A cura di Martina Ramponi
Lo scorso weekend al FESTIVAL DELLA FOTOGRAFIA ETICA a Lodi
Laura Aggio Caldon, fotografa freelance italiana racconta il suo ultimo progetto fotografico The Factory Boy nato da una collaborazione con UNICEF nel mese di marzo 2016. Laura Aggio Caldon documenta la vita dei bambini rifugiati, privati di un’infanzia e costretti a guadagnare da vivere per mantenere se stessi e le loro famiglie.
Mentre il conflitto in Siria prosegue, in Libano sono censiti più di un milione di profughi siriani. Oltre la metà sono bambini, molti dei quali non vanno a scuola e sono coinvolti nelle peggiori forme di sfruttamento minorile. Le sue foto documentano infanzie negate, per bambini di soli dieci anni che vivono come padri di famiglia costretti a lavorare tutta la notte nelle cave di cemento Libanesi al confine con la Siria per produrre blocchetti di cemento che verranno pagati 7$ ogni 100 blocchetti.
L’UNICEF denuncia che un numero crescente di bambini lavora duramente per lunghe ore e per pochi dollari, spesso in condizioni precarie, e questo li espone alla violenza, allo sfruttamento e all’abuso, privandoli di un’istruzione. Per combattere questa tendenza, l’UNICEF e l’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro), insieme a ONG locali, hanno sviluppato un programma comune per assistere 20.000 ragazzi libanesi e siriani di età inferiore ai 16 anni coinvolti nelle peggiori forme di lavoro minorile.
Bambini come il proprietario del pappagallino nella foto sottostante, costretti a lasciare la loro vita innocente per scappare dalla guerra, bambini imprigionati in una vita da adulti così dura anche solo da pensare. I protagonisti delle foto, racconta Laura, sono costretti a lavorare perché in Libano i documenti per i minori non sono obbligatori mentre per un adulto costano circa 200$. Nella maggior parte dei casi i genitori sono costretti a rimanere rinchiusi nelle tendopoli a nascondersi perché non hanno i soldi per pagare i documenti di soggiorno in Libano e sono costretti a mandare i figli al lavoro scatenando grande sofferenza e impotenza da entrambe le parti.
In molti casi i bambini terminato il lavoro notturno, grazie a organizzazioni come UNICEF, riescono a frequentare la scuola, ma spesso rimangono indietro perché parlano e leggono solo arabo e invece in Libano le lezioni sono fatte in inglese o francese ed è difficile quindi per minori già così provati riuscire con un sistema scolastico così selettivo e poco includente.
Le foto vogliono raccontare storie di bambini che chiedono a Laura di non dimenticarli ma di raccontare la loro storia, di fare sentire la loro voce, bambini che della Siria ricordano momenti felici, come prendere il gelato con lo zio ma allo stesso tempo bambini segnati dalla guerra nel profondo che vedono nel lavoro e nel guadagno una possibilità di riscatto, perché essere poveri è motivo di vergogna e di inferiorità verso i coetanei Libanesi; bambini che hanno paura di ammalarsi e perdere il lavoro, che per loro è diventato tutto, bambini che vivono in una stanza di 5mx5m con dieci persone, bambini che avrebbero dovuto studiare e crescere come tali, bambini che sono il futuro e che invece sono costretti a diventare uomini che lavorano duro per sopravvivere.
Una testimonianza preziosa per riflettere su quello che succede intorno a noi, per riflettere su una guerra che ha già fatto tantissime vittime.
Fonti dell’articolo e credits fotografici:
http://www.festivaldellafotografiaetica.it/unicef-lebanon-the-factory-boy/
http://www.unicef.it/doc/6368/siria-la-guerra-che-costringe-i-bambini-a-lavorare.htm
Foto credit UNICEF Aggio Festival Fotografia Etica di Lodi.
Bekaa Valley, Lebanon. 2016
Ahmad is 14 years old.
He is working in a stone cutting workshop to make mosaics and garden furniture. He lives in Lebanon with his mother and his brother. The mother with her younger children fled from Syria, while the father is in Syria. He said “I have to save my money and send it to my dad in Syria.”