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Appunti di Cooperazione Internazionale

Cittadinanza: qualcosa in più di una carta d’identità

A cura di Davide Garlini 

Gentile lettore, questo è il primo di una serie di tre articoli che saranno pubblicati da Leggerò Leggero nel corso dei prossimi sette giorni. Seppur con approcci diversi, i tre articoli avranno come oggetto della loro analisi un concetto la cui storia millenaria potrebbe vivere, nei prossimi mesi, un ulteriore aggiornamento proprio in Italia. Un cambiamento legislativo sembra infatti alle porte per il nostro Paese il quale, dopo interi decenni, potrebbe modificare la legge di cittadinanza riconoscendo il diritto ai figli di immigrati di farne richiesta in modalità più rapide e semplici. Come i successivi articoli avranno modo di sottolineare, questo cambiamento è la sintesi di 25 proposte di legge depositate presso la Camera dei Deputati e approvata dalla stessa lo scorso ottobre. Sede di discussione è ora il Senato, dal quale si attendono comunicazioni entro la primavera.

Si tratta di un passo importantissimo per l’Italia, notoriamente piuttosto indietro da questo punto di vista rispetto al resto d’Europa. È importante però non correre. L’intenzione di questa trilogia di articoli è quella di andare per ordine e analizzare in modo semplice ma preciso ciò che il concetto di cittadinanza è stato, in modo da fornire solide basi ai nostri lettori per comprendere meglio i cambiamenti che la nuova legge, se approvata, andrà a introdurre.Concedetemi di attraversare, in poche righe, la storia e l’evoluzione del concetto di cittadinanza, in modo poter successivamente affrontare con più cognizione di causa quanto trattato dai prossimi articoli.

Stando alla Treccani, cittadinanza è la “condizione di appartenenza di un individuo a uno Stato, con i diritti e i doveri che tale relazione comporta; tra i primi, vanno annoverati in particolare i diritti politici, ovvero il diritto di voto e la possibilità di ricoprire pubblici uffici; tra i secondi, il dovere di fedeltà e l’obbligo di difendere lo Stato, prestando il servizio militare, nei limiti e modi stabiliti dalla legge”. Tenendo questa definizione bene a mente, iniziamo il nostro viaggio. Per saperne di più >>>

Come ogni nozione politico-filosofica che si rispetti, anche l’idea di cittadinanza ha le proprie radici nell’Antica Grecia. Nella polis cittadinanza significava avere il diritto di partecipare alla vita pubblica in tutte le sue forme (generalmente dai 20 anni di età in poi), rappresentando un punto chiave della prima vera forma di democrazia nella storia. Tale diritto si acquisiva se nati da genitori entrambi liberi ed entrambi, a loro volta, cittadini Elleni, caratterizzati cioè dalla stessa religione, gli stessi costumi e, soprattutto, la stessa lingua madre greca. Lo status di cittadino era permanente e si perdeva solo in gravissimi casi quali atimia ed esilio. Per saperne di più >>>

Una prima rilevante evoluzione del concetto si riscontra nel diritto romano, il quale concede un’estensione della cittadinanza prima ai latini, poi agli italici, ma successivamente anche a tutti gli altri abitanti dell’Impero. Persino uno schiavo, dopo un’eventuale ri-ottenimento della libertà, poteva acquisire la cittadinanza romana. Cittadino a pieno titolo era considerato il maschio adulto, libero, che partecipasse a tutte le attività dello Stato. La “civitas” infatti si fondava sull’utilità comune e sulla dedizione alla res-publica e garantiva diritti quali voto nelle assemblee popolari, conclusione di affari e trattative, titolarità della patria potestas su cose e schiavi. Impossibile non citare la Constitutio Antoniniana del 212 d.C., con la quale l’imperatore Caracalla concesse la cittadinanza a tutti gli uomini liberi dell’Impero, ponendo con ciò le premesse per una successiva eclissi della nozione, eclissi che si protrasse per tutto il Medioevo e per parte dell’età moderna, fino alla fine del 18° secolo. Per saperne di più >>>

Infatti solamente nel 1789, con la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino – varata in Francia dall’Assemblea Nazionale – per la prima volta in Europa, all’interno di uno Stato, tutti i cittadini sono “liberi ed eguali nei diritti”. Si tratta del culmine di quanto teorizzato nel secolo dei lumi, con le opere di Russeau e Locke in particolare, durante il quale la concezione moderna della cittadinanza si afferma come eguaglianza giuridica di tutti i cittadini in quanto soggetti di diritto. Alla figura del suddito si andava quindi a sostituire quella del cittadino. Doveroso però sottolineare che, nonostante il rilevante passo avanti compiuto, tra la cittadinanza e l’esercizio dei diritti politici rimase tuttavia un’importante gap, in quanto la titolarità dei secondi non era riconosciuta a tutti i possessori della prima, ma solo ai più benestanti. Gap superato soltanto con l’affermazione del suffragio universale e del principio della sovranità popolare.

E in Italia? Che succede da noi dal 1861 in poi? Dalla realizzazione dell’unità d’Italia sino alla Repubblica, il concetto giuridico di cittadinanza ha giocato un ruolo importantissimo nella definizione dei rapporti tra cittadino e Stato e nell’allargamento dei diritti civili, politici e sociali degli individui. Imprecisione però giuridicamente importante che ha caratterizzato i primi decenni di unità del Paese è stata una sorta di sovrapposizione del concetto di cittadinanza al concetto di nazionalità, attraverso la riduzione della prima alla seconda, rendendo così più difficile percepire la ricchezza di significato che da sempre il termine cittadinanza porta con sé. Essa quindi non è altro che lo strumento per identificare gli appartenenti a una nazione, cioè la “nazionalità”. Non ha più alcun collegamento con il godimento dei diritti politici, a tal punto che l’essere cittadini connota solo un rapporto verticale, cittadino-Stato, per cui non tutti i cittadini hanno la pienezza del godimento dei diritti politici, basti pensare al suffragio. Si tratta di un errore che l’Italia continua a suo modo a portarsi dietro. E’ infatti cittadino colui che è riconosciuto dalla legge nazionale come “appartenente allo Stato”. Di conseguenza, a lui sono riconosciuti tutta una serie di diritti e doveri stabiliti dalla Costituzione.

E’ così lo Stato stesso che identifica i propri cittadini, stabilendo le regole per l’acquisto e la perdita della cittadinanza e individuando le conseguenze giuridiche di tale status. La cittadinanza diventa perciò un’attribuzione di diritto positivo che divide i presenti sul territorio in cittadini e stranieri. Essa è intesa come lo “status” giuridico del cittadino riconosciuto dall’ordinamento giuridico. Fornire maggiori dettagli su quanto appena accennato significherebbe trasformare il presente articolo in una potenziale tesi di laurea in giurisprudenza o filosofia politica. In poche parole, se oggi i diritti politici, civili e sociali hanno avuto ampia estensione anche nella nostra Costituzione, di pari passo non si è avuta una nuova elaborazione del concetto di cittadinanza che, almeno giuridicamente, è rimasta ancorata ai confini nazionali dello Stato, l’unico che ne stabilisce i modi di acquisizione e la disciplina.

Per quanto tecnica e specifica possa sembrare, l’imperfezione sopra descritta ha enormi conseguenze sulla vita pratica di milioni di persone residenti nel territorio italiano. Come chiaro, l’analisi potrebbe continuare per intere pagine. Libri ed enciclopedie sono state scritte al riguardo e il presente articolo non ha il tempo e lo spazio, così come il suo autore le capacità, per addentrarsi in ulteriori dettagli. Il nostro obiettivo è quello di comprendere meglio la nuova legge sulla cittadinanza, che nel giro di qualche mese potrebbe entrare in vigore, attraverso un percorso anche storico, che metta almeno parzialmente in luce lo sviluppo della nozione stessa, le modalità con cui essa si è evoluta nel tempo e in contesti chiave, l’attuale situazione italiana e, conseguentemente, le migliorie che la nuova legge potrebbe introdurre. A questi due aspetti in particolare vi rimando agli articoli dei miei colleghi.

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