A cura di Giulia Benedetta Tamagni
Chi c’è davvero dietro ai tanto temuti gruppi terroristici moderni? Beh, se siete arrivati fino a qui sperando di leggerlo in queste poche righe, avete sbagliato non solo posto, ma anche approccio. Da brava disturbatrice sociale tendo sempre a diffidare da chiunque abbia la risposta in mano, da chiunque si faccia portatore dell’unica, vera e definitiva versione delle cose. Dunque, quando mi chiedono “ma chi c’è dietro all’ISIS?” la mia risposta è sempre e solo quella: leggete un libro di storia.
Ora, senza cadere nel più becero dei fenomeni di complottismo, nell’articolo che segue vi porterò alcuni esempi che rendono bene l’idea di come gli Stai Uniti (loro per primi ma non da soli, badate bene) ci hanno messo lo zampino in maniera tanto pesante da ribaltare le sorti di una nazione intera. Sto parlando del grande dimenticato della storia geopolitica moderna/contemporanea, ovvero l’America del Sud, del giardino di casa di una politica che si chiamò, ufficialmente, “del buon vicinato”.
Il primo esempio che vi porto non è esattamente un atto d’ingerenza o di intromissione nelle politiche interne di un Paese da parte di Washington. Si tratta di un esempio di come la propaganda utilizzata dalla stampa americana sia stata e continui ad essere molto efficace nel processo decisionale del Congresso e della pubblica opinione e come, da esse, sorgano poi i famosi “imperativi morali” all’azione. Siamo alla fine del XIX secolo, per la precisione nel 1898. L’allora presidente William McKinley non era del tutto convinto dall’idea di scendere in guerra contro una Spagna ormai allo stremo per conquistare alcuni terreni estremamente fruttuosi (non solo in termini di frutta), tipo Cuba. Tutto sommato la nuova tariffa Dingley, fortemente protezionistica nei confronti del mercato USA, funzionava un gran bene, perché complicarsi la vita con una guerra? La risposta la da un Cuba Libre. Sì, quello lì, quello che bevete d’estate che fa tanto spiaggia-mare-amore-#fuoriceilsole. Il Cuba libre fu un prodotto propagandistico creato ad hoc per “smuovere” l’opinione pubblica sulla necessità di andare a liberare Cuba (Cuba…libre…torna tutto, eh?) dai malvagi spagnoli. A rincarare la dose, anzi direi a far dire di sì definitivamente a McKinley, è stata la cosiddetta yellow press, la stampa sensazionalistica del magnate William Randolph Hearst che, con dovizia di particolari ed esagerazioni senza tempo, descrisse le crudeltà del popolo spagnolo nei confronti dell’inerme Cuba, definendo un’eventuale azione di Washington come un vero e proprio intervento umanitario (suona già sentito, vero?). Causus belli? Un’ improvvisa ma quanto mai provvidenziale esplosione a bordo dell’incrociatore U.S.S. Maine, che uccise più di duecento marinai americani. Il governo degli Stati Uniti accusò immediatamente gli spagnoli di aver collocato clandestinamente una mina a bordo della nave ma nonostante la Spagna negasse ogni coinvolgimento nella strage fino a chiedere l’istituzione di una commissione mista per indagare sulle vere cause dell’affondamento, gli USA dichiararono sbrigativamente guerra e l’attacco ebbe inizio. Insomma, McKinley ci casca e da qui è tutto in discesa.
Le politiche statunitensi, pur cambiando di pelo, di sicuro non perdono il vizio. Tralasciando il ben noto episodio della Baia dei Porci del 1961, porterei l’attenzione su di un altro pezzo di storia fortemente dimenticato, ovvero l’11 settembre cileno. Senza soffermarmi sull’inquietante ma quanto mai complottista teoria di un altro 11 settembre, quello famoso, che fa tremare le mutande a chiunque effettivamente un libro di storia americana l’abbia letto, il golpe cileno del 1973 è un ottimo esempio di “ficcanasaggio” targato USA. All’alba della democratica elezione presidenziale di Salvador Allende, che con circa il 37% si era aggiudicato la maggioranza relativa ma non parlamentare, il Cile si trovata in una situazione economica disastrosa. La campagna politica di Allende, come risposta alla grande crisi, era tutta incentrata sulla nazionalizzazione delle imprese, soprattutto quella del rame, mercato importantissimo per il ricco vicinato. Scontentando una grossa fetta della popolazione, soprattutto il ceto medio borghese, la destra e i democristiani, numerosi furono gli scioperi che degenerarono fino ad arrivare alla giornata dell’11 settembre dove Pinochet, a capo dell’esercito, prese d’assedio il Palazzo de la Moneda, segnando di fatto l’inizio di una delle dittature più dure della storia. Anche qui, gli USA hanno un ruolo da sempre negato, ma che la lingua lunga di Kissinger rese quanto mai abbagliante (cito testualmente): “Non vedo perché dovremmo restare con le mani in mano a guardare mentre un Paese diventa comunista a causa dell’irresponsabilità del suo popolo. La questione è troppo importante perché gli elettori cileni possano essere lasciati a decidere da soli.” Insomma, cileni, se non sapete votare il problema diventa anche nostro! Eh sì, perché voi non avete capito che Allende è comunista e vuole privatizzare le industrie sulle quali noi lucriamo da anni, trattandovi come una discarica a cielo aperto! Ma non c’è problema, vi aiutiamo noi!
Questi due primi esempi sono stati una cornice, un’introduzione per aprire la strada al modernissimo panorama delle controverse relazioni tra gli Stati Uniti e il Medio Oriente. Le relazioni tra questi due “miglior nemici” iniziarono nel 1802 e non nel migliore dei modi: la prima Guerra Barbaresca fu la prima autentica guerra combattuta dagli Stati Uniti al di fuori del suolo americano contro il Sultano del Marocco e le reggenze di Tunisi, Tripoli e Algeri. Della storia delle relazioni tra Usa e Medio Oriente dal 1802 fino ad oggi si è scritto fino allo sfinimento e numerosi sarebbero gli esempi storici dell’ingerenza più o meno esplicita di Washington ma su uno in particolare vorrei soffermarmi, probabilmente su quello che proprio oggi ci sta facendo conoscere l’Isis: l’Iraq di Saddam Hussein. Facciamo un passo indietro. Siamo nell’Iran del 1979: l’ayatollah Khomeyni, rovesciato dal trono lo scià Mohammad Reza Pahlavi, è appena stato dichiarato nemico numero uno degli Stati Uniti. Le mire espansionistiche dell’ayatollah, che voleva un Iran leader dell’area medio orientale, spaventano il vicino Iraq che, più o meno, aveva le stesse pretese del suo vicino. L’Iraq attuò allora tutta una serie di misure contro l’Iran che sfociarono in un conflitto armato: l’Iraq attaccò l’Iran nel 1980, dando inizio a quella che fu definita la Guerra del Golfo, oggi più nota come guerra Iran-Iraq, durata fino al 1990. Nel corso di queste crudelissimo conflitto (che vide chiaramente l’utilizzo delle armi chimiche da parte dell’esercito di Saddam), gli Stati Uniti ebbero un ruolo chiave nella costruzione della forza militare irachena: Washington fornì aiuti consistenti fondamentalmente in consiglieri militari e supporto di intelligence.
La pace con l’Iran nel 1990 fu solo l’inizio: Saddam non rinunciò a svolgere un ruolo egemonico nella regione. Così, nello stesso anno del trattato di pace, l’iraq invase il Kuwait, che si arrese rapidamente. Nonostante gli ultimatum delle Nazioni Unite e i mesi di negoziati e trattative che risultarono infruttuosi (ma che erano sintomo di una volontà ferrea di risolvere la situazione per via diplomatica), il 16 gennaio una coalizione guidata dagli Stati Uniti, di cui facevano parte Regno Unito, Francia, Egitto, Siria, Arabia Saudita, Italia e Canada, cominciò una devastante campagna aerea contro l’Iraq e le truppe irachene nel Kuwait: da qui iniziò la famosa campagna Desert Storm che si concluse il 2 marzo a 60 km da Baghdad. Di colpo. Perché? perché George H. W. Bush (padre, che qualcosa di intelligence ne sapeva) si rese conto della pericolosità di un vuoto di potere in Iraq. Lungimiranza che il figlio non ebbe. Con la scusa (tuttora da confermare) della presenza di armi nucleari in Iraq, George W. Bush (figlio) diede inizio nel 2003 all’operazione Iraqi Freedom, con il chiaro obiettivo di distruggere il regime di Saddam. E, se negli ultimi 10 anni avete aperto un giornale, sapete che Bush figlio riuscì nell’intento tanto temuto dal padre: lasciare un vuoto di potere in Iraq. Anzi, fece di meglio. Sciolse l’esercito iracheno. Ora voi penserete che, per il bene di tutti, sia stata una mossa saggia, no? Infatti, no. Immaginatevi uno stato senza leader (per altro ucciso in diretta tv mondiale), occupato da forze straniere che voglio per forza, a tutti i costi, insegnare che l’unica democrazia è la loro democrazia e l’unica Costituzione è quella che loro hanno scritto e la impongono ad un popolo che non ha più niente, ad un popolo che per anni è stato addestrato a combattere dalle stesse forze straniere che ora gli dicono che non può più combattere. Ma lui sa fare solo quello e non sa più come guadagnarsi da vivere, muore di fame, di stenti, di vergogna…ma una mano gli viene tesa, una mano grande, forte, che gli promette un tetto sulla testa e un pasto caldo assicurato, al prezzo di unirsi a loro, ad un gruppo di guerriglieri che da solo è riuscito a ricostruirsi una vita e uno scopo, lo scopo di rendersi indipendenti…Questa mano, attaccata ad un braccio, a sua volta attaccato ad un corpo, si chiama Isis.
Ora, se mi rifate la stessa domanda che mi avete/sono posta all’inizio dell’articolo “chi c’è dietro all’ISIS?”, spero che la risposta “leggete un libro di storia” abbia un po’ più di senso per voi.
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