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Appunti di Cooperazione Internazionale

L’Africa vuole giustizia climatica

A cura di Chiara Lozza

I partecipanti al COP 21 di Parigi

I partecipanti al COP 21 di Parigi

Nel corso delle due settimane appena trascorse, la città di Marrakech è stata sede della Conferenza mondiale sul cambiamento climatico, ospitando i delegati di 196 Stati per l’annuale summit sull’ambiente.

Se non ne avete sentito parlare, probabilmente è perché il summit è stato messo in ombra dal caos/panico/incredulità che ha seguito queste – ehm – originali presidenziali statunitensi, se non dalle controverse affermazioni del neo-eletto Presidente USA sulla questione climatica. Per quanto mi riguarda, “The concept of global warming was created by and for the Chinese in order to make U.S. manufacturing non-competitive” non smette mai di incantarmi.

Donald Trump su Twitter – Gennaio 2014

Nonostante ciò, l’attenzione sul tema è alta, in quanto la conferenza segna un importante step nell’agenda delle Nazioni Unite sul clima: rendere operativo l’Accordo di Parigi, ratificato il 12 dicembre 2015 da 195 Stati. La Conferenza di Parigi aveva già segnato un traguardo storico, andando a suggellare un nuovo accordo globale sui cambiamenti climatici dopo il Protocollo di Kyoto del 1997.

Il principale accordo internazionale sui cambiamenti climatici è la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change, UNFCCC), adottata al vertice della Terra di Rio de Janeiro nel lontano 1992. Da allora, delegazioni di capi di Stato, imprese, tecnici del settore, ONG ed enti locali si sono riuniti annualmente al fine di creare una mutua sinergia a difesa del pianeta.

I risultati tuttavia sono stati altalenanti e spesso insoddisfacenti: basti pensare che nei 24 anni di storia della UNFCCC solo due accordi globali sono stati approvati e ratificati, uno dei quali (il Protocollo di Kyoto) ha dovuto attendere ben 8 anni prima di diventare vincolante.

L’obiettivo primario del Protocollo di Kyoto è quello di ridurre l’emissione di tutti quei componenti inquinanti che, rilasciati nell’atmosfera, sono tra le cause principali del surriscaldamento climatico. Una prima fase, durata dal 2008 al 2012, prevedeva l’impegno di oltre 50 Stati del mondo (compresi i membri dell’Unione Europea) nel ridurre le emissioni del 5% rispetto a quelle dell’anno 1990.

E per una volta anche l’Italia, avendo ridotto le diffusioni di CO2 del 20%, ha ottenuto la sufficienza in pagella!

Se in generale si può dire che gli impegni siano stati rispettati, a gettare un’ombra sui traguardi raggiunti vi è tuttavia l’ingombrante assenza, tra i firmatari, di Stati Uniti e Cina, tra i più grandi produttori di gas serra al mondo. A rendere il quadro ancora più cupo, va aggiunto il fatto che i Paesi considerati in via di sviluppo (tra cui l’India) non sono legalmente vincolati a rispettare gli obblighi descritti negli accordi. L’unico problema è che questi Paesi non aderenti costituiscono insieme il 40% delle emissioni mondiali di gas serra. Il Protocollo risulta quindi fortemente limitato, in quanto si applica attualmente solo a circa il 15% delle emissioni globali.

L’Accordo di Parigi del 2015 sembra promettere un superamento del suo “omologo nipponico”. Il 22 aprile 2016, Giornata mondiale della Terra, 168 Paesi hanno siglato la convenzione sul clima, impegnandosi formalmente a sostenere l’agenda ONU sul clima. La partecipazione senza precedenti sembrerebbe indicare una presa di posizione molto forte su una tematica sempre più urgente.

Il nuovo accordo sul clima, oggi pienamente vincolante, prevede cinque punti cardine per la lotta ai mutamenti climatici, tra cui la promozione di finanziamenti per sostenere i paesi in via di sviluppo nella riduzione delle emissioni.

La Conferenza di Marrakech raccoglie l’eredità di Parigi, con la consapevolezza che le attuali politiche ambientali non sono sufficienti a scongiurare i peggiori scenari futuri. Non a caso, il meeting di quest’anno è stato organizzando in una Nazione africana. Mohammed VI, re del Marocco ed anfitrione dell’evento, ha dichiarato come sia proprio il continente africano a pagare il tributo più grande in materia di riscaldamento ambientale. L’Africa intera, nelle sue parole, “pretende giustizia climatica”. Il tema è particolarmente vibrante in tutto il continente, basti pensare agli oltre 30 capi di Stato africani che hanno preso parte al Vertice.

Anche in materia ambientale sembra dominare l’asimmetria Nord-Sud, se non altro per le pesanti ripercussioni che investono le economie più povere del pianeta, dove la logica del profitto ha spesso prevalso sulle necessità dell’ambiente e delle comunità locali. La sfida al cambiamento climatico passa anche attraverso la messa in discussione di quelle dinamiche di sfruttamento che impediscono veri cambiamenti strutturali nelle economie più fragili. Da un altro punto di vista, nemmeno i paladini della “sicurezza ad ogni costo” potranno negare che un filo rosso collega il degrado ambientale e il fenomeno migratorio che tanto li preoccupa.

Molti ricercatori ed esperti del settore ci avvisano che dobbiamo agire in fretta, che forse abbiamo già superato il “punto di non ritorno”. E se il neo-Presidente statunitense non crede che il cambiamento climatico sia reale, forse dovrebbe chiedere un parere a quei piccoli Stati dell’Oceania, come la Repubblica di Fiji, che stanno valutando programmi di evacuazione nell’eventualità di trovarsi sommersi dagli oceani…

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Isola di Abaiang: gli abitanti sono fermi nel luogo in cui sorgevano le loro case, ora sommerse dal mare

Credits foto: Presidencia de la Republica Mexicana, Justin McManus

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Questa voce è stata pubblicata il 18 novembre 2016 da in Sostenibilità con tag , , , , .
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