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Appunti di Cooperazione Internazionale

Anche i numeri parlano: la mobilità umana nell’era della globalizzazione

A cura di Daniel Cabrini

All’alba di un nuovo giorno in cui l’ingresso di persone senza cittadinanza italiana entrano nel Bel Paese (come ogni giorno nella storia d’Italia) ho deciso di approfondire il tema delle migrazioni, il quale infervora le discussioni di innumerevoli cittadini, compresi i nostri politici. Alcune domande devono però sorgere spontanee: dato che nella società odierna si sente spesso parlare di migrazioni e migranti, che cosa si intende effettivamente con questi termini? Quale significato assumono nel contesto di una società globalizzata come la nostra? E soprattutto, perché, lasciando perdere sterili discussioni da bar o battute di facebook, le migrazioni sono utili anche alla società italiana?

 Per prima cosa è bene sottolineare che per migrante non ci si riferisce solamente a coloro che si muovono da un paese meno industrializzato ad uno più sviluppato, ma al trasferimento permanente o temporaneo di singoli individui o di gruppi di persone in un paese o luogo diverso da quello di origine, qualsiasi esso sia. Ricordando l’articolo 13 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, redatta dalle Nazioni Unite e ratificata dall’Italia ribadiamo che “ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato e ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese”. Per saperne di più >>>

Oggigiorno, secondo i dati delle Nazioni Unite, il 3% della popolazione mondiale può essere definita migrante e in termini assoluti, più di 252 milioni nel mondo. In Italia il numero di migranti si attesta all’ 8% della popolazione, ossia circa 5 milioni di persone dei quali più della metà sono donne e una gran parte di essi provenienti da altri paesi europei. Per saperne di più >>>

All’interno della categoria si possono distinguere i migranti per nazionalità, lingue, appartenenze culturali, età, statuti ufficiali (amministrativi, politici, economici, giuridici), quantità (numero, distribuzione per zone), formazione, progetti futuri, anzianità di presenza, bisogni avvertiti e non solo. Il gruppo, molto vario per definizione, accoglie un insieme di persone anche completamente diverse l’una dall’altra; per fare alcuni esempi, utilizzando storie vere ma nomi fittizi, migranti sono sia Jamal, afghano, laureato in ingegneria e dipendente del ministero dello sviluppo, scappato per motivi politici e di conseguenza per salvare la famiglia da ripercussioni, Luca, giovane italiano che dopo essersi diplomato come geometra lavora come lavapiatti a Londra, Anna, che in Australia fa la ricercatrice poiché il proprio paese non offriva le opportunità che si trovano da altre parti o George, che per lavoro si è  trasferito in Italia dalla Siria.

All’interno di questa categoria c’è Sandro, il quale una volta ottenuta la pensione se n’è andato in Tunisia a trascorrere una vita in tranquillità, Chiara che in Germania è andata per cercare un lavoro e una nuova vita, Katerina, che dall’Ucraina è venuta in Italia per fare la badante agli anziani o semplicemente io, che in Spagna sono stato per studiare e in Marocco per lavorare mentre Arif, pakistano, laureato in matematica e fisica e insegnante di inglese in Libia, veniva obbligato a salire su un barcone in direzione dell’Italia a causa della guerra, dovendo così lasciare ogni cosa.

Con l’espansione del processo di globalizzazione il fenomeno migratorio è cresciuto notevolmente e, secondo i dati delle Nazioni Unite, l’incremento della popolazione migrante è stato, nell’arco degli ultimi 24 anni, di oltre 77 milioni di unità; nel solo periodo 2010-2013 la crescita è stata di 4,6 milioni all’anno, più del doppio rispetto ai 2 milioni  annui nel periodo 1990-2000; attualmente, il  tasso di crescita medio della popolazione che migra al di fuori del proprio Paese è del 2,5% annuo. L’utilizzo di dati ci fa capire come il fenomeno stia diventando sempre più di fondamentale importanza per i paesi e per le popolazioni e non sia più possibile, ne tantomeno auspicabile, arrestarlo.

Le migrazioni infatti, con l’affermarsi del liberismo e dell’economia capitalistica, non solo sono divenute una componente essenziale nel rideterminare equilibri economici e possibilità di crescita sostenuta ma soprattutto, come afferma Ian Goldin, docente all’università di Oxford, esse hanno la grande forza di facilitare lo scambio di conoscenze e di competenze e di contribuire all’arricchimento culturale delle società coinvolte.

Essendo questo un articolo leggero e diretto ad un pubblico ampio esamineremo brevemente SOLO alcuni  tra i benefici delle migrazioni). Per saperne di più >>>

In primo luogo, i paesi di accoglienza assorbono i vantaggi della maggiore mano d’opera la quale in primis accresce la capacita di produzione, porta nelle imprese la creazione di posti maggiormente qualificati ai quali accedono gli autoctoni, avvantaggiati dalla lingua e dalla maggiore formazione tecnica. L’assunzione, accanto ai lavoratori italiani, di lavoratori migranti inciderebbe notevolmente sulle entrate pubbliche; i contribuenti stranieri sono già 3,5 milioni e hanno dichiarato 44,7 miliardi di euro, ossia il 5,6% del complesso dei redditi dichiarati. Rispetto agli italiani, i contribuenti stranieri hanno percepito mediamente un reddito lordo inferiore di 7.500 euro, pari a 12.930 euro, dovuto ai diversi percorsi lavorativi intrapresi tra i migranti e gli italiani.

Al fine di promuovere il costante aumento dell’occupazione e della domanda di beni a livello nazionale,  oltre che della possibilità di fronteggiare il mercato nero e di favorire l’integrazione degli stranieri, la regolarizzazione dei migranti presenti nel territorio italiano è un atto necessario. Al mercato del lavoro si aggiunge il beneficio dato al sistema di welfare nazionale, tesi supportata dall’esempio d’oltralpe che mostra come i 6,6 milioni di stranieri non naturalizzati (ossia senza cittadinanza tedesca) che vivono in Germania rappresentano per il social welfare fund tedesco più di quello che costano in prestazioni e servizi. Nel 2012 essi hanno generato infatti un surplus di 22 miliardi di euro per le casse dello Stato e, in media, ogni individuo facente parte di quella categoria contribuisce con circa 3.000 euro in più in tasse rispetto a ciò che viene ricevuto in termini di servizi statali. Questi risultati sono in netto contrasto con la credenza popolare e con le ideologie propugnate da determinati partiti politici riguardo al fatto che la migrazione rappresenta un onere per lo stato sociale.

Ultimo breve esempio è dato dal fattore demografico, determinante per la geopolitica dell’Italia e del suo futuro. Si stanno verificando forti differenze nelle piramidi d’età e nei paesi più avanzati si registra un netto invecchiamento della popolazione, impattando sull’entità della forza lavoro e sul peso economico dell’allargamento delle risorse che vengono spese per la fascia di persone in età avanzata. Il parametro per valutare l’invecchiamento della popolazione è l’età mediana, ossia l’età in corrispondenza della quale il numero di abitanti più giovani è pari a quello dei più vecchi; se in media in Europa il valore del 2007 è di 39 anni, nel 2050 sarà di 47, mentre la popolazione in età pensionabile in Italia nel 2050 sarà del 35%. Ciò palesemente comporta l’impossibilità allo stato attuale (1,3 figli per donna italiani) di mantenere in Italia la dimensione demografica e di conseguenza il peso internazionale del paese, la crescita economica, la stabilità interna e il livello del benessere. Essendo i nostri comportamenti riproduttivi da diversi lustri largamente insufficienti a realizzare un effetto sostitutivo della popolazione, per invertire la tendenza saranno necessari diversi anni e politiche finalizzate a sostenere le famiglie e la natalità, oltre che la corretta gestione dei flussi migratori e soprattutto il sostegno all’integrazione.

L’importanza di descrivere e considerare i movimenti migratori quale opportunità e risorsa si manifesta nel momento in cui si instaurano rapporti di cooperazione bilaterali o multilaterali tra i migranti e gli autoctoni, all’interno di una società non più chiusa ma potenzialmente interculturale e aperta al dialogo. Si può liberamente affermare che le conseguenze dei fenomeni migratori dipendono dagli esiti di un gioco in cui è vero che esiste un piccolo rischio di perdere, ma tutti possono anche vincere e guadagnare un vantaggio notevole per sé stessi e per gli altri.

Dimostrando con un po’ di matematica il nostro discorso, possiamo dire che, a differenza di quello che la società ancora crede o di ciò che viene ancora insegnato, la massimizzazione del profitto del singolo (inteso in senso lato e non solo economico) non sempre è la migliore soluzione; nel nostro contesto, la chiusura della società alla cooperazione e all’integrazione dei migranti per il finto benessere dei singoli cittadini. Come nel dilemma del prigioniero è corretto pensare che è possibile pervenire ad una situazione nella quale tutti possono ottenere il miglior risultato possibile a condizione che si instauri una cooperazione tra i giocatori; detto in parole povere, che tutti agiscano non col fine di ottenere il miglior risultato per sé stessi, ma di ottenere il miglior risultato per il gruppo nel complesso e, quindi, indirettamente, raggiungere un risultato migliore anche per sé. Le società nel loro insieme potrebbero quindi solo che trarre beneficio dagli apporti materiali ed immateriali che si genererebbero dall’integrazione dei migranti.

Frattanto, come è stato dimostrato da una rilevazione del Laboratorio sulla Società e il Territorio (LaST) in collaborazione con La Stampa, la posizione della popolazione italiana nei confronti dei migranti tende a mutare in positivo nel tempo. Rispetto a ricerche effettuate nel 2007 l’italiano medio ha una maggiore apertura mentale e di prospettive nei confronti dei migranti, a dispetto di quanto le cronache televisive e giornalistiche abitualmente mostrano. Dati indici e descrizioni oggettive, anche l’idea generale che una presenza di persone portatrici di altre culture costituisce un valore aggiunto anche per il nostro paese ed un arricchimento reciproco sta divenendo di conoscenza comune. La buona riuscita di una società pacifica, interculturale e prospera (non solo economicamente) dipende anche dalla razionalità degli individui che la compongono e dalla capacità di informarsi correttamente, ossia al di fuori del circuito delle reti televisive e dei “motti” di partito.

Lasciando aperto il tema in vista di ulteriori approfondimenti e dibattiti, l’augurio è che anche l’Unione Europea, nel frattempo, dimostri di essere un’Europa unita non solo economicamente ma anche sul fronte migratorio, specie riguardo a quella parte di migrazioni che è maggiormente svantaggiata, tema che verrà approfondito nei prossimi articoli.

 

Piatto consigliato: Cous cous di zia Fatima (Temara)

Reportage e mostra fotografica: “Pacem in, migranti in terra di pace” di Cabrini Daniel e Mottes Anna

Libro consigliato: Goldin Ian et al., Exceptional People: How Migration Shaped Our World and Will Define Our Future, Princeton University Press, 2012.

 

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Questa voce è stata pubblicata il 19 giugno 2015 da in Migrazioni con tag , , .
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