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Appunti di Cooperazione Internazionale

L’economia basata sui principi del Corano: l’economia e la finanza islamica

A cura di Luca Torre

Islamic-finance

Negli ultimi anni è cresciuto sempre di più l’interesse verso l’economia e la finanza islamica, una branca dell’economia che si basa sui dettami della religione islamica. Queste attenzioni sono dovute al crescente volume di affari e di transazioni che si basano su questo tipo di economia. Tutti noi abbiamo sentito parlare di cosa è l’Islam (colgo l’occasione vi rimando agli articoli del blog dei miei colleghi che trattano il tema), ma come possono essere applicati dei precetti religiosi ad una realtà come quella della scienza economica? Nelle righe seguenti, anche se veramente in breve, cercherò di riassumere le principali caratteristiche della materia e i principi sui quali si basa.

In prima approssimazione l’economia e la finanza islamica vengono comunemente intese come quell’insieme di pratiche, transazioni e contratti che sono conformi ai dettami della Shari’ah, che è la Legge di Dio e che i fedeli musulmani sono tenuti ad osservare. A riconferma di tale definizione c’è la stessa etimologia dell’aggettivo “islamico”: infatti la parola araba Islam non è altro che l’infinito del verbo “salama”, che significa “sottomettersi” e il cui participio presente al singolare maschile è muslim (musulmano), “colui che si sottomette” a Dio, la cui Legge si basa su principi che vanno oltre la sola sfera privata, ma che sono validi per ogni settore della vita della comunità, quindi anche nell’economia.

La questione si fa più complicata quando si prova ad individuare quali siano le regole che disciplinano la materia, in quanto solo il 3% dei versetti coranici ha un vero e proprio contenuto normativo e spesso sono soggetti a facili interpretazioni. In questa analisi non si può quindi prescindere dai precetti della religione islamica nel suo complesso e quindi ricomprendendo anche tutte le fonti di produzione religiosa del diritto islamico, primi tra tutti il Corano e la Sunna con gli Ḥadīth. Per saperne di più>>>

Nell’Islam, qualsiasi attività economica dovrebbe essere basata su quattro fondamentali concetti che sono:

1) Il divieto del Ribā, ossia dell’interesse, e il principio della condivisione del rischio e del rendimento (profit and loss sharing). In pratica non vi possono essere guadagni senza l’assunzione di un rischio e nessun profitto se non giustificato dall’operosità dell’uomo. Nella concezione economica islamica non può esistere quindi un “tasso d’interesse” ma solo un “tasso di profitto”, consistente nella reale misura della crescita del capitale generata dal suo effettivo impiego. Dal punto di vista della “raccolta del risparmio” invece, si profilano due tipologie di conti correnti: quelli a vista non remunerati, che non generano alcun rendimento, e quelli partecipativi, che divengono di proprietà della banca e possono essere utilizzati in investimenti pre-concordati.

2) Il divieto di speculazione (Maysìr) che è il divieto di assunzione di rischi eccessivi e non tipicamente imprenditoriali, ossia rischi caratterizzati da un pay-off estremo e in assenza di analisi e informazioni adeguate legate all’investimento. Connesso a quest’ultimo esiste anche il divieto di introduzione di elementi di incertezza nei contratti (Ghàrar). Questa è una diretta esplicitazione del Corano: i contratti non possono contenere elementi di incertezza in relazione ad un elemento essenziale dello stesso come il prezzo o l’oggetto.

3) Ḥarām, ossia la proibizione dell’uso, commercio o investimento in beni ed attività proibite quali la produzione e la vendita di bevande alcoliche, l’allevamento, la lavorazione, la vendita e la produzione di generi alimentari a base di carne suina, l’uso, il commercio o l’investimento in armi, tabacco, pornografia, scommesse, casinò, night club e TV via cavo.

4) Infine la Zakāt (obbligo alla purificazione), che è uno dei cinque pilastri dell’Islam, e la distribuzione equa della ricchezza. Infatti chiunque possieda un ammontare minimo di ricchezza è obbligato a “purificare” sé stesso e il suo patrimonio con il pagamento di un’offerta. La Zakāt, oltre che un dovere morale, risulta essere anche una tassa religiosa a cui sono tenuti tutti i musulmani adulti e le persone giuridiche.

AL-ZAKAT
Alla luce di tutto questo risulta evidente che esiste, almeno concettualmente (ma per qualcuno anche praticamente), una differenza sostanziale con l’economia convenzionale a cui noi tutti siamo abituati. Nell’ottica islamica, non esiste solamente l’obiettivo della massimizzazione del benessere e della sicurezza materiale, ma anche quello della preservazione e della promozione della giustizia, attraverso l’introduzione e l’applicazione di concetti etici di equilibrio, moderazione e sostenibilità. Per l’Islam, l’obiettivo dell’esistenza umana è quella di rendere l’uomo il vicario di Dio sulla Terra (Khalifa) e ne consegue una forte implicazione anche a livello economico: il dovere dell’uomo alla preservazione dell’equilibrio del Creato e del mantenimento della giustizia in ogni attività umana.

L’argomento non si esaurisce in queste poche righe, ma potrebbe essere eviscerato in molti altri aspetti, anche tecnici. Si può però riconoscere che la concezione islamica dell’economia tiene sempre presente quelli che sono gli obiettivi ultimi spirituali stabiliti nella legge divina, che pertanto ne influenzano le strutture e le dinamiche.

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Questa voce è stata pubblicata il 6 Maggio 2016 da in economia, Finanza Etica con tag , , , , .
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