A cura di Nicola Ghilardi
La lettura di questo articolo cercherà di fornire al lettore una leggera introduzione al contesto geopolitico palestinese, aspetto fondamentale da comprendere per una migliore contestualizzazione del film documentario 5 Broken Cameras. La pellicola, candidata agli Oscar 2012 per la categoria Miglior Documentario è stata diretta dal regista palestinese Emad Burnat e verrà proiettata venerdì prossimo 20 Maggio 2016 presso il Teatro Civico di Dalmine (BG). (prenota il tuo biglietto all’indirizzo mail prenotazione5bc@gmail.com inserendo come oggetto prenotazione 5 Broken Cameras 20 maggio Dalmine).
Come premessa è importante considerare l’area mediorientale madrepatria di tre tra le più importanti religioni esistenti: il giudaismo, il cristianesimo e l’islamismo. Queste tre correnti religiose hanno vissuto e coesistono ancora sul territorio ma con una prevalenza numerica di fedeli islamici. Attualmente si può affermare che il Medio Oriente rappresenti il centro geopolitico e spirituale dell’Islam.
La mia analisi della Questione Palestinese inizia con la sconfitta della Triplice Allenza (composta da Impero Tedesco, Impero Austro Ungarico e Impero Ottomano) durante la Prima Guerra Mondiale. Con la resa degli Imperi centrali (11 novembre 1918), le potenze vincitrici riuscirono ad assegnare pesanti sanzioni agli sconfitti e smembrarono completamente l’antico Impero Ottomano (che dalla vittoria sull’Impero Romano d’Oriente dominava la zona mediorientale). La sottoscrizione dei Trattati di pace imposti dai vincitori al sultano ottomano Mehmet VI sancì, oltre al crollo dell’Impero Ottomano, la fine alla credibilità politico/religiosa della figura del Sultano. Tutto l’Impero venne diviso in regioni poste sotto il controllo delle forze vincitrici alleate (Gran Bretagna, Francia, Italia, Grecia e Russia): i territori della Palestina vennero assegnati alla Gran Bretagna.
Le spartizioni territoriali e i giochi di poteri che avvennero al termine del conflitto erano già stati discussi dalle élite europee al potere: qualche anno prima il governo britannico aveva infatti approvato in via unilaterale la proposta di istituire una “sede nazionale ebraica” in Palestina, impegnandosi contestualmente a non compromettere i diritti delle popolazioni arabe preesistenti. Ma se alla scoppio della Prima Guerra Mondiale in Palestina c’erano meno di 100.000 ebrei, un quarto di secolo dopo, al termine del secondo conflitto mondiale erano presenti all’incirca 500.000 ebrei e 1.250.000 arabi.
Come mai si verificò un così importante incremento migratorio tra i due conflitti? Lo shock causato all’opinione pubblica dalla scoperta dei campi di sterminio nazisti fece figurare legittimo il grande flusso migratorio ebraico in Terra Santa e fece ignorare gli effetti collaterali causati alla popolazione locale. Inoltre, durante l’era nazista e nell’immediato dopoguerra, un gran numero di persone di origine ebraica ricercarono un futuro migliore stabilendosi proprio in Palestina. A priori la Gran Bretagna cercò di regolare i flussi migratori ma la devastazione politico-culturale creata dalla guerra determinò la perdita di potere e di influenza all’Impero inglese nella regione.
Il vuoto di potere creato dalla crisi coloniale europea spinse così la comunità internazionale a redigere il Piano di spartizione del 1947 – Risoluzione n°181 dell’Assemblea Generale dell’ONU. Vennero poste le basi internazionali per la costituzione di tre regioni autonome: una Araba e una Israeliana, entrambe su suolo palestinese con la città di Gerusalemme posta sotto amministrazione delle Nazioni Unite. Contestualmente la Lega Araba, sorta nel 1945 per cercare di riunire le popolazioni e gli interessi arabi in un fronte unico si oppose subito alla nascita dello stato israeliano e diede il via alla prima delle guerre arabo-israeliane. La risposta dei colonizzatori ebrei arrivò presto: con la scadenza del mandato britannico nel 1948 la comunità ebraica riuscì a creare e sfruttare le condizioni favorevoli per la nascita e la proclamazione dello Stato di Israele (riconosciuto nel 1948 dall’URSS e nel 1949 dall’ONU).
La crisi del colonialismo europeo favorì lo svilupparsi del nazionalismo arabo e il modello all’epoca da seguire fu rappresentato da quello panarabo-repubblicano egiziano degli ufficiali liberi. Dopo la deposizione del Sultano e la distruzione dell’Impero, nei territori ex-ottomani salirono al potere una serie di dittatori, re e presidenti che riuscirono a mantenere il controllo politico ed economico solo attraverso l’applicazione della repressione e del terrore. In questi anni si crearono numerosi stati nazionali indipendenti privi però delle radici storiche necessarie a creare un’identità nazionale unitaria. Il colpo di grazia al colonialismo europeo in Medio Oriente avvenne nel 1956 quando si verificò la nazionalizzazione del Canale di Suez; Gran Bretagna, Francia ed Israele intervennero con un’operazione militare congiunta sul Canale, che risultò però un fallimento e determinò l’ufficiale abbandono della zona da parte degli ormai ex-imperi europei. Nonostante ciò nel corso degli anni successivi la Palestina venne completamente spogliata di ogni risorsa economica; i coloni israeliani aiutati dalle forze militari e dai bulldozer riuscirono pian piano ad occupare le principali sorgenti idriche della Cisgiordania riducendo in povertà i contadini palestinesi che si trovavano a valle. Allo stesso tempo Israele portò avanti un’opera di delimitazione del proprio territorio e di devastazione di quello palestinese, attraverso lo sradicamento di uliveti e incendiando le terre destinate alla produzione agricola. I terreni posti lungo il confine prescelto da Israele, vennero confiscati dall’esercito per permettere la costruzione di un muro posto a difesa degli interessi del popolo ebraico. Uno di questi muri costruito attraverso il villaggio di Bil’in in Cisgiordania fu la causa scatenante che portò Emad ad effettuare le riprese utilizzate nel film 5 Broken Cameras.
L’elevata ostilità che scorre tra i due popoli è testimoniata dalle 4 guerre arabo-palestinesi:
1. La Guerra d’Indipendenza (1948-49);
2. La Campagna del Sinai (1956);
3. La Guerra dei 6 giorni (1967);
4. La Guerra del Kippur (1973).
Con il termine della III della guerra Israele, potenza vincitrice, riuscì ad estendere i propri confini occupando la città di Gerusalemme e gran parte dei territori destinati alla creazione dello Stato arabo palestinese. La Striscia di Gaza, la Cisgiordania e al-Hamma furono conquistati dalle truppe d’Israele a dimostrazione del fallimento dell’approccio militare alla Questione Palestinese. A questo punto i palestinesi teorizzarono una loro politica indipendente che favorì lo sviluppo del terrorismo arabo e lo scoppio della IV guerra arabo-israeliana: la Guerra del Kippur, che confermò la supremazia geopolitica israeliana. Con questa serie di guerre Israele riuscì a raggiungere l’obiettivo vitale di politica estera: la sopravvivenza in un ambiente altamente ostile. L’assistenza finanziaria e militare al neonato stato Israeliano fu a priori garantita dalla Cecoslovacchia (1948) poi dalla Francia (1967) e successivamente dagli Stati Uniti, il motivo principale del cambiamento di fornitore fu il tentativo NATO di limitare la penetrazione militare e culturale sovietica in Medio Oriente.
Nel corso dell’ultimo secolo la Questione Palestinese è stata esportata in tutte le parti del mondo come messaggio politico, umanitario e non solo. Attraverso la globalizzazione mondiale e l’evoluzione del terrorismo post 11 settembre 2001, il nazionalismo arabo palestinese è stato scalzato dall’integralismo islamico come principale portavoce della Questione Palestinese. La crisi dell’imperialismo statunitense e dell’Unione Europea, incapace di evolversi veramente da Comunità Economica ad Unione culturale europea dei Diritti Umani, ha portato all’evoluzione/involuzione di una parte della popolazione mondiale che a fronte di uno smarrimento culturale e religioso (causato dalla contaminazione globalizzata) cerca di difendere la propria identità, chiudendosi in sé stessa alla ricerca dell’identità unitaria perduta.