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Appunti di Cooperazione Internazionale

C’è chi fugge e c’è chi accoglie.

A cura di Omero Nessi

A un certo punto della mia vita decido, liberamente, di cambiare attività all’interno dell’ Ente in cui lavoro. Il Centro Profughi di Valle Lomellina, in provincia di Pavia, richiede del personale in supporto e io aderisco alla chiamata. Prendiamola con le dovute proporzioni. Approdo in una frazione della Lomellina da migrante. Meno di 200 chilometri dalla mia residenza. Pur sempre una realtà differente. Stessa lingua, stessa storia nazionale, abitudini differenti. Nulla a che vedere con le differenze nei confronti di chi arriva dalla Nigeria, dalla Somalia, dal Bangladesh e chi più ne ha più ne metta. Piccola differenza versus grande differenza ma comunque di differenza si tratta: un’esperienza di modulazione del proprio comportamento in funzione di un altro modo di essere. La pulsione di cambiare i modi di chi si incontra, in funzione dei propri, è un atteggiamento molto comune, naturale. Fortunatamente resisto con facilità a tale pulsione.

La mia è stata una scelta, seppur richiesta dalle circostanze, su cui non mi dilungo inutilmente. Quella di 49 ospiti del Centro Profughi di Valle Lomellina gestito dalla Croce Rossa Italiana è stata anch’essa, per così dire, una scelta. Credo tuttavia che sia stata, almeno in parte, dettata da situazioni in un certo senso problematiche. L’incontro con il gruppo è stato molto semplice, per ciò che riguarda il lato umano. Il ruolo che ho ricoperto di operatore tecnico ha facilitato la situazione. Non avendo alcuna responsabilità rispetto all’esito delle richieste di asilo e protezione internazionale, motivo per il quale erano ospitati nel Centro, mi ha dato la possibilità di relazionarmi con estrema libertà sul piano umano.

Il punto di osservazione privilegiato di cui ho usufruito mi ha permesso di apprezzare, in prima istanza, le personalità singole, fatto estremamente importante per affrancarsi da stereotipi e generalizzazioni. Nel contempo, ancora il mio ruolo, mi ha dato la possibilità di conoscere le necessità strutturali di una situazione di questo tipo, sia per ciò che riguarda le necessità personali della vita di tutti i giorni, sia per ciò che concerne la soluzione dei problemi connessi allo status di rifugiati e richiedenti asilo e protezione internazionale. Tra le problematiche estremamente importanti si deve annoverare lo status di chi non può, per legge, godere della protezione internazionale.

Momenti di crisi, nella gestione della vita quotidiana, e interpersonale, si sono verificati; finanche a proposito delle attività correlate alle richieste di protezione internazionale e asilo. Un luogo che ospita in uno spazio fisiologicamente troppo sacrificato per contenere nazionalità, etnie e culture religiose estremamente differenti, tanto differenti da fomentare, in uno spazio come il mondo, conflitti che sono visibili anche ai meno attenti, non può non avere circostanze critiche. Tali situazioni si sono risolte, nel periodo in cui ho prestato servizio nel Centro, per merito dell’umanità di tutti, compresi gli ospiti.

Un’esperienza, per contingenze e scelte personali che esulano dalla stessa, durata tre mesi. Tre mesi comunque intrisi di umanità e condivisione di spazi, condivisione di tempo, condivisione di aspettative, condivisione di culture differenti. Contesto in cui la differenza di ruolo si esplicava nei limiti dovuti dall’istituzione, ma cessava nei momenti non istituzionali.
Dopo tre mesi di esperienza sul campo una nuova avventura si apriva dinnanzi a me: ho cambiato sede di lavoro. Mi sono trasferito a Milano, dove vengo assegnato all’Hub emergenza Siria posto nel “mezzanino” della Stazione Centrale. Tematiche apparentemente simili, che in realtà non lo sono. Come tutto ciò che generalizza i fatti della vita, e rende simile, all’apparenza, ciò che è profondamente diverso. In Stazione Centrale transitano persone che fuggono, come nel Centro Profughi di Valle Lomellina. Fuggono da una situazione pericolosa dei luoghi da dove sono partiti. Una delle differenze sostanziali è che sono persone, bambini, donne, uomini, famiglie, che non desiderano restare in territorio italiano.
Per la normativa comunitaria, e quindi italiana, qualsiasi persona che non sia cittadina di uno dei Paesi dell’Unione europea e che necessiti di protezione internazionale, deve obbligatoriamente e unicamente richiederla nel Paese dell’U.E. di primo approdo. Come ulteriore obbligo c’è quello di non potersi allontanare da quest’ultimo, sia in attesa che gli sia concessa la protezione internazionale, sia dopo averla ottenuta. Per saperne di più >>>

L’obiettivo dei migranti in fuga è, molto spesso, arrivare in un Paese europeo differente da quello che riescono a raggiungere, per primo, durante il proprio viaggio. Molto spesso questo Paese è l’Italia, per ragioni geografiche. Per questo motivo, una delle principali attività delle persone, è quella di non farsi identificare e registrare finché non raggiunge il Paese di destinazione; per non restare impigliato nella rete creata dalla normativa sopra esposta. L’Hub della Stazione Centrale di Milano nasce per rispondere a un’emergenza importante, appena l’escalation del conflitto Siriano ha portato un considerevole numero di persone civili a fuggire dal proprio Paese. Essi non desiderano stanziare in Italia; e per le ragioni sopra esposte, potendo approdare in Europa solo per via del territorio italiano, fuggivano, e fuggono tutt’ora, dall’identificazione e la registrazione, fino a che non riescono a varcare il confine del Paese che desiderano raggiungere. La competenza dell’Hub si espande rapidamente dall’iniziale specializzazione verso le persone che fuggono dal conflitto siriano, ad altre nazionalità di provenienza; che per analoghi motivazioni necessitano della medesima modalità di accoglienza, quali eritrei e iracheni.

Al di là di ogni valutazione sulla correttezza o sull’eticità di tale attività istituzionale, si deve affrontare la situazione reale in cui vi sia l’impossibilità di intercettare, rispettando il diktat della normativa europea, un numero di persone talmente elevato qual è la migrazione siriana. Non desidero approfondire tale valutazione, che ritengo sito nella sfera personale di ogni individuo, e quindi estremamente complesso da affrontare. Ciò che ritengo opportuno esporre riguarda la mia personale esperienza, a mio parere molto costruttiva. Se riguardo alla prima esperienza ho parlato di posizione di osservazione privilegiata, posso altrettanto affermare che questa nuova esperienza sia stata un gradino sopra. Ho avuto l’importante opportunità di relazionarmi, direi approfonditamente, con strutture istituzionali e associative completamente differenti da ciò che ho vissuto in Croce Rossa Italiana per un ventennio. Ciò mi ha permesso di incominciare a capire dinamiche molto complesse. Il dato di maggior rilievo è stato la possibilità di relazionarmi con persone estremamente motivate, ognuna con la propria storia personale, differente dalla mia, e quindi di gran peso sotto il profilo della mia riflessione personale. Ho avuto modo di vivere in prima persona l’evoluzione, che definirei un’escalation anch’essa, della struttura logistica dell’Hub. L’inizio dell’Expo 2015 ha portato l’Amministrazione comunale a dover rivedere in tempi stretti la localizzazione dell’accoglienza. In varie tappe si è riuscito a combaciare, in una struttura sufficientemente adeguata, le esigenze differenti. Per saperne di più >>>

Oltre alla tematica strettamente connessa alla migrazione di persone che fuggono dai propri luoghi di origine, si può dire che è stato anche come uno stage di problem solving avanzato, direttamente sul campo. Ho avuto modo di comprendere, vivendole in comunità, le emozioni e le paure che traspaiono dagli sguardi di chi non può che fidarsi, in un non luogo, qual è l’Hub. Cos’è un non luogo? E’ il posto dove non sei, in una società in cui ognuno deve essere identificato, registrato, e tu non lo sei. La paura di essere identificato, perché in qualsiasi momento, qualcuno può decidere che deve essere fatto. E’ questo il punto in cui ti devi fidare. Ma lo fai ciecamente, perché non conosci nessuno. E quasi tutti parlano una lingua che tu non capisci. Ti guardi in giro, scruti gli sguardi altrui e cerchi il volto di cui fidarti. Per te, per i tuoi figli, se li hai, per la tua famiglia. E ti fidi per forza, perché non puoi fare altro. Se il giorno di un Centro Profughi per richiedenti asilo e protezione internazionale si dipana in una semi routine quotidiana, interrotta da altrettante routine con periodicità maggiori, quello di una realtà come l’Hub di Stazione Centrale risulta più complesso. I flussi di arrivi e partenze sono altamente variabili, impossibili da progettare o addirittura programmare. Le persone sono sempre differenti. Le situazioni individuali di difficile categorizzazione, malgrado si voglia sfociare troppo spesso, forzatamente, in una generalizzazione stereotipata.

Senza entrare nel dettaglio delle attività e delle relazioni interpersonali, le due esperienze hanno avuto, in forme e intensità differenti, un denominatore comune: la ricerca. Nei due luoghi concettualmente differenti, rispetto al problema della fuga dal pericolo sito nel proprio Paese di origine, ogni attore impiegava gran parte del proprio tempo per trovare il contatto umano con chi gli stava accanto. E’ una relazione complessa, con chi passa per l’Hub. Chiunque vi transiti è un mondo a se. Mondi a volte vicini, a volte lontani anni luce, che si intersecano per attimi, più o meno lunghi. La maggior parte, per forza di cose sono comete. Ognuno che lascia qualcosa di se e prende qualcosa di te. Come direbbe qualcuno: “Varia umanità”.

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