Negli ultimi giorni nei “palazzi” dei poteri europei, si è discusso della possibilità di sospendere il Trattato di Schengen, poiché molti Stati lamentano la difficoltà di poter accogliere i numerosissimi richiedenti asilo provenienti dai paesi extra UE, in particolare la Siria, avendo, allo stesso modo, forti preoccupazioni per la minaccia terroristica.
Ma, in pratica, cosa dice e di cosa si occupa il Trattato di Schengen?
Nel 1985, presso la località lussemburghese di Schengen, alcuni governi europei e non, firmarono questo trattato avente per oggetto il controllo sulle persone. Gli stati terzi che hanno deciso di partecipare a Schengen sono Islanda, Norvegia, Svizzera e Liechtenstein. Gli Stati membri che hanno deciso di non aderire all’area “Schengen” (nome con cui i Paesi membri del trattato in questione indicano l’insieme dei territori su cui il trattato stesso è applicato) sono il Regno Unito e l’Irlanda, in base alla clausola di opt-out.
Complessivamente sono 26 gli Stati europei che aderiscono quindi alla Zona Schengen tramite sottoscrizione diretta, così come illustrato dalla prima immagine qui sotto. A questi si aggiungono il Principato di Monaco, San Marino e Vaticano, mentre Cipro, Croazia, Romania e Bulgaria hanno sottoscritto il trattato ma per essi non è al momento ancora in vigore, poiché non hanno ancora attuato tutti gli accorgimenti tecnici previsti.
Come già anticipato, Schengen si occupa del controllo delle persone, stabilendo le regole riguardanti la libera circolazione per i cittadini. In altre parole, viene abolito il controllo del passaporto/carta d’identità per i cittadini dei Paesi aderenti, restando comunque operativa la competenza per gli Stati di organizzare operazioni di polizia che non si configurino però come misure aventi l’effetto equivalente ai controlli di frontiera. L’appartenenza a Schengen implica anche una cooperazione di polizia tra tutti i membri per combattere la criminalità organizzata o il terrorismo attraverso una condivisione dei dati (per esempio con il sistema d’informazione condiviso Schengen, o Sis). Una delle conseguenze di questa cooperazione è il cosiddetto “inseguimento transfrontaliero”, ovvero il diritto della polizia di inseguire un sospetto in un altro stato Schengen in caso di flagranza di reato per infrazioni gravi.
Nel 2013 è stato promulgato il Regolamento 1051/2013, che ha modificato il codice delle frontiere di Schengen, così da introdurre la materia dettagliata sul ripristino temporaneo dei controlli di frontiera. In particolare, così come stabilito dagli artt. 24 e 25 del Regolamento, lo Stato potrà reintrodurre il controllo quando vi sarà la presenza di:
La procedura prevede che lo Stato membro faccia richiesta alla Commissione Europea, la quale, valutando le motivazioni, decide se queste siano sufficienti per poter giustificare una sospensione del trattato e quindi il ripristino dei regolari controlli alle frontiere. Questa sospensione non può avere una durata superiore ai sei mesi. Interessante è quanto precisato dal considerando numero 5 del regolamento 1051/2013: «[la] Migrazione e l’attraversamento delle frontiere esterne da parte di un gran numero di cittadini di Paesi terzi non dovrebbero, in sé, essere considerate una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza interna». Per cui, un aumento dei flussi migratori non può essere utilizzato come motivazione per sospendere il trattato.
Dopo aver fatto una panoramica sulla disciplina del Trattato in questione, torniamo all’argomento con cui avevo aperto il mio scritto: l’instabilità di Schengen. Questa è confermata dal fatto che sono ben sei i paesi dell’area che, appellandosi agli artt. 24 e 25 del Regolamento 1051/2013, hanno deciso di sospendere il Trattato. Gli Stati in questione sono:
Oltre a questi sei paesi, una “larga maggioranza” di Stati ha “invitato la Commissione a preparare le procedure per l’attivazione dell’articolo 26 del Regolamento 1051/2013, nell’ambito del codice Schengen”, come spiega il ministro olandese alla Sicurezza Klaas Dijkhof, Presidente di turno del Consiglio Europeo.
L’articolo 26 prevede, in particolare, la possibilità per uno o più Stati membri di estendere i controlli alle frontiere interne fino a 2 anni: una misura che di fatto limita di molto la filosofia su cui è nato lo spazio di libera circolazione. Per saperne di più >>>
L’articolo in questione rischia di essere utilizzato per la prima volta quando Germania e Austria avranno esaurito il tempo massimo messo a disposizione dalle norme ordinarie, disciplinate dagli artt. 24 e 25 del medesimo Regolamento. La possibilità di farvi ricorso era già stata minacciata a dicembre, come mezzo di pressione verso la Grecia, accusata di “lasciare passare” i migranti dalla vicina Turchia. Le minacce erano poi rientrate, quando Atene aveva accettato l’aiuto delle forze di intervento rapido Frontex.
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Attualmente si sta palesando una vera e propria “partita a scacchi” tra coloro che vogliono mantenere inalterato il Trattato di Schengen (tra cui l’Italia) e chi invece ne vuole la sospensione o l’abolizione. In particolare questi ultimi hanno avanzato alcune proposte per il prossimo incontro del Consiglio Europeo, che si terrà il 18 febbraio. Richiedendo:
La situazione resta sostanzialmente in bilico, ed ogni giorno può essere decisivo per il futuro dell’Unione Europea.
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