I fatti di cronaca internazionale che tutti i giornali hanno riportato in questi primi giorni del 2016 hanno ridato luce ad un Paese che da oltre 30 anni era relegato fuori dal mondo Occidentale: l’Iran. I fatti a cui mi riferisco sono, innanzitutto, l’escalation di terrore che si è scatenata tra Iran e Arabia Saudita a seguito della condanna a morte eseguita nei confronti dell’influente imam sciita Nimr al-Nimr da parte della casata degli Al-Saud. Il secondo fatto, non per importanza, è la caduta del muro di inimicizie che divideva Iran e Stati Uniti e l’annunciata fine dell’embargo nei confronti del Paese mediorientale a seguito del rispetto di tutte le misure restrittive sull’attività nucleare siglate lo scorso anno e che l’Aiea (Agenzia internazionale per l’energia atomica) aveva il compito di verificare. Per saperne di più >>>
La crisi diplomatica tra Iran e Arabia Saudita legata al bombardamento dell’ambasciata persiana in Yemen e lo scongelamento dei rapporti con il “Grande Satana” (così Khomeini definiva gli USA), mi hanno riportato alla mente (non perché li ho vissuti, ma perché li “visti” sui libri) i fatti storici legati alla crisi degli ostaggi americani del 1979, quando ebbe inizio l’isolamento iraniano. Con la rivoluzione khomeinista di fine anni Settanta l’Iran, si pose come alternativa al potere islamico sunnita dell’Arabia Saudita e poneva fine alla lunga amicizia con gli Stati Uniti che era passata attraverso otto presidenti d’oltreoceano, da Roosvelt a Carter.
Mentre però l’Iran rimaneva isolato dal mondo occidentale, l’Arabia Saudita godeva di una duratura relazione con gli Stati Uniti, grazie al patto stipulato nel 1945 tra Roosvelt e Ibn Saud. Ora che però la politica statunitense prevede l’apertura al mondo persiano, gli equilibri internazionali si stanno modificando. La Repubblica islamica ritorna prepotentemente nello scacchiere geopolitico mediorientale come protettore della fede musulmana sciita, offuscando l’influenza della casata dei Saud nella zona.
Con questa crisi si è capito che Iran e Arabia Saudita sono ai ferri corti e lo si è capito perché sono usciti allo scoperto: sono rivali a tuttotondo, in termini di leadership religiosa e politica e in termini economici (infatti ci si aspetta che l’economia iraniana nei prossimi anni cresca ad un tasso del 6-8%).
A livello religioso, bisogna ricordare che il regno Saudita è la patria del sunnismo più radicale, il cosiddetto wahhabismo, che deriva per l’appunto da Ibn Abd al Wahhab (1703-1792), predicatore intransigente che considerava l’unica vera religione quella professata da Maometto e degli antenati (chiamati “al salaf al salih). Da questa dottrina deriva il salafismo, l’islam più integrale, che prevede l’uniformazione della società alla sharia: da qui s’ ispirano anche Al Qaeda e lo Stato Islamico, nati grazie anche ai petrodollari dell’Arabia Saudita. All’opposto del mondo islamico sunnita troviamo l’Iran, patria dello shiismo, branca divergente dell’islam che pone le sue radici sulla storia martiliogica di Hussein, figlio di Alì, che era cugino del profeta Maometto.
Politicamente parlando invece, con la presidenza del moderato Rouhani e la “politica della porta aperta” dell’amministrazione Obama, Teheran e Washington sono tornati a dialogare. I Saud (e anche Netanyahu) non vedono di buon occhio questa rinnovata amicizia, come del resto neppure il Califfato islamico. Dopotutto, Iran e Arabia Saudita da tempo sono in un conflitto per procura nelle terre occupate di Siria e Iraq, ma anche nello Yemen, angolo del mondo finito nel dimenticatoio dell’opinione pubblica. L’Iran agisce a sostegno delle minoranze shiite, per cui a supporto di Assad in Siria (minoranza alawita) e a supporto dei ribelli Houti nello Yemen, mentre l’Arabia Saudita finanzia i gruppi jihadisti anti-Assad e anti-sciiti, portando avanti una guerra disastrosa in Yemen. In questo intreccio si inserisce anche Israele, che da sempre vede l’Iran come un pericolo centrale, essendo primo artefice delle azioni politiche e militari anti-Israele (e anti-sunniti) di Hezbollah.
Col nuovo anno si è intravista l’ insofferenza dei sauditi nei confronti di Teheran, che con l’Implementation Day (così è chiamato il giorno in cui si è posto fine alle sanzioni all’Iran) vede la sua entrata all’interno dei meccanismi economici mondiali. Probabilmente si prospetta un riassetto degli equilibri geopolitici e religiosi nell’area mediorientale e non solo; è comunque sicuro che questo evento politico abbia un’importanza notevole: può costituire un punto di rinascita per l’Iran. La Repubblica islamica si sta prendendo la rivincita su chi vorrebbe mantenere l’isolamento del Paese, lucrare sui traffici di contrabbando ed evitare che l’Iran acquisisca sempre più peso all’interno dell’area mediorientale e nei traffici verso Ovest.
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