“ Le radici di terrorismo e violenza in molti casi giacciono nella miseria, frustrazione, dolore e disperazione così profondi che gli uomini sono preparati a sacrificare vite umane inclusa la loro nel tentativo di effettuare cambi radicali. ” Per saperne di più >>>
Scrivo questo articolo prendendo spunto e citando le parole di Antonio Cassese, compianto giurista, scrittore e giudice italiano, nonché docente di Diritto Internazionale e autore, tra gli altri, del libro I diritti umani oggi. Partendo da un lavoro svolto durante i miei anni di studio all’Università ho cercato di approfondire la figura del terrorista, cercando di capire come gli Stati si comportano di fronte a questa minaccia, che mai come in questi anni è entrata, purtroppo, a far parte della nostra quotidianità. Chi è dunque il terrorista? Come possiamo definirlo?
In base al diritto internazionale è terrorista chiunque commetta un’azione criminosa contro civili allo scopo di coartare un governo, un’organizzazione internazionale o un’entità non statale diffondendo il terrore nella popolazione civile, per una motivazione politica o ideologica. Per saperne di più >>>
Partendo dal presupposto che qualsiasi atto di violenza è contrario ai diritti umani in generale, i terroristi affermano spesso che i loro atti sono giustificati perché si pongono come risposta a governi oppressori che a loro volta limitano i diritti umani dei loro cittadini. Tuttavia gli atti terroristici rappresentano sempre una risposta perversa a problemi gravi.
Spesso questi atti di violenza ottengono il risultato opposto; succede che gli Stati minacciati da terrorismo si chiudano e limitino a loro volta i diritti umani di tutti i cittadini o introducano discriminazioni di tipo etnico-razziale. I terroristi rappresentano di certo una minaccia per gli Stati e ciò giustifica gli Stati stessi, seppur vantino esperienze democratiche consolidate, a limitare la protezione dei diritti umani degli stessi. Che invece i diritti umani siano da osservare anche contro coloro che li calpestano credo sia un principio indiscutibile. È un principio che possiede fondamenti di natura pratica, etica e giuridica. Riporto qui di seguito un’analisi di Cassese su questi tre elementi.
Per quanto riguarda il primo elemento si rischia di cadere nell’arbitrio; chi può decidere quanto sia possibile malmenare, picchiare o torturare un terrorista affinché possa parlare?
Il secondo fondamento è quello etico: uno Stato di diritto non può permettersi di abbassarsi al livello dei terroristi ma deve tenere un atteggiamento che rispetti sempre i diritti umani inviolabili perché chiunque possa capire la differenza tra chi calpesta la vita umana e chi invece rispetta la dignità anche del malvagio e del persecutore. E infine il principio di natura giuridica. I vari trattati internazionali sui diritti umani prevedono deroghe o limitazioni di diritti in caso di situazioni particolari ma stabiliscono chiaramente che ci sono alcuni diritti inviolabili: come il diritto alla vita, il diritto a non essere sottoposti a trattamenti disumani e degradanti o a tortura, il diritto ad un equo processo. Date queste tre definizioni possiamo evincere che i terroristi devono godere di tutti i diritti spettanti a qualunque individuo. Per saperne di più >>>
Innanzitutto i diritti relativi all’arresto, alla detenzione e ad un giusto processo. Incriminati e stabilita la pena questi devono godere di tutti i diritti che ha un qualsiasi detenuto. Questo è un punto fondamentale. Nella realtà molti dei terroristi arrestati vengono trattati in modo contrario alle norme essenziali sui diritti umani. L’atteggiamento di molti Stati democratici di fronte al terrorismo è quanto meno ambiguo e assume caratteri arbitrari. Le convenzioni internazionali in materia hanno stilato delle eccezioni e delle deroghe specifiche in casi di situazioni particolari e di emergenza. Gli Stati che si trovano sotto la minaccia di terrorismo devono assolutamente e rigorosamente attenersi a quanto decretato e deciso dalle convenzioni stesse. Capita invece che molti di questi Stati cerchino di scavare una nicchia di arbitrio nella rete normativa internazionale. Un esempio che si può fare è stata l’uccisione del maggior esponente di Al-Qa’ida, Osama Bin Laden, da parte delle forze speciali statunitensi nel maggio del 2011. Il più grande paese democratico al mondo ha deciso per l’uccisione istantanea del leader dell’organizzazione, senza consentirgli un giusto e adeguato processo. Il rischio che si corre è proprio questo: la dimenticanza dei diritti inviolabili dell’uomo.
Fino a che punto allora uno Stato può spingersi alla lotta al terrorismo? La minaccia esiste ed è reale. Contrastare il terrorismo è fondamentale per la sicurezza dei cittadini di tutto il mondo nonché un dovere di ogni Nazione, ma certamente questo non può andare contro la tutela dei diritti umani degli stessi. La Francia ha appena rinunciato alla Convezione Europea dei Diritti dell’Uomo, derogando alcuni diritti per i prossimi tre mesi. Gli Stati cosi detti democratici non possono permettersi la svista di non considerare l’universalità e l’indivisibilità dei diritti umani. Non possono superficialmente mettere da parte la loro tutela per affrontare la minaccia terroristica e non possono giustificare l’assenza dei diritti fondamentali verso un terrorista, che rimane pur sempre un individuo e come tale deve godere dei diritti che le convenzioni internazionali e le carte dei diritti umani prevedono per qualsiasi cittadino. Negare i diritti umani considerati inviolabili significa negare il riconoscimento della persona in quanto tale, dell’individuo nella sua interezza e soprattutto della sua dignità. Uno Stato democratico che nega il diritto ad un giusto ed equo processo, che commette atti deplorevoli nei confronti dei detenuti, che viola il diritto alla vita, non può essere realmente considerato uno Stato democratico e ancor meno uno Stato di diritto.