a cura di Nicola Ghilardi
Lunedì scorso – 10 ottobre 2016 – presso i principali centri di chirurgia bariatrica italiani si è svolto l’Obesity day 2016. Lavorando presso l’Istituto Nazionale per la Chirugia dell’Obesità (INCO) ho avuto l’incarico di partecipare all’organizzazione e alla realizzazione di una “giornata per il paziente” presso il Policlinico San Pietro degli Istituti Ospedalieri Bergamaschi. La necessità di organizzare ogni anno una giornata rivolta alla cura e alla prevenzione dell’obesità nasce dalla consapevolezza ormai comune di vivere in società cariche di contraddizioni legate all’alimentazione.
Grazie ai dati raccolti dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) ho riscontrato che la maggioranza della popolazione denuncia problemi di peso e uno su cinque tra i bambini è sovrappeso o obeso. Attualmente il fenomeno obesità è stabile in Inghilterra, Italia, Corea del Sud e Stati Uniti ma sta aumentando in Australia, Canada, Francia, Messico, Spagna e Svizzera.
Una persona è obesa quando il suo indice di massa corporea (BMI) è superiore a 30. Il BMI rappresenta il rapporto tra peso e altezza, l’indice è volto ad ottenere una valutazione generale del proprio peso corporeo.
Chi corre maggior rischio? L’obesità colpisce maggiormente la popolazione con livello di educazione basso e soggetta a disparità sociali. Le recenti crisi globali hanno fatto sì che gli obesi in tutto il mondo raggiungessero quota 600 milioni. Preoccupante è la stima della malnutrizione infantile: stimata intorno ai 200 milioni. Denutrizione, malattie croniche legate alle diete ma anche sovrappeso ed obesità sono risultati della crisi di valori che sta travolgendo le società contemporanee a livello globale.
I dati ISTAT per l’Italia rivelano, durante la prima decade del Duemila, un incremento di 2 milioni di persone sovrappeso e 1 milione di nuovi obesi con fascia d’età più colpita tra i 55 e 74 anni. Sul territorio italiano si stimano almeno 27 milioni di soggetti in eccesso ponderale. L’obesità è stata nominata “malattia del millennio” o “malattia del benessere”: una patologia cronica spesso sottovalutata tanto da raggiungere malnutrizione, sottopeso e malattie infettive nell’elenco dei principali problemi di salute. Questo disturbo comporta, oltre ad un aumento di peso, un maggior rischio di sviluppare nuove patologie:
1) cancro;
2) diabete;
3) malattie respiratorie;
4) malattie cardiovascolari.
Nel mondo si stimano 1.1 miliardi di adulti in sovrappeso dei quali 312 milioni in stato di obesità. Durante l’ultimo decennio, è interessante notare come l’obesità si è triplicata nei paesi in via di sviluppo praticanti uno stile di vita occidentale (- attività fisica motoria + cibo ipercalorico a basso prezzo). La questione più preoccupante riguarda l’indice dei bambini sovrappeso, passato dal 10% al 25%, e quello relativo all’obesità dal 2% al 10%.
L’obesità è una patologia multidisciplinare che si “nutre” di temi sociali ed economici. La relazione tra obesità e povertà è complessa, essere indigenti in una nazione povera significa rischiare il sottopeso e la malnutrizione mentre essere poveri in una nazione a reddito medio si associa ad un aumento del rischio di obesità. La prevenzione richiede però cambiamenti sociali e politici che permettano di educare gli stili di vita scorretti e combattere le patologie non trasmissibili. Tali iniziative stanno e potranno provocare la strenua opposizione delle industrie alimentari ma anche di consumatori, che potrebbero vedere limitati i propri interessi o addirittura diritti civili.
La sfida è superare questi ostacoli per proporre strategie accettabili al fine di tamponare e contenere il riflusso di obesità, diabete e ipertensione. I guadagni di peso erano di grande beneficio per la salute e la longevità dei nostri antenati ma ai giorni nostri un numero sempre maggiore di persone ha oltrepassato il limite ponderale. L’aspettativa di vita per le persone obese è di 8-10 anni inferiore a quello delle persone normopeso e la percentuale di spesa sanitaria dedicata dai paesi alla cura dell’obesità è in costante aumento.
Le isole dell’Oceano Pacifico e la parte est dell’Australia sono in cima alla classifica delle zone con la più alta percentuale di persone obese. Gli esperti concordano la responsabilità per l’aumento dell’obesità ai colonizzatori che imposero diete occidentali alle popolazioni locali. Coloni britannici, statunitensi e francesi cercarono di “civilizzare” le abitudini alimentari dopo la seconda guerra mondiale, introducendo le proprie abitudini e stimolando la dipendenza economica dalle importazioni di cibo. Questi cambiamenti procurarono uno shock all’economia locale: i cibi tradizionali (pesce fresco, carne, frutta, verdura) furono rimpiazzati da riso, zuccheri, farina, carne in scatola, bevande analcoliche e birra.
L’immagine rappresenta le nazioni che hanno a livello globale l’indice di obesità maggiore sulla popolazione totale.
Le abitudini alimentari esportate erano “piene di energia ma poco nutrienti” aumentando il rischio di obesità per la popolazione. Dal 2008 specialmente nei paesi meno benestanti le famiglie hanno attuato un taglio alla propria spesa alimentare diminuendo il flusso economico che si è direzionato verso prodotti a basso costo e meno sani (prodotti con un minor rapporto costo per caloria).
Una delle soluzioni intraprese in Messico per contrastare la diffusione del junk food è la tassa sull’apporto calorico procurato dai cibi e sui litri per le bevande dolci zuccherate. A tal riguardo uno studio irlandese ha stimato che una tassa del 10% sulle bevande dolci potrebbe diminuire l’apporto calorico di 2.1 kcal per settimana sottraendo all’obesità 10.000 persone. Questi provvedimenti hanno procurato una forte opposizione da parte delle industrie del settore. Si è stimato che il 40% dei produttori ha riformulato le ricette contenenti ingredienti associati alla tassa per eludere il pagamento.
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