A cura di Roberto Memme.
Prima dell’8 Novembre 2016 l’intenzione era quella di raccontare come in Asia Centrale (quell’area dell’Asia dove ci sono tanti paesi che finiscono con stan, per intenderci) il livello del rispetto di molti dei diritti umani fondamentali sia tra i più bassi al mondo. In alternativa, avrei voluto semplicemente sottolineare come le elezioni tenutesi in alcuni piccoli paesi, come la Moldavia, la Georgia o l’Islanda possano raccontare molto sullo stato della democrazia oggi.
I media mondiali in questo momento sono completamente accecati dalla notizia del successo elettorale di Donald John Trump. Proverò comunque a gettare uno sguardo oltre la notizia di cronaca senza pretendere di svelare né di spiegare nulla a nessuno. Mi lascio alle spalle l’Atlantico e cerco di schiudere gli occhi verso le steppe asiatiche, per quanto mi sia possibile farlo dalle colline bresciane.
Il 2 settembre 2016, muore Islam Karimov a Tashkent (la capitale dell’Uzbekistan). Chi è? E’ uno dei regnanti più longevi dell’Asia Centrale. Deteneva un record di 27 anni di reggenza condiviso con il vivo e vegeto Nazarbayev, l’attuale presidente del grande Kazakistan. Sono tanti i leader di quest’area che cristallizzano i propri poteri in pieno “stile zar”, pur discendendo dal vecchio establishment sovietico che con lo zar non voleva averci più niente a che fare.
Islam Karimov. Presidente dell’Uzbekistan fino al 2 Settembre 2016. Fonte: bbc.com
Guardo Putin che dal ’99 è sempre ai vertici del potere in Russia, sbircio un po’ più in là e vedo il tagiko Rahmon con i suoi 24 anni di dominio sullo stato più povero delle ex repubbliche sovietiche. Rimettendo a fuoco, scorgo anche il presidente azero Aliyev che durante i suoi 15 anni di presidenza, oltre ad aver avuto un sacco di oleodotti da inaugurare e una guerra in sospeso dentro casa, trova anche il tempo di inserire nella lista nera di personae non gratae la nostra Milena Gabanelli e niente popò di meno che Al Bano, nomination ottenuta solo acconsentendo ad esibirsi nel capoluogo della regione separatista del Nagorno-Karabakh.
Molti di questi, come Karimov e “il dentista” Berdimuhammedov alla guida del Turkmenistan sono dei veri e propri campioni della repressione delle libertà di stampa e di espressione. L’agenzia Reporters Without Borders li colloca tra gli ultimi posti nella super classifica mondiale della libertà di stampa. Forse sarà anche per questo motivo che poco spesso si sente parlare di queste zone.
Karimov, nel 2005 ad Andijan, fece massacrare circa 700 manifestanti perché membri di una minoranza religiosa ritenuta straniera e pericolosissima per l’incolumità e la grandezza del paese.
Trump Tower. Fonte: The New York Times – ©Hiroko Masuike
Trump, nei mesi scorsi, ha promosso in molti suoi comizi una visione quasi persecutoria di un nemico esterno che attenta la grandezza della nazione, paventando l’ipotesi di modifiche al primo emendamento della Costituzione per rivedere le leggi sulla diffamazione a danno dei giornalisti. Scavalca la notizia, entra in contatto diretto con il pubblico…pardon, con gli elettori ergendosi a difensore del popolo e degli Stati Uniti d’America contro tutti coloro (giornalisti e media in primis) che osteggiano un autentico cambiamento “all’americana”.
Ciò che vedo mi agita, perdo un po’ di lucidità: non riesco a mantenere la concentrazione ad est. La mente ritorna dall’altra parte dell’Atlantico, forse a causa del vuoto lasciato dalla morte di Karimov e della quasi contemporanea elezione di Trump. In fin dei conti, che ci azzecca Trump con questi leader asiatici “un pochino autoritari”?!
Trump University. Fonte: timeshighereducation.com – ©ZUMA Press, Inc.
Il presidente kazako Nursultan Nazarbayev alla Nazarbayev Unviersity. Fonte:TheAstanaTimes
Vedo i punti di contatto nelle simpatiche somiglianze tra la Trump University e la Nazarbayev University di Astana o nell’impatto glamour di Ivanka Trump e della pop star Gulnara Karimova (sì, la figlia di Karimov).
Padri e figlie: Karimov e la figlia Gulnara, Trump e la figlia Ivanka. Fonte: ©kazakia.com
Ma c’è un altro fascino in gioco, oltre a quello delle figlie dei personaggi in questione, ovvero quello del leader e della spettacolarizzazione del presidente, la cui immagine viene costruita all’interno dello spettacolo di una propaganda continua.
Negli Stan dell’Asia Centrale il concetto di Stato predomina su tutti gli altri nella sfera pubblica. Vince sia su quello di progresso che di tradizione, e li riassume allo stesso tempo. La narrazione continua dello Stato filtra tutte le altre narrazioni attraverso lo show di una appariscente campagna elettorale perpetua.
Statua d’oro di Saparmurat Niyazov detto “Turkmenbashi” il “leader dei turcomanni”. Fonte: Wikipedia.
Fonte: vanityfair.com
In Turkmenistan, l’immagine di Niyazov (di cui l’attuale presidente turcomanno prima ne era il ministro della sanità…e dentista!) veniva celebrata di continuo e indissolubilmente legata a passato e futuro nazionali. Proprio sul rapporto tra il prestigio dell’eredità storica da salvaguardare e l’obiettivo del futuro rinnovamento della gloria nazionale si concentra lo spettacolo perpetuo dello Stato e del suo leader.
Tra l’altro, proprio come Trump, Niyazov era un fervente isolazionista.
In questi Stan, ballerini e cantanti in tenera età celebrano le speranze nel futuro, statue sigillano il ruolo di mediatore Stato-popolo del leader, mentre la nomea dello Stato stesso riecheggia maestosa, come fosse il giusto brand per ripristinare in futuro la gloria dei tempi che furono.
Berdimuhammedov, attuale presidente del Turkmenistan, durante una delle numerose celebrazioni. Fonte:tdh.gov.tm
Donald J. Trump durante la campagna elettorale. Fonte: Google Immagini
Tutto questo dunque e finanche lo slogan coniato da Karimov “Uzbekistan: uno stato dal futuro glorioso!” suonano in modo non troppo diverso dal “make America great again!” di Trump, dalle esibizioni delle sue giovanissime groupies durante i comizi pre-elettorali e dall’erezione di palazzi monumentali col suo nome appiccicato sopra.
A proposito di isolamento e spettacolo, “You’re fired!” diceva Trump nel celebre programma TV “The Apprentice”, riuscendo a far sentire incluso chi non rientrava nella categoria del licenziato. Il successo della tecnica usata nello spettacolo televisivo forse è stata riutilizzata ai danni delle minoranze nazionali, magari giustificando una quota del successo elettorale.
“You’re fired!” da un cartellone pubblicitario dello show “The Apprentice”. Fonte: wsj.com – ©Wireimage
Lo spettacolo dello Stato raggiunge il suo apice con la morte del leader, per poi interrompersi. Il toto-successione di Karimov non ha ancora un vincitore e lo show, per il momento, è sospeso. C’è da augurarsi che non ci sia alcuno show negli Stati Uniti d’America che confermi questo visionario paragone.
Qualcuno si è spinto fino a rievocare Hitler in riferimento al vento persecutorio che aleggiava durante i comizi di Trump o a Milosevic per l’atteggiamento nella gestione della tensione etnica.
Al di là di tutte le fantasticherie, pensare agli U.S.A. come ad un “Trumpstan”, oggi, sembra impossibile.
Ma, lo slogan della dittatura non è forse quello del “qui non può succedere”? E se succedesse, di chi sarebbero le responsabilità? Della democrazia? Volgere lo sguardo in tutte queste direzioni dall’interno dell’Europa dei popoli in crisi può ancora far pensare a quale senso possa avere la democrazia e il pluralismo oggi.
Trump e il presidente kirghiso Jeenbekov. Fonte: en.kabar.kg
Forse ho esagerato con certi accostamenti, magari sono solo intimorito dalla delicatezza del periodo storico in cui mi sento di vivere, non vorrei che i miei pensieri siano un pochino troppo allarmisti…
Il continuo cambio di prospettiva mi ha disorientato e non riesco ad arrivare al dunque, chiudo gli occhi confuso.
E poi, all’improvviso uno slogan risuona nella mia testa: “Make Democracy great again!”.
E’ una banalità, ci vuole lo studio più serio e più profondo della storia e dell’attualità dei stati centro asiatici. Anche il linguaggio potrebbe essere più serio. “l’attuale presidente turcomanno” non “era il dentista” del suo predecessore era il ministro della sanità 🙂
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