la possibiltà, fino ad ora inesistente, di interrogare i cittadini sulle grandi questioni di attualità, ad esempio come è stato per la Scozia il referendum sull’indipendenza.
Verrà inoltre ridotto il quorum per la validità dei referendum abrogativi; d’ora in poi se perverrà una richiesta da almeno ottocentomila elettori, non sarà più necessario il voto del 50 per cento degli aventi diritto, ma sarà sufficiente la metà più uno dei votanti all’ultima tornata elettorale.
3) Camera e Senato
La Camera continuerà ad essere eletta a suffragio universale e conterà di 630 membri. Sarà però l’unica a votare la fiducia al governo.
Il Senato, al quale partecipano ben 315 membri, subirà un taglio di costi, portando i senatori a 100. Di questi 74 verranno eletti tra i consigli regionali e 21 saranno sindaci, rappresentando il peso demografico delle diverse regioni; 5 saranno eletti dal Presidente della Repubblica. I cittadini, al momento dell’elezione del consiglio regionale, decideranno quali saranno anche senatori.
Con la riforma, il Senato potrà finalmente diventare il luogo dove regioni e comuni saranno rappresentati, permettendo alle istanze territoriali di entrare direttamente nel procedimento legislativo attraverso i sindaci e i consiglieri regionali. Aumenterà il potere di rappresentanza delle Regioni ordinarie, come la Lombardia. Fino ad oggi le Regioni hanno potuto trattare con il potere centrale tramite la conferenza Stato-Regioni, senza però il necessario potere per veder compiute le proprie istanze.
Riguardo all’indennità dei consiglieri regionali, gli stessi non potranno riceverla più alta di quella del sindaco del capoluogo di regione, mentre i gruppi regionali non avranno più il finanziamento pubblico.
Inoltre, il nuovo Senato parteciperà dirattamente alla formazione e all’applicazione delle politiche dell’Unione Europea e ne verificherà direttamente l’impatto sui territori. Così facendo l’Italia potrà evitare ritardi nell’applicazione delle norme, costostissimi conflitti e contenziosi Stato-Regione oltre che Stato-Unione Europea.
Con il SI alla riforma, verrà superato il “bicameralismo perfetto”, ossia due camere quasi uguali che fanno le stesse cose. Doppi costi.
Verrà così reso il lavoro del Parlamento più rapido ed efficace modificando le competenze del Senato; le proposte di legge non dovranno più pendolare tra Camera e Senato, tranne che riguardo ad alcune materie nella quale la Camera approverà le leggi e il Senato avrà al massimo 40 giorni per discutere e proporre modifiche.
Un’ ulteriore modifica riguarda i nuovi senatori a vita, categoria questa che andrà esaurendosi poiché verrà permesso a questi ultimi di restare in carica per soli 7 anni.
4) Decreti legge
La riforma modificherà anche l’utilizzo da parte del governo dei decreti, i quali vengono utilizzati per sopperire alla staticità degli ultimi Parlamenti. Con l’abolizione del bicameralismo perfetto la macchina normativa potrà essere più snella ed efficiente.
5) Competenze dello Stato
La riforma semplificherà il rapporto tra Stato e Regioni, eliminando le competenze concorrenti, ossia materie che sono di competenza di entrambe le parti; fino ad oggi i conflitti interni hanno creato confusione, conflittualità ed elevati costi, oltre che aver ingolfato il lavoro della Corte Costituzionale, distogliendola dalle questioni più importanti.
Stato e Regioni avranno proprie funzioni legislative; le grandi materie, come le reti di trasporto e di navigazione nazionali, la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia o la formazione professionale, saranno di esclusiva competenza dello Stato. Le Regioni più virtuose potranno mantenere le proprie competenze, quali l’organizzazione sanitaria, il turismo o lo sviluppo economico locale; le regioni in difficoltà avranno la possibilità di riassestarsi tramite la delega di queste materie allo Stato centrale.
Concludendo,
la riforma costituzionale ha lo scopo generale di semplificare il nostro modello costituzionale, rendendolo più efficiente e funzionale alle sfide europee e globali di questa fase storica.
Il nostro Paese solo adesso sta tentando con fatica di uscire da una crisi profonda di mancata crescita e di grande debito pubblico e ha bisogno di istituzioni più efficienti e più all’altezza delle sfide che ci pone l’economia globalizzata e le stesse difficoltà dell’Unione europea. C’è bisogno di una governabilità più rapida ed efficace;
“Non è una scelta banale, se vince il No il sistema non cambia. Continueremmo nella instabilità e nella confusione delle regole. Se vince il Sì si apre una nuova stagione per la modernizzazione e la competitività del paese. Decideremo sul futuro.” (Luciano Violante).
Le riforme sono infatti uno strumento necessario per assumere quelle decisioni indispensabili che hanno la capacità di produrre risorse, servizi, redistribuzione, partecipazione attiva ed efficienza.
In Italia, innumerevoli investimenti esteri non vengono fatti a causa dell’instabilità del paese, ingenti risorse vengono sprecate nel sistema italiano, innovazione e miglioramenti sono limitati a causa della staticità del sistema politico. Non si può calcolare il miglioramento ma si sa che tutti gli operatori economici italiani e stranieri, studiosi, oltre che alle forze politiche che non sono all’interno del “gioco delle poltrone” italiano, sono a favore della riforma.
Questa riforma non darà la certezza di un inversione del declino del Paese ma sicuramente continuare il percorso già intrapreso non lo rallenterà nemmeno. La composizione del Referendum ha pro e contro ma, valutando la situazione in base alle alternative esistenti, il “SI” significa cambiamento e miglioramento.
La riforma non è sicuramente perfetta ma è sicuramente necessaria.