Inizio l’articolo di questa settimana facendo gli auguri a un paese europeo che oggi, 23 ottobre, ha davvero qualcosa per cui festeggiare. Dal 1989 infatti il 23 ottobre, in Ungheria, è festa nazionale e lo è per ben due motivi: in primo luogo viene commemorato l’inizio della rivoluzione del 1956 contro l’occupazione sovietica, finita poi nel sangue, mentre in secondo luogo in quel lontano (ma non troppo) giorno d’autunno del 1989, la proclamazione della Repubblica ha portato una ventata di democrazia; almeno così dovrebbe essere, o forse così è stato fino ai recenti accadimenti. Il governo di Budapest infatti, con al governo il populista di destra Viktor Orbán, si è lanciato nella costruzione di un muro di contenimento lungo 175 chilometri (per una veloce comparazione il muro di Berlino era lungo 106 chilometri; 127,5 comprendendo i recinti fortificati e il filo spinato). Per saperne di più >>>
Da 26 anni a questa parte, in seguito allo sgretolamento della Cortina di ferro, non era ancora accaduto che nella civile Europa venisse costruita una barriera per separare i popoli europei. Lo sgomento aumenta ulteriormente se si pensa che fu proprio in Ungheria che, appoggiata dalla rivoluzione dei generali polacchi e da Solidarność, veniva aperto un primo varco nel muro di Berlino. In quell’ epoca ormai dimenticata erano proprio i vecchi ungheresi ad aiutare chi fuggiva dalle persecuzioni e a permettere loro una nuova vita dopo essersi ormai guadagnati la tanto agognata democrazia. Budapest è solo uno dei vari esempi di memoria corta e la memoria corta, si sa, non porta mai benefici. Se si vuole evitare che le disgrazie del passato si ripercuotano anche sul presente e sil futuro, è bene tenere ben presente che, come affermava Mario Rigoni Stern, “le cose che si dimenticano possono comunque ritornare”. La decisione del premier ungherese di costruire una barriera sul confine tra Serbia e Ungheria è volta a bloccare o quanto meno limitare il flusso di migranti, ma soprattutto richiedenti asilo politico provenienti principalmente da Afghanistan, Pakistan e Siria, che attraversano i Balcani dopo un estenuante viaggio intrapreso principalmente a piedi e durato anche mesi.
Ed è proprio dei richiedenti asilo politico che voglio trattare in questo articolo leggero, senza la pretesa di toccare tutte le sfumature del tema ma fornendo informazioni oggettive, poiché troppo spesso quelle mediatiche sono impregnate di emotività irrazionale e di conseguenza poco congruenti alla realtà dei fatti.
Cercherò di rispondere a 5 semplici domande per permettere di capire meglio il tema affrontato: come si diventa rifugiati politici? È un fenomeno con una portata così vasta? È così recente come si pensa? Come è stato gestito fin ora? Cosa si può fare per il futuro?
Come si diventa rifugiati politici?
In primo luogo il Diritto di asilo politico è una storica nozione giuridica in base alla quale una persona che nel proprio paese d’origine è perseguitata può essere protetta da un’altra autorità sovrana, sia essa un paese straniero o, come accadeva più spesso in passato, un santuario religioso. La Convenzione sullo status dei rifugiati del 1951, e in seguito il Protocollo sui rifugiati del 1967, ne definiscono i contorni affermando che rifugiato è “chiunque nel giustificato timore d’essere perseguitato per ragioni di razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori dei suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi.” Per saperne di più >>>
In Italia il diritto di asilo è garantito dall’art. 10, comma 3 della Costituzione, il quale afferma che “lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”.
La titolarità delle valutazioni caso per caso della protezione è a capo della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale, situata in Lombardia a Brescia e a Milano. Essa è composta da 4 membri tra cui un funzionario prefettizio, il quale espleta le funzioni di presidente, un rappresentante della Polizia di Stato, un rappresentante delle autonomie locali e un rappresentante designato dall’UNHCR, Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
La Commissione territoriale ha il potere di riconoscere:
lo status di rifugiato politico, il quale permette l’ottenimento di un permesso di soggiorno per asilo della durata di 5 anni e rinnovabile; la protezione sussidiaria, ove il richiedente corra un rischio concreto di subire un grave danno in caso di rientro nel paese di provenienza. Il permesso ottenibile è rinnovabile alla scadenza in seguito alla rivalutazione del caso; la protezione umanitaria, nel caso esistano fondati e gravi motivi di carattere umanitario che non permettano al richiedente di tornare in patria in un clima sicuro e dignitoso. Il permesso ha durata biennale ed è rinnovabile in seguito alla rivalutazione del caso.
È un fenomeno con una portata così vasta?
Ricordando alcuni dati, quest’anno, in Europa, il 53% delle richieste è pervenuto da siriani, 6% afghani, 6% eritrei, 5% irakeni. Per saperne di più >>>
Facendo però un paragone, Turchia, Giordania e Libano, con una superficie territoriale pari ad 1/9 di quella europea e con una ricchezza media pari ad ¼ di quest’ultima, accolgono 4 milioni di siriani, a differenza dell’Europa che ne accoglie solo 350 mila. Nel caso italiano, nei primi 9 mesi del 2015, è stato accertato un ingresso di circa 137 mila persone provenienti da diverse parti del mondo, dei quali solo 61 mila fermatisi per richiedere asilo mentre il resto ha continuato verso nord; in termini percentuali, in Italia, vengono accolti meno del 10% dei 615 mila arrivi europei, con in testa la Germania.
È così recente come si pensa?
Il fenomeno della migrazione, nel caso italiano, non è assolutamente nuovo se solo pensiamo agli oltre 80 milioni di italiani e loro discendenti sparsi nel mondo (si, ci sono più italiani all’estero che in Italia) che già a fine ‘800 si spostavano all’esterno dei confini del Bel paese e che nel 2015 continuano a cercare una nuova vita in Europa e nel mondo. Per saperne di più >>>
Tenendo invece conto del fenomeno delle richieste d’asilo politico si può ricordare l’esempio dei 15 MILIONI di richiedenti europei durante la II Guerra mondiale, evento di proporzioni tali che ha portato alla creazione della tanto criticata Convenzione di Ginevra del ’51, tutt’oggi documento su cui si basano tutte le politiche di asilo; senza di essa milioni di persone avrebbero rischiato (e molto probabilmente perso) la vita a causa dei problemi all’interno del proprio paese. Ancora una volta per qualcuno la memoria non è abbastanza lunga.
Come è stato gestito fin ora?
La gestione del fenomeno in Europa è stata modificata notevolmente passando dal semplice salvataggio, al vano tentativo di blocco dei flussi, agli aiuti ai paesi di transito (come ad esempio i recentissimi accordi UE – Turchia), al tentativo di soluzione negli innumerevoli paesi di origine (come ad esempio la decisione di intervenire in Siria, paese ormai lacerato al suo interno) Per saperne di più >>>.
Fino ad ora però, a livello europeo, sono state prese varie strade che non hanno portato ad una vera soluzione, soprattutto a causa delle divisioni dei paesi membri a livello di politica estera. Per quanto riguarda invece la politica interna, in alcuni paesi l’avviamento dell’accoglienza diffusa e l’ integrazione sul territorio hanno ottenuto buoni risultati sul fronte della gestione di queste risorse umane.
Cosa si può fare per il futuro?
Per concludere chiedo al lettore se, in base alla propria opinione, è utile cavalcare la narrativa dominante e l’emozione irrazionale del momento o è forse meglio affrontare la questione in modo più obiettivo. Ricordo, a tal proposito che l’aiuto offerto dalla cooperazione allo sviluppo ai paesi in via di sviluppo è nell’ordine di milioni di dollari mentre le rimesse dei migranti al proprio paese toccano le centinaia di miliardi. Aggiungo che all’Unione Europea, oltre ai 5 milioni di cittadini extracomunitari già presenti sul territorio, serviranno ulteriori 7 milioni per mantenere i nostri livelli di benessere a causa soprattutto dell’invecchiamento galoppante della popolazione e dell’elevatissima domanda di lavoro di settori abbandonati da noi occidentali. Tutto ciò sarà possibile solo utilizzando un modello valido di integrazione a 360° abbracciato da tutta la popolazione, nella speranza che la razionalità del benessere nel lungo periodo sia più forte dei semplicistici slogan fasulli dovuti all’emozione e alla paura del momento. Lasciando quindi al lettore la risposta a quest’ultima domanda, concludo con un esempio a me molto gradito, ricordando ai sostenitori dei muri che tra il paese più tecnologicamente avanzato e il Messico c’è un muro di 3140 km con torrette, filo spinato, pattugliamenti, telecamere ad infrarossi e sensori ma che i flussi migratori provenienti dall’America Latina non vengono minimamente toccati. Per saperne di più >>>
Concludo augurando nuovamente all’Ungheria, al premier Orbàn, ai suoi sostenitori e agli irrazionali sostenitori dei muri un buon 23 ottobre. Che questo giorno permetta a tutti di ricordare e agire di conseguenza.