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Appunti di Cooperazione Internazionale

Il termometro si alza e comincia la propaganda

A cura di Luca Solesin 

Camminando per le strade di Parigi in questi giorni non è raro imbattersi in poster come questo:

Tutto è cominciato verso dicembre. A poche settimane dai famosi attacchi terroristici nella capitale francese. Questa immagine, che non avevo mai visto prima, mi ha decisamente risvegliato rendendo più reale e più vicino quanto ho letto e studiato in questi mesi. La marina militare francese sta reclutando.

Nell’immagine c’è scritto ‘fate un passo verso il vostro avvenire. 3500 posti per 50 mestieri’. È riconoscibile dal berretto il nome della nave: la ‘Charles de Gaulle’, la più grande portaerei francese.

Anche l’aviazione sta reclutando:

L’immagine è pensata nei minimi dettagli. Un giovane ragazzo normalissimo, uno dei tanti, in maglietta, decide ‘coraggiosamente’ di aprire una porta e si ritrova al centro dell’attenzione di tutti, si trasforma cosi in un eroe. Tutti credono in lui. Tecnologie avanzate, armi decisamente potenti (un elicottero, due caccia, un bombardiere sullo sfondo, un drone, dei paracadutisti). Tutto è sicuro, ci sono i pompieri sullo sfondo, un uomo armato è di guardia affianco all’aereo e una bella donna e un ufficiale lo stavano aspettando e gli vanno incontro. In questa immagine sono rappresentati tutti i mestieri possibili: dal lavoro in giacca e cravatta, alla fanteria, al tecnico con il computer, al pilota (di aerei, di elicotteri, di bombardieri), agli operatori nella torre di controllo, allo steward. Quel ragazzo con la maglietta e i capelli disordinati potresti essere tu…

È strano. Ricordo che a scuola ci insegnavano la propaganda fascista e nazista, ci mostravano delle immagini che ispiravano odio verso il nemico per convincere gli uomini ad andare a combattere. Ora la propaganda ha altri schemi, altre modalità per convincere uomini e donne ad arruolarsi. Forse per via del nostro narcisismo le immagini non puntano più a risvegliare un senso del dovere chiamando gli uomini alle armi, ma puntano a mostrare quanto si è ‘valorosi’ nel farlo. Il testo del poster dell’aviazione è chiaro a riguardo: ‘qui tutta un’armata crede in te!’.

Inoltre c’è un altro particolare che cattura l’attenzione: la quantità posti di lavoro. Ci sono 3.500 posti nella marina e 15.000 nella fanteria. Il numero per l’aviazione non è specificato ma sapendo che il numero di effettivi dell’aviazione supera quello della marina nell’esercito francese possiamo stimare che altrettanti 3500 posti possano essere disponibili. Possiamo quindi immaginare un totale approssimativo di 22.000 reclute. Entrando nel sito dell’arma, la prima cosa che colpisce è che appena si accede una barra di ricerca ti chiede: ‘trova il tuo mestiere’. Si scopre poi che reclutano persone dai 17 anni ai 29, possibilmente non sposati e senza figli, con qualsiasi grado di istruzione (dal diploma di scuola media al dottorato). La Francia nel 2015 ha raggiunto il 25,9 % di disoccupazione giovanile, un numero in crescita che sta allarmando la politica francese alle prese con una riforma del lavoro osteggiata dai sindacati. Si vedrà quanto questi metodi riusciranno a far breccia.

Tuttavia la Francia non è l’unica che sta ‘correndo alle armi’. Il Giappone di Shinzo Abe per esempio, che deve affrontare sfide geopolitiche differenti ma ugualmente rilevanti, sta cercando di riformare lo spirito nazionale notoriamente e storicamente pacifista (dalla fine della seconda guerra mondiale in avanti). L’articolo 9 della Costituzione giapponese infatti esplicitamente dichiara: «Il popolo giapponese rinuncia per sempre alla guerra come diritto sovrano della nazione e alla minaccia di un uso della forza per risolvere le dispute internazionali». Infatti il Giappone, pur avendo un ingente numero di soldati, ha effettivi solo per l’autodifesa: non ha mezzi per il rifornimento in volo degli aerei né tanto meno missili a lungo raggio. La riforma della costituzione corre sotto l’insegna di un ‘pacifismo proattivo’: praticamente stanno reclutando e vogliono tornare ad essere una potenza militare da temere. Una delle micce che ha acceso il dibattito e i sentimenti del popolo giapponese è stata senza dubbio la vicenda che ha attirato l’attenzione mondiale di Kenji Goto, il reporter giapponese ucciso dall’Isis il 30 gennaio del 2015. Molte sono state le reazioni della popolazione per manifestare il proprio dissenso verso una deriva ‘allarmista’ (‘allarme’ deriva infatti dall’urlo delle sentinelle che appena avvistavano il nemico gridavano: ‘alle armi’!). Nonostante ciò il governo sta facendo di tutto pur di reclutare e rendere attrattivo l’esercito. L’ultima strategia è quella di utilizzare i manga e rendere più vicino l’esercito ai sentimenti della popolazione. Per saperne di più >>>

Ma sebbene il Giappone sia uno stato ‘pacifista’ il suo impegno politico nelle questioni di ‘sicurezza globale’ è sempre stato elevato. Il Giappone è infatti il Paese che è stato eletto più volte come membro (ad elezione) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nel corso della storia: ben 11 volte. Ora siede assieme ad Angola, Egitto, Malesia, Nuova Zelanda, Senegal, Spagna, Ucraina, Uruguay e Venezuela in uno dei 10 posti non permanenti fino al 2017. Gli Stati Uniti d’America da sempre hanno sempre sostenuto la possibilità di allargare al Giappone lo status di membro permanente del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Ma tutto questo per dire cosa?

Il termometro globale è molto alto. Guardando alle varie regioni del mondo è difficile trovare zone di pace. È brutto da dire ma, anche solo rimanendo alla superficie, si può notare che:

Nel Pacifico si sta sviluppando da qualche anno una ‘guerra fredda’ che coinvolge Cina, Russia, Giappone e Stati Uniti d’ America (e relativi alleati) per delle isole strategicamente rilevanti e contese. La Corea del Nord continua a ignorare le sanzioni internazionali. Nel Sud Est Asiatico la situazione della popolazione Rohingya è addirittura più grave di quella dei migranti nel Mediterraneo. In India la violenza interna sta crescendo. In Cina iniziano a farsi sentire le voci del dissenso. In Iran, mentre i risultati delle elezioni confermano l’appoggio popolare all’apertura internazionale, il Paese sta affrontando un difficile scontro con l’Arabia Saudita, sia diplomatico che sul campo (vedi caso Yemen e Siria). Forse della Siria e dei paesi confinanti è meglio non parlare. A 5 anni esatti dall’inizio delle sommosse ancora non si sono sviluppate ‘exit strategies’ chiare, credibili e perseguibili (neanche una. Da nessuno). In Ucraina le cose non sono cambiate: si combatte ogni giorno. Ad essere cambiata è l’attenzione mediatica. L’Europa si sta sgretolando con l’innalzamento di muri (in tutti i sensi e in molti campi) e la crisi identitaria e di ideali. Il Maghreb ha diverse preoccupazioni peculiari Stato per Stato: la Libia è frammentata, la Tunisia è oggetto di numerosi attacchi terroristici, in Egitto non si possono fare domande ai sindacati… In molti stati africani la guerra tribale e civile non si arresta: vedi il Mali, la Somalia, la Nigeria, e il Congo. In America del Nord le future elezioni presidenziali stanno portando a galla quali siano alcuni sentimenti della popolazione con l’incredibile ascesa di consensi di Trump. Il Messico sta soffrendo una crisi di violenza interna con l’uccisione di Gisela Mota sindaco anti-narcos, il controllo dei cartelli sui mezzi di informazione e una corruzione dilagante. Il Venezuela, il Brasile e l’Argentina vedono rallentare (se non crollare) l’economia e per i primi due governi si possono riscontrare gravi problemi di consenso interno.

Insomma. In un contesto globale come quello descritto, in un’Europa che si sta dimostrando più arcipelago che continente, con l’intolleranza crescente, la crisi del lavoro e la costante attenzione posta sulla ‘minaccia’ esterna e interna la Francia offre posti di lavoro nell’esercito…

Non so come andrà avanti. Il mio pacifismo ingenuo e scolastico mi dice che stiamo andando nella direzione sbagliata.

 

 

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